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La Voce del Vangelo

La VOCE febbraio 2022

Tanto di cappello a papà!

Questo mese mio papà, Guglielmo Stand-ridge, avrebbe compiuto 95 anni. Ormai è da due anni col Signore, ma l’influenza che ha avuto sulla mia formazione come uomo la sento ancora.

Papà era venuto in Italia per fare il missionario nel 1949, subito dopo la guerra. Aveva lasciato tutto quello che aveva conosciuto fino ad allora: la famiglia, gli amici, il paese dove era cresciuto, la sua cultura e la prospettiva di un lavoro redditizio con la laurea che aveva conseguito. 

Senza conoscere nessuno in Italia, e non conoscendo l’italiano, era partito su una nave che in due settimane lo portò a Napoli. Solo una cosa sapeva: gli italiani avevano bisogno di ascoltare il messaggio del vangelo, quel messaggio che cambia la vita.

Il suo era un biglietto di sola andata: tornare indietro sarebbe stato difficile, e l’unico modo per comunicare con la famiglia era attraverso lettere che arrivavano a destinazione dopo settimane.

Oggi è diverso. 

Per venire in Italia basta un volo, e grazie a internet i missionari moderni si fanno già una idea realistica su ciò che li aspetterà. Il distacco è vissuto in modo meno traumatico e drastico. I contatti con la famiglia, gli amici e la chiesa non sono interrotti  grazie alle video-chiamate. 

La distanza è sempre la stessa, ma le comunicazioni e la possibilità di tornare indietro esistono e sono molto più veloci e realizzabili. 

Su molti aspetti la vita in generale oggi è più agevole ma, riflettendo sull’esperienza di papà, mi chiedo se il prezzo che si paga dedicandosi totalmente alla missione oggi sia meno alto di allora.

Da lui ho imparato molto su una vita al servizio del Signore.

Alla domanda sul perché avesse scelto proprio l’Italia, papà raccontava che intorno ai 14 o 15 anni di età era molto ribelle, non gli interessavano le cose spirituali, aveva una fidanzatina e non desiderava altro che una vita comoda. Ma poi Dio era intervenuto nel suo cuore attraverso alcune predicazioni e delle letture bibliche, e questo lo aveva portato a cambiare i suoi obiettivi.  

Era sicurissimo che non avrebbe mai fatto il missionario; eppure, soltanto qualche anno dopo aveva già deciso di andare in missione in Africa, per poi cambiare destinazione e approdare in Italia, un paese ugualmente sconosciuto per lui.

Il Dio che era intervenuto per cambiare ciò che era nel suo cuore da adolescente è lo stesso che lo ha accompagnato per tutta la sua vita, e Guglielmo lo ha servito con fedeltà nei momenti facili ma specialmente in quelli difficili.

Dopo aver fatto il missionario per oltre settant’anni, papà è morto durante questa  attuale difficile fase della storia umana, segnata dalla pandemia mondiale che ha reso complicato tutto ciò che davamo per scontato.  

Rinchiuso in una struttura medica a Milano, interdetta alle visite a causa del covid, nessuno dei suoi figli ha potuto stargli accanto durante i suoi ultimi giorni.

Alla sua sepoltura eravamo presenti solo mia moglie e io, perché erano vietati gli assembramenti quindi non abbiamo potuto celebrare un funerale in sua memoria insieme a tutti quelli che lo avevano conosciuto e amato.

Nonostante queste circostanze avverse, la sua vita sulla terra è terminata con le stesse certezze che lo avevano accompagnato su quella nave che lo aveva portato la prima volta in Italia. Ed erano le stesse certezze che lo hanno tenuto saldo tutti questi anni. 

Ultimamente mi è capitata fra le mani la sua Bibbia personale e il libro di meditazioni sui salmi che avevo scritto in inglese che gli avevo regalato.

Papà lo aveva letto e riletto tante volte, sottolineando molte frasi e scrivendo le sue note a margine. Sfogliandolo, ho trovato suoi commenti su quasi ogni pagina. 

Nel capitolo sul Salmo 62:5-7 aveva sottolineato alcune parole chiave del brano:

5 Anima mia, trova riposo in Dio solo, poiché da lui proviene la mia speranza.
6 Egli solo è la mia rocca e la mia salvezza; egli è il mio rifugio; io non potrò vacillare.
7 Dio è la mia salvezza e la mia gloria; la mia forte rocca e il mio rifugio sono in Dio.

