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La Voce del Vangelo

La VOCE settembre 2022

Rompicapi spirituali

VI RICORDATE IL CUBO DI RUBIK, il rompicapo solitario popolarissimo negli anni ’80? Inventato dal professore di architettura ungherese Ernö Rubik, nel 1974, è stato premiato più volte come gioco dell’anno, e a oggi ne sono stati venduti più di 450 milioni di esemplari.

L’obiettivo del gioco, dopo che tutti i quadratini colorati delle sei facciate sono stati mischiati, è di ruotare i sei lati in modo che ognuno torni a mostrare un solo colore.

Esistono addirittura campionati internazionali dove i partecipanti devono risolverlo nel minor tempo possibile. Il record è 3,47 secondi! Alcuni ci riescono addirittura a occhi bendati dopo averlo osservato solo per qualche momento. Io lo trovo così complicato che non mi ci sono mai cimentato.

A volte, mi sembra che noi credenti trattiamo alcune verità bibliche come il cubo di Rubik, mescolandole impropriamente fino a confonderci. Il risultato è che non ne veniamo mai a capo, e di conseguenza, nel tentativo di trovare un senso nel nostro caos dottrinale, rischiamo di abbracciare concetti e idee estranei alle Scritture, oppure ci arrendiamo, pensando che comprendere la dottrina biblica non sia cosa importante.

In questo numero voglio affrontare una di queste verità bibliche oggetto di molte discussioni.

Il martello non lo risolve!

Il Signore Gesù, prima di andare in cielo, aveva fatto una promessa ai suoi discepoli: “Se voi mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre, ed egli vi darà un altro Consolatore perché sia con voi per sempre: lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete, perché dimora con voi, e sarà in voi” (Giovanni 14:15-17).

Nel corso della storia la promessa di Gesù di mandare lo Spirito Santo ha confuso e diviso tanti credenti. 

Chi riceve lo Spirito Santo? Quando lo si riceve? Come si fa a sapere se uno lo ha ricevuto? Come si manifesta? Sono tutte domande valide che i credenti si pongono. Le risposte si trovano tutte nel Nuovo Testamento. A una lettura superficiale però, soprattutto con dei preconcetti in testa, sarà difficile (se non impossibile) riconoscere il chiaro insegnamento delle Scritture.

L’interpretazione sensazionalista di alcuni versetti sullo Spirito Santo ha portato a travisarne la verità, generando divisioni nelle chiese e la nascita di sette e denominazioni.

L’obbiettivo di questo articolo è vedere insieme la promessa di Gesù, indiscutibilmente chiara nelle Scritture, e di confrontarci con essa. Saremo d’accordo sul fatto che ognuno che si definisce cristiano dovrebbe desiderare di conoscere bene ciò che la Bibbia insegna e attenersi solo a quello, senza aggiungervi nulla.  

CHI RICEVE LO SPIRITO SANTO E QUANDO  

Cominciamo la nostra ricerca biblica con le parole ispirate dell’apostolo Paolo ai Romani: “Voi però non siete nella carne ma nello Spirito, se lo Spirito di Dio abita veramente in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, egli non appartiene a lui (Romani 8:9 enfasi aggiunta).

Da notare la chiara accezione di queste parole: avere lo Spirito Santo è un segno determinante dell’essere nati di nuovo. Sei un cristiano o non lo sei, sei un figlio di Dio o non lo sei, sei nato di nuovo o sei ancora morto, hai lo Spirito Santo in te o non appartieni a Dio! Non ci sono vie di mezzo.

Ai credenti di Corinto Paolo scrive: “Non sapete che il vostro corpo è il tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete ricevuto da Dio? Quindi non appartenete a voi stessi. Poiché siete stati comprati a caro prezzo. Glorificate dunque Dio nel vostro corpo” (1 Corinzi 6:19,20 enfasi aggiunta).

Quei credenti facevano parte di una chiesa piena di problemi e contraddizioni, eppure Paolo non chiese loro se avessero ricevuto lo Spirito Santo o meno, ma: “Vi rendete conto di cosa implica l’avere lo Spirito in voi?” Se siamo credenti, lo Spirito di Dio è in noi: questo fatto deve trasformare la nostra vita!

