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La Voce del Vangelo

Due caffè e la bilancia di Dio

 

DueDUE CAFFÈ E LA BILANCIA DI DIO

Opuscolo di evangelizzazione personalizzabile

Le religioni sostengono che per andare in paradiso bisogna fare sacrifici e delle buone opere.
Dio invece dice che non è così: c’è un solo modo per essere ammesso alla sua presenza.
Qual è il criterio di Dio? 

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PREZZI A COPIA PER IL NUMERO SPECIALE di evangelizzazione “DUE CAFFÈ E LA BILANCIA DI DIO”
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La VOCE marzo 2024

Il popolo amato da Dio, e scelto da lui come il suo tesoro particolare, ha conosciuto più di una volta la disfatta e la cattività come segno dell’ira di Dio. Egli non poteva passare sopra il suo peccato, la sua disubbidienza e il suo abbandono di lui.

Comunque, sempre nella sua grazia, quando cominciarono a rendersi conto della loro situazione e a pentirsi, Dio liberò il popolo e gli permise di ritornare nella sua terra promessa. Il Salmo 126 è un ricordo di questi fatti. Esso si riferisce a fatti e avvenimenti storici.

Però i pensieri espressi, esaltando la persona e l’opera di Dio, possono certamente essere applicati a delle verità molto personali e più vicine a noi. Leggiamo insieme il salmo e, poi, ricordiamo le circostanze della nostra vita attuale.

Salmo 126 - Canto dei pellegrinaggi

1. Quando il SIGNORE fece tornare i reduci di Sion, ci sembrava di sognare.
Dopo i lunghi anni di sottomissione a un potere pagano, e la sofferenza di condizioni di vita umilianti e difficili, legate proprio alla loro disubbidienza e allontanamento da Dio, furono convinti della loro incapacità di liberarsi. Perciò, la liberazione di Dio e il loro ritorno a Gerusalemme, avvenuti per grazia, sembravano irreali, un sogno da cui ancora dovevano risvegliarsi.

2. Allora spuntarono sorrisi sulle nostre labbra e canti di gioia sulle nostre lingue. Allora si diceva tra le nazioni: “Il SIGNORE ha fatto cose grandi per loro”. 
Il fatto della loro liberazione era motivo di gioia per Israele e di meraviglia per le nazioni pagane.

3. Il SIGNORE ha fatto cose grandi per noi, e noi siamo nella gioia. 
4. SIGNORE, fa’ tornare i nostri deportati, come torrenti nel deserto del Neghev. 

Finalmente anche tutto il popolo capì, si rallegrò della benedizione di Dio, e pregò per la salvezza dei loro fratelli ancora non tornati.

5. Quelli che seminano con lacrime, mieteranno con canti di gioia. 
Tornarono a seminare i loro campi abbandonati e raccoglievano i primi frutti abbondanti. Però, la semina era accompagnata da lacrime di dolore per la loro lunga assenza, per quelli non ancora tornati, e di pentimento per il peccato che lo aveva causato.

6. Se ne va piangendo colui che porta il seme da spargere, ma tornerà con canti di gioia quando porterà i suoi covoni.
Il pianto per la loro disubbidienza e i suoi risultati precedevano la loro gioia e preparavano i loro cuori per la grande festa della liberazione, per sola grazia, del popolo. 

Anche noi viviamo in un mondo in travaglio e sofferenza. 

La maggior parte delle creature di Dio, create apposta per vivere nella gioia e nel benessere della comunione con lui, vive nella schiavitù del peccato, con le sue terribili conseguenze. Infelicità, malattia, morte, corruzione, criminalità, ingiustizia, guerre senza fine riempiono i nostri giornali e le nostre televisioni. 

Ma il peggio deve ancora venire! 

Difatti, la Sacra Bibbia, Parola di Dio, non prevede il miglioramento di questo mondo, ma il suo continuo disastroso declino nell’illegalità e nella sofferenza come il frutto amaro del peccato. 