Ha sottolineato anche una parte del mio commento:

Ognuno di noi ha vissuto delle sconfitte. Forse ti stai chiedendo in questo momento come si fa a tenere sotto controllo cuore e sentimenti. Il Signore, attraverso questo salmo, ci invita a pensare a Lui, a distogliere lo sguardo dalle persone e dalle circostanze.

Com’è ovvio, papà non ha imparato queste verità dal mio libro sui Salmi, ma  leggendo assiduamente la sua Bibbia e camminando giorno per giorno con il Signore, sia in tempi facili che in quelli difficili.

 

Sapevamo che l’ultimo anno per papà era stato particolarmente difficile, ma non si era mai lamentato della struttura dov’era. Noi figli cercavamo di visitarlo il più possibile, specialmente Daniele che viveva vicino a Milano lo andava a trovare tutti i giorni. Ma dopo tutta una vita – dopo anni di servizio per il Signore, di predicazioni e di tante persone che aveva conosciuto – alla fine le parole del Salmo 62 erano molto reali per lui.

Dio era veramente il suo rifugio, la sua rocca. 

La certezza che Dio fosse la sua salvezza sicura ed eterna lo aveva spinto a venire in Italia per portare lo stesso messaggio a un popolo che parlava anch’esso di Dio e della fede, ma senza alcuna certezza concreta.

 

Papà aveva una relazione vera e personale con Dio. Era un uomo di altri tempi, cresciuto in un periodo in cui dimostrazioni pubbliche d’affetto non erano viste di buon occhio. Infatti dubito che suo padre lo avesse mai abbracciato o baciato. L’amore si affermava con la fedeltà, la cura e la presenza. 

Ma quando siamo nati il mio gemello e io, so che papà ha dovuto aiutare nostra mamma. Ci cambiava il pannolino e ci dava il biberon più di quanto abbiano fatto tanti altri padri dell’epoca. Sicuramente più di quanto suo padre avesse fatto con lui.

A me piaceva tenere per mano mio papà. Ricordo che quando una volta (ero grande ormai) per strada gli presi la mano, lui me lo permise con una certa titubanza, ma tenne la presa lo stesso. Io l’avevo fatto perché ero fiero di lui e volevo che tutti sapessero che ero suo figlio. 

Anche mio padre ha vissuto tutta la sua vita fiero di essere figlio di Dio, coraggioso nel proclamare il suo Signore, attento nell’onorarlo, sicuro della sua cura.

Con questa fierezza lo ha servito in tanti modi. Andava in piazza a predicare il vangelo. Predicava sotto le tende di evangelizzazione, e per lui era un onore. Si preparava sempre con cura per esporre la Parola di Dio la domenica e durante i convegni. Visitava le persone che avevano bisogno di essere incoraggiate, e per lui era una gioia.

 

Nel tempo ho potuto osservare da vicino la sua dedizione al Signore. La cosa che mi colpisce di più è che lui e mamma non si lamentavano mai. Sono sicuro che si stancavano anche loro, e parecchio, e papà soffriva pure di emicranie, ma non lasciava che le circostanze bloccassero il suo servizio. Dio era realmente il suo rifugio. 

Spesso era rattristato dai litigi e dalle divisioni tra credenti, dalla durezza con cui alcuni trattavano gli altri fratelli in fede. Aveva le sue convinzioni che non tutti  condividevano, ma non per questo era pronto a compromettere la comunione o il dialogo. 

Ho visto persone che papà aveva curato e servito parlare male di lui e criticarlo. So  che è stato ferito profondamente da molti, ma è rimasto fedele al Dio che è sempre stato la sua forte rocca, e non mai ha parlato male di nessuno. 

Sulla sua copia del libro di meditazioni sui Salmi, papà aveva cambiato il titolo del capitolo 10 mettendolo al personale. Il capitolo è una meditazione sul salmo 103, e anche qui aveva sottolineato alcune parole importanti.

1 Benedici, anima mia, il SIGNORE; e tutto quello ch’è in me, benedica il suo santo nome. 
2 Benedici, anima mia, il SIGNORE e non dimenticare nessuno dei suoi benefici
3 Egli perdona tutte le tue colpe, risana tutte le tue infermità; 
4 salva la tua vita dalla fossa, ti corona di bontà e compassioni
5 egli sazia di beni la tua esistenza e ti fa ringiovanire come l’aquila.