Riguardo a tale trasformazione, Paolo dichiara: “Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mansuetudine, autocontrollo” (Galati 5:22). 

Queste sono le caratteristiche del vero cristiano, quindi se siamo nati dallo Spirito di Cristo anche noi dobbiamo possederle. Ci sono credenti che pensano di potersi accontentare solo di alcune di queste qualità, ma in realtà sono tutte interdipendenti tra loro, in pratica non si può essere gioiosi ma non avere pace, e non si può avere amore ma non benevolenza, solo per citare alcuni esempi. Si tratta di un unico frutto.

La domanda sorge spontanea: come mai, se lo Spirito Santo in me sta portando il suo frutto, non dimostro queste caratteristiche continuamente?

Non è una domanda fuori posto, né un problema solo nostro. Paolo l’affronta nella sua lettera ai Galati: “Io dico: camminate [vivete, comportatevi, progredite] secondo lo Spirito e non adempirete affatto i desideri della carne. Perché la carne ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; sono cose opposte tra di loro; in modo che non potete fare quello che vorreste” (Galati 5:16-18).

“Quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la carne con le sue passioni e i suoi desideri. Se viviamo per lo Spirito, camminiamo altresì per lo Spirito” (Galati 5:24,25).

I credenti hanno il dovere di leggere la Parola di Dio e di confrontarsi con essa per fare, con l’aiuto costante dello Spirito, tutto il necessario per uccidere quei desideri contrari alla volontà di Dio e di conseguenza allo Spirito Santo. È un cammino che dura tutta la vita, ma Dio si aspetta che ci sia un progresso costante, un comportamento ogni giorno più giusto e santo, grazie all’opera di Dio nei cuori, come Paolo ha scritto: “E ho questa fiducia: che colui che ha cominciato in voi un’opera buona, la condurrà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù” (Filippesi 1:6).

Se siamo nati di nuovo non dobbiamo domandarci se abbiamo ricevuto lo Spirito di Dio, ma piuttosto preoccuparci di come sta andando il nostro cammino sotto la sua guida.

Voglio ribadire che la risposta a questa domanda non è complicata come alcuni pensano, e non è da dimostrare con segni straordinari ed eclatanti. È molto più semplice di quello che si pensa, ma tanto importante da indurci a riflettere e farci un esame di coscienza.

HAI LO SPECCHIO. USALO!

Esaminare regolarmente il nostro progresso nella fede e nell’ubbidienza alla Parola di Dio è una decisione tra le più sagge che possiamo prendere. Dio, infatti, desidera che valutiamo la nostra vita, perché anche i credenti possono vivere sia da stolti che da saggi. E non dobbiamo demoralizzarci se spesso bisogna ammettere che abbiamo fallito. Una verifica onesta serve per spingerci a cambiare. Ecco come:

“Guardate dunque con diligenza a come vi comportate; non da stolti, ma da saggi; ricuperando il tempo perché i giorni sono malvagi. Perciò non siate disavveduti, ma intendete bene quale sia la volontà del Signore. Non ubriacatevi! Il vino porta alla dissolutezza. Ma siate ricolmi di Spirito, parlandovi con salmi, inni e cantici spirituali, cantando e salmeggiando con il vostro cuore al Signore; ringraziando continuamente per ogni cosa Dio Padre, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo; sottomettendovi gli uni agli altri nel timore di Cristo.” –Efesini 5:15-21

L’apostolo Paolo prima comanda loro di non essere disavveduti e rivalutare le proprie vite, poi gli ordina di essere ricolmi e traboccanti di Spirito Santo.

UN TRIS DI SEGNI INDISCUTIBILI

Abbiamo già visto che tutti i credenti hanno ricevuto lo Spirito Santo nel momento in cui sono stati salvati. Di seguito vedremo tre caratteristiche di chi non è più controllato dai desideri della carne ma è sotto il controllo e la guida dello Spirito che lo riempie, spingendolo a un comportamento che Dio gradisce.

  • La prima caratteristica è bellissima!

...parlandovi con salmi, inni e cantici spirituali, cantando e salmeggiando con il vostro cuore al Signore.

