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La Voce del Vangelo

La VOCE maggio 2017

“Da domani non dovrai lavorare più!”

Ecco le parole che molti vorrebbero sentire, sollecitati anche dalla pubblicità che promette che, se tutto va bene, giocando qualche numero fortunato alla lotteria, il suono della sveglia diventerà solo un lontano brutto ricordo.

In generale, il lavoro non piace. Qualcuno ha detto che il lunedì è il giorno più brutto della settimana ed è un peccato che un settimo della nostra vita sia speso proprio di lunedì.

Altri lavorano con fatica aspettando l’arrivo sospirato del sabato e della domenica, in cui non ci saranno capi o cappuccini con cui combattere, e considerano il lavoro come un male necessario che ci permette di pagare le bollette e i conti a fine mese.

Fra i cristiani le cose non vanno molto diversamente. Vediamo come.

Scopri la gioia di lavorare

Conosco dei credenti che sopportano il loro lavoro con la segreta speranza che, per qualche straordinario e improvviso miracolo, possa cambiare.

Altri amano il loro lavoro, e sono anche abbastanza contenti del loro stipendio, ma non amano le persone con cui devono lavorare. Trovano anche che i loro superiori sono spesso troppo esigenti o di cattivo umore.

Il tuo datore di lavoro, com’è? Ti tratta bene? È onesto? Ti tiene nella giusta considerazione? Si rende conto di tutto quello che fai? È bendisposto verso le tue necessità?

E, soprattutto, ti retribuisce giustamente? Domanda difficile: i soldi, si sa, non bastano mai.

Ma lavorare solo per lo stipendio, soddisfa veramente? Nella misura in cui lavori per i soldi, sarai sempre deluso dall’importo che guadagni e dalla percentuale di tasse che lo accompagnano. Per esempio, sapere che da gennaio a giugno lavoriamo per pagare le tasse dello Stato, che piacere ci può dare? E adesso che l’età pensionabile s’allontana sempre più, questo drammatico carcere del lavoro sta diventando una specie di ergastolo!

Allora, forse, sarebbe meglio chiudere qui questo articolo e augurarci che Gesù ritorni presto e che, nel frattempo, avremo da soffrire il meno possibile.

Il Signore tornerà come ha promesso, e vogliamo che ci trovi pronti. Intanto, però, io devo lavorare.

E francamente, oggi il lavoro non mi pesa più. È tutto merito del mio datore di lavoro. Te lo voglio presentare, perché è uno giusto, non gli sfugge mai nulla di quello che faccio e mi dà sempre la giusta ricompensa.

Forse non tutti hanno a disposizione una piattaforma come questo giornale, per esprimere la loro gratitudine a qualcuno, ma io, da queste pagine, lo voglio ringraziare pubblicamente. E molti altri dovrebbero e potrebbero fare lo stesso, tanto più che il mio datore di lavoro è sempre in cerca di altri impiegati.

Sono riuscito a cambiare atteggiamento solo quando ho cambiato datore di lavoro. Prima avevo fatto molti lavori, ma ero rimasto sempre deluso, perché datori di lavoro come lui non ne avevo mai avuti.

Il mio datore di lavoro è Dio. E questo fa un’enorme differenza. L’apostolo Paolo invita i credenti a fare ogni cosa per il Signore, per cui il problema non è tanto cambiare lavoro, quanto cambiare le motivazioni per cui facciamo qualunque cosa.

Ti sembra un pensiero troppo riduttivo e semplicistico? Ti assicuro che è l’unico modo per avere un atteggiamento buono e per lavorare bene.

Sei più diligente quando qualcuno ti controlla? Più coscienzioso e produttivo? Con un capo umano, ti capiteranno momenti in cui penserai di poter fare quello che ti pare!

Ma se il tuo datore di lavoro è Dio, quand’è che Lui si distrae? Egli che governa ogni cosa, che darà a tutti secondo il loro operato e che ha promesso di prendersi cura dei suoi figli, pensi che cambierebbe idea e atteggiamento proprio nei tuoi confronti?

Molti credenti vanno al lavoro con le stesse motivazioni e gli stessi scopi di quelli che non amano Dio. Di conseguenza, escono dal lavoro con le stesse frustrazioni, la rabbia e l’amarezza dei loro colleghi.

Ti voglio incoraggiare a licenziarti non dal tuo posto, ma dal tuo datore di lavoro, se il suo nome non è Cristo.

Esteriormente la tua vita forse non sarà molto diversa, ma tu sicuramente starai meglio e avrai un datore di lavoro invidiabile.

