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Impara l'arte

Come soppravvivere, quando la loro mente non è altro che nebbia

Come soppravvivere, quando la loro mente non è altro che nebbia foto © Photocase.com

“Finché non si cammina nei mocassini di un cacciatore non si capisce cosa significhi uccidere un bisonte.” Lo dicevano i vecchi indiani d’America e avevano ragione.
Finché non si fanno certe esperienze non si capiscono coloro che le vivono.

Io non avevo la minima idea di che cosa volesse dire curare una persona anziana, che aveva perso la memoria e che era stata abituata a essere indipendente e a fare da sé.
Quando mia mamma è venuta a abitare da noi e a avere bisogno di tutto, dall’essere aiutata a lavarsi a essere sorvegliata perché non prendesse la stessa pillola ogni ora, ho fatto molti sbagli.
Il primo era credere che mi capisse. Non potevo accettare che una donna che per tutta la vita mi aveva detto quello che dovevo fare io, fosse ridotta al punto da non sapere la differenza fra uno spazzolino da denti e un pettine.
Anche se mio marito e i miei figli mi ripetevano di non provare a spiegarle le cose, io insistevo e mi rimbambivo peggio di lei.
Il secondo errore era pretendere che ricordasse come fare alcune cose elementari, come infilarsi le pantofole o sedersi nel posto giusto nel bagno o non infilare la porta di casa invece di quella di cucina, rischiando di uscire in strada e finire come protagonista nella trasmissione “Chi l’ha visto?”.
Poi sbagliavo nel correre ogni volta che mi chiamava, sia di giorno che di notte. Ma come potevo sapere se aveva davvero bisogno di qualcosa se non rispondevo alla chiamata?
E sbagliavo anche a sentirmi in colpa quando perdevo la pazienza. Il che succedeva anche troppo spesso.
“Non sto onorando abbastanza mia mamma!” dicevo frustrata.
“Ma ti rendi conto che la stai curando come una principessa?” rispondeva mio marito per incoraggiarmi.
Io però non gli credevo.
Chi cura una persona malata ha un grande bisogno di aiuto e di sostegno da parte di parenti, amici e fratelli in fede della chiesa, perché non ha un momento di respiro.
Ma come fare?

Fare proposte precise
“Se hai bisogno di aiuto, chiamami.” Le amiche te lo dicono e lo apprezzi.
Ma sarebbe bene che facessero delle proposte più precise tipo. “Domani pomeriggio sono libera, come sarebbe se venissi a fare compagnia a tua mamma e tu ti prendi due ore per te, magari solo per andare dal parrucchiere?”
Oppure: “Sabato sera, porto la pizza e tu non devi preoccuparti di cucinare. E ti guardo i bambini così puoi uscire con tuo marito”.
Oppure ancora: “Domani mattina vengo a prenderti il bucato e te lo stiro io. Devo passare il pomeriggio in casa e non ci vuole niente stirare due cose in più.”

Incoraggiare
Assistere una persona esigente e irragionevole è pesante e molto spesso chi lo fa si sente solo. Una telefonata per dire: “Sto pregando per te... Ammiro la tua pazienza... Ringrazio il Signore per la forza che ti dà” può rasserenare una giornata buia. E dare una nuova spinta di adrenalina a chi ne ha bisogno.
Un consiglio: a meno che non siate passati per la stessa esperienza evitate la frase: “Ti capisco...”.
Nessuno può capire l’angoscia di veder declinare senza rimedio e di giorno in giorno una persona cara.
E anche se siete passati attraverso la stessa esperienza, la frase “Ti capisco...” non è sempre apprezzata, perché ognuno crede di essere l’unico a affrontare quel problema.
Dite piuttosto: “Vedrai che almeno per oggi ce la fai!”. È più realistico.

Ricordare di ridere
Una mia amica che aveva il padre con l’Altzheimer, una volta mi ha detto: “Ci facciamo un sacco di risate. Forse lui non sa neppure perché ridiamo. Ma io mi scarico”.
Quando uno non ci capisce, la prima reazione è inquietarsi. Quando ripete delle stupidaggini, pensiamo che lo faccia apposta per farci rabbia. Ma non è così: chi è fuori di testa, non sa quello che fa e non agisce con cattiveria. Meglio riderci su.
Per di più, le persone anziane che perdono la memoria, ogni tanto se ne rendono conto e se ne crucciano. Se ci vedono ridere, non rimarranno mortificate. Forse saranno rallegrate.

Pensa alla salute!
I napoletani lo dicono col loro fare scanzonato quando le cose vanno storte, per tirarti su gli spiriti.
Sia come sia, è importante pensare alla salute fisica e mentale di chi assiste un malato che non ragiona più bene.
Certe volte, la sua tensione è tale che il corpo ne risente.
Non ci sarebbe assolutamente niente di sbagliato che alcuni amici, se necessario, si unissero per offrire di pagare, diciamo una volta in settimana, una persona professionalmente capace, per assistere il malato.
“Mia madre vuole solo me!” “Mio marito non starebbe con nessuno!” “Non starei mai tranquillo!” Saranno le reazioni normali dei parenti.
Meglio non badarci eccessivamente e proseguire col progetto. Una giornata di tranquillità farà un gran bene a tutti. Anche al malato.

Saper confortare
Spesso chi assiste un malato ha la tendenza a prendersi la colpa per ogni cosa che va storta, si tormenta con inutili rimorsi per parole dette sbagliatamente, per risentimenti, per frizioni antiche non risolte, perdoni non chiesti o non concessi. E la sua vita spirituale ne risente.
È importante affrontare il problema dal punto di vista spirituale e una persona amica può essere di aiuto. Parlare insieme del perdono del Signore, aiutare a confessare sbagli e peccati antichi, incoraggiare a accettare pienamente il perdono del Signore, basandosi sulle sue promesse e il valore eterno del sangue di Gesù che purifica da ogni peccato. Che bel ministero importante per un amico!

Mantenere una misura di normalità
Una nonna malata e esigente, uno zio manesco o collerico possono influire negativamente sull’armonia e il benessere di una famiglia normale.
Non si deve permettere loro di rovinare, forse per anni, le relazioni con gli altri parenti. Risolvere la situazione è un compito difficile che spetta al capofamiglia, ma che deve essere coadiuvato e assecondato da moglie e figli.

Adesso la domanda è d’obbligo: “Sei riuscita in tutto questo?”.
Purtroppo, no. Molto di quello che ho detto, è frutto del famoso senno di poi. Ci sono state a volte tensioni con mio marito e malumori da parte dei figli che erano ancora a casa. Oltre a frustrazione e stanchezza fisica da parte mia.
Ma tutto sarebbe andato molto peggio senza l’aiuto di mio marito e i suoi buoni consigli, ahimè, non sempre ascoltati, e la prontezza di figli e amici a darmi una mano, quando mi sembrava di essere proprio arrivata al capolinea.