Chi ha conosciuto mio papà ricorderà la sua fedeltà e il suo servizio per il Signore. Molti lo hanno apprezzato negli anni per la sua capacità di leggere la Parola di Dio ad alta voce e spiegarla. Aveva il dono d’insegnamento e della predicazione, dono che ancora oggi è un beneficio per tutti attraverso tanti suoi libri e centinaia di articoli sulla Voce del Vangelo che noi di tanto in tanto riproponiamo.

In pochi sanno, però, che amava tanto cantare. Anche quando ormai gli era difficile muoversi, non era insolito trovarlo seduto sulla sua poltrona a cantare inni sia in italiano che in inglese. Lui concludeva così il suo tempo di lettura e meditazione della Parola di Dio, riempiva la stanza di lodi al Signore con la sua voce ancora intonata.

Efesini 5 descrive il primo segno della pienezza dello Spirito Santo che è quello di parlare e cantare attraverso salmi, inni e cantici spirituali.

Quante chiese fanno del canto motivo di divisioni e litigi inutili! I tre diversi termini usati – salmi, inni e cantici spirituali – significano che la pienezza di Spirito ci porta a lodare Dio nel canto in almeno tre modi differenti.

Nella chiesa primitiva i canti di lode a Dio per eccellenza erano i salmi. I primi credenti erano per lo più Ebrei che avevano l’abitudine di cantare i salmi dell’Antico Testamento. Quale modo migliore di esprimere le verità eterne di Dio se non cantando direttamente la sua Parola così com’è! Ma questi non sono l’unica espressione della nostra adorazione. 

La parola inni si riferisce a componimenti poetici cantati. 

Dato che gli inni seguono una metrica precisa e hanno una struttura chiara, è facile impararli a memoria. 

Paolo e Sila, carcerati a  Filippi per aver liberato una ragazzina da un demonio, cantavano inni. Era indice della loro continua pienezza dello Spirito anche in circostanze avverse. Questo perché il credente nel canto esprime soprattutto la consapevolezza della presenza di un Dio sovrano nella sua vita, e non solo riconoscenza quando tutto va bene. 

Il terzo termine che Paolo usa è cantici spirituali. Questa parola esprime l’idea di cantare una preghiera e delle espressioni di lode, gioia e sottomissione al Signore.

Alcune chiese hanno abbracciato l’idea che il canto debba seguire il più possibile la moda. Uno sguardo al panorama della musica evangelica contemporanea rivela che c’è il grande rischio che diventi più importante delle parole. Si fa molta più attenzione al ritmo, al feeling, alla bravura dei musicisti e dei cantanti piuttosto che ai testi.

Così, però, trasmettiamo la falsa idea che la musica nella chiesa debba intrattenere, trasportare ed evocare chissacché. In realtà i canti devono avere un testo che sia teologicamente sano, profondo e chiaro nel significato, e la loro struttura dev’essere adatta a imprimere nella mente le verità espresse. Il canto serve ad attirare i cuori a Dio, e suono e ritmo dovrebbero collaborare con le parole sottolineandole. 

Altrimenti può capitare che andiamo via dal culto pensando di aver avuto un’autentica esperienza spirituale quando, in realtà, la musica ha solo cibato la nostra carnalità sollecitando le emozioni. In questo le guide della chiesa hanno una seria responsabilità: devono valutare bene quello che si canta e come lo si suona durante la scuola domenicale, le riunioni dei giovani e il culto.

Qualunque sia la nostra preferenza musicale, cantare rimane un’espressione dell’opera dello Spirito Santo in noi:

Esultate, o giusti, nel SIGNORE; la lode s’addice agli uomini retti. Celebrate il SIGNORE con la cetra; salmeggiate a lui con il saltèrio a dieci corde. Cantategli un cantico nuovo, suonate bene e con gioia. Poiché la parola del SIGNORE è retta e tutta l’opera sua è fatta con fedeltà.
—Salmo 33:1-4

I giusti, cioè coloro che Dio ha giustificati in Cristo, fanno attenzione a come si comportano, e non possono fare a meno di esaltare Dio, la sua Parola, le sue opere e il suo carattere col canto.