È evidente che anche davanti alle crescenti difficoltà legate alla salute di papà e all’isolamento, la sua lode per il Signore continuava a essere più presente. Ormai passava molte ore da solo, non aveva più la compagnia della mamma, fisicamente dipendeva dall’aiuto di altri, ma lodava Dio.

Quando ancora abitava con me e mia moglie, spesso prendeva l’innario e cominciava a intonare un canto dopo l’altro. La sua voce che lodava Dio risuonava forte per tutto l’appartamento. 

La vecchiaia può offuscare la visione della bontà di Dio nei propri confronti: nuove necessità possono renderci miopi sulla percezione di quanto il Signore sia generoso verso i suoi. Ma a papà non è successo. Non lo ha permesso perché vedeva che Dio gli dava beni a sazietà, così continuava a lodarlo per ogni cosa.

Ogni volta che mi sedevo con lui ero incoraggiato, perché aveva piacere nel raccontare come il Signore lo benediceva in tanti modi. Aveva parole gentili per tutti, e non si lasciava trascinare dalle lamentele degli altri.

Lui mi ha insegnato che si può invecchiare bene, anche quando fisicamente non si è più come prima. La chiave sta nel capire che non si arriva a una vecchiaia serena e felice tutt’a un tratto, ma bisogna costruirla già da adesso, sviluppando giorno dopo giorno una viva gratitudine verso Dio! Ricordare regolarmente, anche ad alta voce, le benedizioni di Dio era stata una delle sue abitudini che portava avanti da quando era giovane.

Quante ne conosciamo  di persone che invecchiano male, diventando sempre più amareggiate e lamentose. Grazie a Dio per papà non è stato così. 

Il 23 gennaio, 2020 ha sottolineato queste parole: 

La sua grazia è infinita, e il suo perdono è assoluto.

Certo, qualche volta anche lui si è sentito scoraggiato, e ha avuto momenti in cui si è chiesto perché Dio lo tenesse ancora in vita. Erano pensieri che lo assalivano nella sua solitudine, ma sapeva dove trovare le risposte nella Parola di Dio. Quella Parola che aveva insegnato con fedeltà per circa 70 anni, che aveva proclamato a persone scoraggiate e deluse, e aveva invitato coloro che non conoscevano il Signore a credere in Lui.

Nel suo ufficio, come anche nel suo salotto, sono passate decine e decine di missionari e servitori del Signore che gli hanno raccontato le loro difficoltà. In lui trovavano un orecchio attento, parole di conforto e preghiere sincere.

Mi ripeteva spesso che se avesse potuto tornare indietro avrebbe cercato di fare meglio, di amare Dio di più e di servirlo meglio. Eppure, nell’ultimo anno della sua vita ripeteva spesso che stava imparando a conoscere il Signore più profondamente, e che ne era felice.

Il 21 gennaio, circa due mesi prima di andare col Signore, ha sottolineato nel libro 31 giorni nei salmi queste parole:

Re Davide non dubitava della potenza del suo Signore, infatti aveva imparato che la potenza di Dio manifesta la sua gloria, e non è a servizio dei desideri umani. Che il Signore ci dia la stessa convinzione e lo stesso desiderio di Davide, affinché, sostenuti dalla sua grazia, possiamo vivere consapevoli della sua infinita potenza, e portargli sempre gloria.

Ho imparato tanto da papà, e il suo esempio ha segnato la mia vita. Le sue convinzioni e il suo amore per il Signore continuano a fare eco anche nelle stanze degli uffici della Voce del Vangelo, mentre continuiamo a raggiungere il nostro prossimo con la Parola di Dio.

Imitatori imitabili

L’apostolo Paolo esortava i credenti dicendo: “Le cose che avete imparate, ricevute, udite da me e viste in me, fatele; e il Dio della pace sarà con voi” (Filippesi 4:9).

Non si considerava un supereroe della fede, anzi aveva ammesso senza falsa modestia: “Certa è quest’affermazione e degna di essere pienamente accettata: che Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori, dei quali io sono il primo” (1 Timoteo 1:15).

E diceva ancora: “perché io sono il minimo degli apostoli e non sono degno di essere chiamato apostolo, perché ho perseguitato la chiesa di Dio” (1 Corinzi 15:9).

Paolo ripeteva spesso che qualunque cosa facesse era per grazia e per mezzo delle forze che Dio gli dava e per questo poteva dire anche: “Siate miei imitatori, fratelli, e guardate quelli che camminano secondo l’esempio che avete in noi” (Filippesi 3:17).