Allora, cominciando da domani mattina, per chi lavorerai?

Dio ha progettato il lavoro come occupazione per l’uomo

Dio creò la prima coppia e assegnò loro un compito straordinariamente impegnativo: “Siate fecondi e moltiplicatevi; riempite la terra, rendetevela soggetta...” (Genesi 1:28).

La terra doveva dare loro nutrimento e fornire un ambiente perfetto in cui vivere. Coltivarla e curarla sarebbe stata una soddisfazione, un lavoro piacevole. All’inizio non erano previste né fatica, né stanchezza, né difficoltà.

Dopo la disubbidienza di Adamo e Eva e l’ingresso del peccato nel mondo, le cose cambiarono. Dio disse a Adamo: “Il suolo sarà maledetto per causa tua; ne mangerai il frutto con affanno tutti i giorni della tua vita. Esso ti produrrà spine e rovi, e tu mangerai l’erba dei campi; mangerai il pane con il sudore del tuo volto, finché tu ritorni nella terra da cui fosti tratto...” (Genesi 3:17-19).

Il lavoro divenne faticoso, ma il progetto iniziale rimase. “Dio il Signore mandò via l’uomo dal giardino di Eden, perché lavorasse la terra da cui era stato tratto” (Genesi 3:23).

Più tardi, nella legge che diede a Mosè, Dio ordinò: “Lavora sei giorni e fa’ tutto il tuo lavoro, ma il settimo è giorno di riposo, consacrato al Signore Dio tuo...” (Esodo 20:9,10).

Nel Nuovo Testamento, il lavoro è considerato come un dovere e un mezzo di testimonianza: “Vi esortiamo, fratelli, ... a cercare di vivere in pace, di fare i fatti vostri e di lavorare con le vostre mani, come vi abbiamo ordinato di fare, affinché camminiate dignitosamente verso quelli di fuori e non abbiate bisogno di nessuno” (1 Tessalonicesi 4:10-12).

“Se qualcuno non vuole lavorare, neppure deve mangiare. ...alcuni tra di voi si comportano disordinatamente, non lavorando affatto, ma affaccendandosi in cose futili. Ordiniamo a quei tali ..., nel Signore Gesù Cristo, a mangiare il proprio pane, lavorando tranquillamente” (2 Tessalonicesi 3:11,12).

Siate imitatori di chi lavorava così

Il Signore Gesù ha lavorato anche quando non sarebbe stato compito suo (Giovanni 13:1-17).
Poco prima di morire, durante la sua ultima cena coi discepoli, nessuno aveva pensato a lavare i piedi ai commensali, come era abitudine fare. I discepoli erano impegnati a discutere su chi fosse il più importante fra loro. Non c’era un servo per fare quel lavoro, perciò il Signore prese un catino e un asciugamano e si mise a lavare i piedi dei discepoli. Diede loro un esempio di servizio umile e disse loro che, se avessero fatto come Lui, sarebbero stati beati.

Gesù faceva anche degli extra (Giovanni 21:12,13)
Dopo la resurrezione, col suo corpo glorioso, preparò un pasto caldo per i discepoli stanchi e bagnati, dopo una notte di pesca faticosa. Accese il fuoco e preparò dei pesci arrostiti. Fu una lezione di premura, di gentilezza e di tenerezza. È triste vedere certi credenti che fanno solo lo stretto necessario per il Signore. Appena è l’ora di staccare, lasciano tutto. Un lavoro che li impegna oltre il previsto, diventa un peso. Mai chiedergli qualcosa che interferisce coi loro piani!

L’apostolo Paolo ha lavorato con le sue mani per mantenere se stesso e i suoi collaboratori (Atti 18:3; 20:33-35; 1 Corinzi 4:12; 1 Tessalonicesi 2:9)
Chi lavora per il Signore ha il diritto di essere sostenuto e mantenuto dai credenti che beneficiano del suo ministero, come è insegnato sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento (Levitico 7:7,34; 1 Timoteo 5:17,18). Ma Paolo non ha indugiato a usare il mestiere che aveva imparato da giovane per provvedere alle sue necessità.

Tabita lavorava per i poveri (Atti 9:36-42)
Di lei si sa solo che era una “discepola” e che faceva vestiti e tuniche per i poveri. Faceva quello che sapeva fare e lo usava per chi ne aveva bisogno. Oggi si fa presto a andare al negozio e comprare affrettatamente un regalino per qualche occasione speciale. Ma quanto è bello ricevere qualcosa da qualcuno che ti dice: “L’ho fatto io proprio per te!”.

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