Ciò che cantiamo con la chiesa o per conto nostro rivela ciò che sta avvenendo nel nostro cuore, e quello che per noi conta davvero. Rivela il lavoro dello Spirito Santo che spinge il credente a focalizzare il suo amato Signore Gesù per ascoltarlo, obbedirgli e per assomigliargli.

  • La seconda caratteristica è toccante

...ringraziando continuamente per ogni cosa Dio Padre, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo.

Una delle storie più sorprendenti della Bibbia l’ha raccontata Gesù, ed è quella di un giovane sprecone che è andato dal padre dicendogli: facciamo finta che tu sia morto, dammi ora la mia eredità! 

È il ritratto della più sfacciata ingratitudine di chi vuole avere tutto ed essere padrone di sé, e non sentirsi più dipendente dalle cure e dall’autorità del padre.

In quale miseria è dovuto cadere prima di rendersi conto che con il padre stava meglio!

La gratitudine verso Dio è importante, infatti è la seconda caratteristica del credente ricolmo dello Spirito.

Non è un tipo di riconoscenza casuale né una semplice emozione, ma è la consapevolezza di chi è Dio. Ecco perché è un’espressione della pienezza dello Spirito.

Amarezza, rabbia, lamentela, insoddisfazione e ribellione sono l’opposto della gratitudine. Spesso proviamo a scusare questi atteggiamenti negativi davanti alle circostanze avverse o a persone ostili. Lo Spirito però ci ricorda che Dio è sovrano su tutto e tutti, per cui l’ingratitudine è, in effetti, un’accusa contro di Lui.

Paolo scrive: “La pace di Cristo, alla quale siete stati chiamati per essere un solo corpo, regni nei vostri cuori; e siate riconoscenti. La parola di Cristo abiti in voi abbondantemente, ammaestrandovi ed esortandovi gli uni gli altri con ogni sapienza, cantando di cuore a Dio, sotto l’impulso della grazia, salmi, inni e cantici spirituali. Qualunque cosa facciate, in parole o in opere, fate ogni cosa nel nome del Signore Gesù, ringraziando Dio Padre per mezzo di lui” (Colossesi 3:15-17).

Essere sempre più consapevoli dell’opera di Cristo nella nostra vita produce riconoscenza. Questo accade quando la Parola di Dio ci influenza trasformando il nostro modo di ragionare e di comportarci.

Se torniamo al versetto di Efesini 5:20 ci rendiamo conto che lo Spirito ci spinge a essere grati tutto il tempo, e per ogni cosa.

Ma dato che le difficoltà, le malattie, i momenti tristi toccano tutti, ovviamente per i cristiani non è più facile che per gli altri essere sempre grati. Anzi, Gesù ha predetto proprio il contrario, e cioè che avremmo avuto tribolazioni, e che il mondo ci avrebbe trattati male. L’espressione più cristallina e sorprendente di gratitudine, infatti, nasce dall’affrontare i momenti più difficili. Chi dice che il credente non s’ammala e non soffre sta mentendo.

La gratitudine, segno della pienezza dello Spirito, mette in evidenza il nostro rapporto con Dio Padre e la nostra dipendenza da Lui, e la sottomissione al Signore Gesù. Nulla succede nella nostra vita che non sia voluto, governato e guidato dal nostro Padre celeste perché Lui ci ama.

Vuoi sapere se sei ripieno di Spirito Santo? Considera quanto sei grato a Dio e sottomesso alla sua Parola. Non è complicato, ma farlo sicuramente ci spinge a una profonda riflessione.

  • La terza caratteristica è sorprendente!

...sottomettendovi gli uni agli altri nel timore di Cristo.

La vita terrena di Gesù, Dio incarnato, è stata straordinaria sotto tutti i punti di vista: ha vissuto senza peccato, ha fatto miracoli incontestabili, ha parlato come mai nessun altro, ha dimostrato di conoscere ogni cosa, è morto solo perché l’ha voluto lui, ed è risorto gloriosamente. Alla luce di tutto questo c’è un evento particolare che assume un grande significato, e dovrebbe sorprenderci e sfidarci.

Durante l’ultima cena con i suoi discepoli Gesù ha fatto un discorso, concludendo con queste parole: “Se sapete queste cose, siete beati se le fate” (Giovanni 13:17).