Invitava le persone a imitarlo perché la sua vita era spesa a imitare Cristo. 

Noi, a volte, al contrario di Paolo, ci tiriamo indietro pensando che sono parole che non potremmo mai pronunciare. E forse abbiamo ragione. Ma hai mai pensato che, comunque sia, sia che le pronunciamo oppure no, non potremo evitare di essere osservati o imitati?

Capita che mi dicano che assomiglio a papà nei modi di fare. La stessa cosa succede a mio figlio: vedono qualcosa di me in lui. Ma la gente, cosa vede in noi del nostro Padre celeste? È inevitabile avere una certa influenza sugli altri, sia nel bene che nel male. Però, se il mio esempio è negativo è ora di cambiare!

Seguendo il modello di Paolo, facciamo giornalmente questi passi che ci possono rendere imitabili. 

  • Prima di tutto teniamo d’occhio le nostre priorità. “Ma ciò che per me era un guadagno, l’ho considerato come un danno, a causa di Cristo” (Filippesi 3:7). ello che era stato importantissimo prima di diventare seguaci di Cristo adesso non ha più alcun di valore.
  • In secondo luogo, abbandoniamo tutto ciò che ci frena dall’imitare Cristo. “Anzi, a dire il vero, ritengo che ogni cosa sia un danno di fronte all’eccellenza della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho rinunciato a tutto; io considero queste cose come tanta spazzatura al fine di guadagnare Cristo” (Filippesi 3:8). Valutiamo ogni cosa alla luce dello scopo della nostra vita.
  • Terzo, sviluppiamo una consapevolezza giusta del nostro status davanti a Dio. Come Paolo, il nostro traguardo è “di essere trovato in [Cristo] non con una giustizia mia, derivante dalla legge, ma con quella che si ha mediante la fede in Cristo: la giustizia che viene da Dio, basata sulla fede” (Filippesi 3:9). Sapeva che tutto quello che faceva era per grazia di Dio, e che non erano le buone opere che lo rendevano giusto davanti a Lui.
  • Quarto, abbiamo un solo obiettivo: “Tutto questo allo scopo di conoscere Cristo, la potenza della sua risurrezione, la comunione delle sue sofferenze, divenendo conforme a lui nella sua morte,per giungere in qualche modo alla risurrezione dei morti” (Filippesi 3:10,11). Paolo sapeva che un giorno avrebbe incontrato Cristo faccia a faccia, e voleva a tutti i costi essere perfetto per quel momento.
  • Quinto, il nostro cammino dura tutta la vita. “Non che io abbia già ottenuto tutto questo o sia già arrivato alla perfezione; ma proseguo il cammino per cercare di afferrare ciò per cui sono anche stato afferrato da Cristo Gesù. Fratelli, io non ritengo di averlo già afferrato; ma una cosa faccio: dimenticando le cose che stanno dietro e protendendomi verso quelle che stanno davanti” (Filippesi 3:12,13). Come Paolo, non permettiamo che né vittorie né fallimenti passati frenino il nostro progresso.
  • Sesto, qualunque cosa facciamo, facciamolo per piacere a Dio: “corro verso la mèta per ottenere il premio della celeste vocazione di Dio in Cristo Gesù” (Filippesi 3:14). La vita cristiana non è una passeggiata ma una corsa, con sofferenze, gioie e certezze. Possiamo anche noi affermare come Paolo che “Infatti per me il vivere è Cristo e il morire guadagno” (Filippesi 1:21)?

A essere onesti, è possibile che non siamo degli esempi positivi da imitare, ma Dio vuole che sia così. Volenti o nolenti le persone ci osservano, perciò faremmo bene a seguire l’esempio di Paolo.

Quando incontreremo il Signore che cosa ci dirà? 

Paolo, un credente normale consacrato al Signore, ha detto: “Ho combattuto il buon combattimento, ho finito la corsa, ho conservato la fede. Ormai mi è riservata la corona di giustizia che il Signore, il giusto giudice, mi assegnerà in quel giorno; e non solo a me, ma anche a tutti quelli che avranno amato la sua apparizione” (2 Timoteo 4:7,8). Potremo dire altrettanto di noi?

Che Dio ci aiuti ad essere imitatori di Cristo, e persone da imitare!             

Davide Standridge

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