Di cosa stava parlando? Cosa dobbiamo sapere? Cosa dobbiamo fare? 

Gesù, consapevole che stava per arrivare il momento più tremendo della sua vita, si umiliò davanti ai suoi discepoli che più volte avevano litigato su chi fosse il più importante tra loro, si cinse di un asciugatoio e lavò i loro piedi, un compito umile che spettava agli schiavi. Alla fine, disse: “Vi ho dato un esempio, affinché anche voi facciate come vi ho fatto io” (Giovanni 13:15).

Da lì a pochi giorni la vita degli apostoli sarebbe cambiata drasticamente: dopo l’assunzione in cielo di Gesù, lo Spirito Santo sarebbe venuto ad abitare in loro e li avrebbe guidati, sorretti e resi capaci di svolgere il compito affidato a loro: portare il vangelo a ogni creatura. Ma avrebbero anche seguito l’esempio di Gesù e si sarebbero sottomessi gli uni agli altri.

I discepoli di Gesù devono, dunque, servirsi umilmente gli uni gli altri di propria volontà.

Noi, duemila anni più tardi, non solo dobbiamo servire come ha fatto Gesù ma dobbiamo camminare, cioè vivere la vita di tutti i giorni in ubbidienza a Cristo, sottomettendoci gli uni agli altri.

Il terzo segno indubbio della pienezza di Spirito Santo è espresso quindi dalla frase: “sottomettetevi gli uni agli altri.”

Diciamoci la verità: è un concetto che non piace, ci prende in contropiede e cozza con i nostri diritti e la nostra dignità.

Infatti sottomettersi si contrappone al desiderio umano di ribellarsi. Partendo dai nostri progenitori Adamo ed Eva, l’umanità è in continua ribellione contro Dio. Oggi viviamo in un mondo che si oppone con veemenza all’ordine e alle leggi stabilite da Dio.

La Bibbia, invece, non solo comanda la sottomissione, ma la esorta, la loda e la premia. Ci ordina di sottometterci prima di tutto a Dio e a Cristo, poi alle autorità governative, la moglie al marito, i figli ai genitori, i lavoratori ai datori di lavoro, i credenti alle guide della chiesa.

La sottomissione è diversa dall’obbedienza, e non la si può imporre a nessuno. L’obbedienza può essere comandata, ma la sottomissione no, perché riguarda l’atteggiamento del cuore, ed è volontaria. Deriva da un termine militare, e presupponeva due decisioni da parte di una persona: il riconoscimento dell’autorità in comando e la prontezza a mettersi sotto le decisioni di essa.

L’essere ripieni dello Spirito è dimostrato perciò dalla nostra relazione con le autorità preposte da Dio stesso. Quando la Bibbia parla della sottomissione (circa 80 volte) ha sempre a che fare con il rapporto con un’autorità superiore.

Le uniche due eccezioni alla sottomissione comandata dalle Scritture sono quando l’autorità 1) comanda di fare quello che Dio vieta o 2) vieta di fare quello che Dio comanda (Atti 4:18-20; 5:29).

La sottomissione alle autorità preposte è una dimostrazione della pienezza dello Spirito proprio perché senza il suo aiuto non ci viene naturale attuarla. In ogni modo, il punto focale non sono le autorità, ma è Cristo che ha stabilito l’ordine delle cose e ha costituito le autorità esistenti (Romani 13:1).

Vuoi sapere se sei ripieno dello Spirito? Esamina se la tua sottomissione è conforme a quella che comandano le Scritture.

Nelle lettere di Paolo abbiamo visto la descrizione di un credente ripieno dello Spirito Santo. Non deve fare miracoli, profetizzare o parlare in lingue sconosciute, ma deve vivere ogni giorno in modo da portare lode al suo Dio, con gratitudine e con sottomissione nel timore di Cristo.

Sapere se si è ripieni dello Spirito è molto meno complicato che cercare di risolvere il cubo di Rubik. E la chiave per uscire dalla confusione dottrinale è semplice e alla portata di tutti: la Sacra Bibbia, che è la Parola di Dio. Allora serviamoci delle sue parole. 

—Davide Standridge

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