E non solo. Neanche la morte porterà il sollievo perché, come Gesù ha avvertito più volte, dopo la morte verrà il giudizio e l’eterna condanna. Si tratta di ciò che Dante ha rappresentato solo fantasiosamente. La realtà descritta da Gesù e profetizzata nell’Apocalisse va oltre qualunque immaginazione umana.

Il mondo, già sprofondato nel peccato e già giudicato, non ci crede, ma noi credenti, sì. E qui sta il dramma. 

Malgrado il fatto che noi comprendiamo molto bene la schiavitù del peccato e gli immensi dolori che porta già ora, noi sembriamo intrappolati in una condizione di sonno o di sogno, rifiutando di agire come Gesù ha comandato ai discepoli.

Per noi, spesso sembra che il nostro avvertimento del loro pericolo tremendo, anche dei nostri più cari parenti e amici, sa più di abitudine noiosa e dovuta che di allarme e passione di toglierli dal pericolo che certamente incontreranno.

Lacrime? Lacrime quando non bastano le nostre parole? Che sono? A che servono? Perché noi non piangiamo?

Gesù, malgrado che fosse Salvatore del mondo, pianse davanti all’incredulità della città santa di Gerusalemme. 

Paolo disse che dal primo giorno che era entrato nell’Asia “servendo al Signore con ogni umiltà e con lacrime… non mi sono tratto indietro dall’annunziarvi e dall’insegnarvi in pubblico e per le case… a ravvedervi dinanzi a Dio e a credere nel Signore Gesù Cristo” (vedi Atti 20:18-21). Il suo maggior ammonimento l’ha dato, però, agli anziani della chiesa, e si può leggere in Atti 20:26-35.

La nostra testimonianza, la nostra evangelizzazione, potranno veramente portare frutto se sono fatte occasionalmente, come abitudine, come dovere, con convinzione ma senza passione e compassione? 

A questo punto, per portare avanti il compito che stiamo discutendo, mi pare più importante, prima, la preghiera. 

Preghiamo, in riunioni grandi o piccole, e anche da soli, che il Signore ci faccia comprendere l’importanza dell’evangelizzazione, il valore incalcolabile del messaggio del vangelo e di comprendere non solo intellettualmente ma visivamente, internamente, anche emotivamente, il pericolo sicuro e inevitabile che affronta chi non si pente e non chiede misericordia a Dio.

Il mondo intero, compreso decine di parenti e centinaia di conoscenti nostri, tutta la gente della nostra città e paese, vanno inevitabilmente ma ciecamente verso il disastro e la sofferenza eterna. 

Pensiamo che, siccome noi abbiamo già testimoniato senza risultato, possiamo lasciarle al loro destino? 

Ma Dio non ci ha chiamati soltanto figli e santi, ma anche testimoni e ambasciatori. Non ascoltati? Dimessi per fallimento? Ci ha detto che non vale la pena, che possiamo considerarci come servi suoi ormai pensionati? No!

Prima la preghiera e le lacrime! Poi la semina senza sosta. Fino a che tutta Roma, tutta l’Italia, tutto il mondo, non abbia sentito il Vangelo della Grazia, c’è del lavoro da fare con lacrime! 

Il modello perfetto di vita per ogni essere umano è Gesù Cristo, l’unico uomo che è vissuto tutta la sua vita in amore perfetto, bontà illimitata, santità senza ombre, vittoria morale senza accuse.

E lo è tanto più per il credente che, per mezzo della rigenerazione, per grazia di Dio e per mezzo della fede nell’opera perfetta di Cristo, è chiamato a vivere ogni momento della sua vita in armonia, comunione e sottomissione al suo Salvatore e Signore.

Gesù ha pianto, e noi? Non pianse per gli errori suoi, ma per gli errori di altri, non per le proprie sofferenze, ma per le sofferenze di altri, non per il suo peccato ma per il peccato di altri.

“Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi coloro che ti sono mandati, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come la chioccia raccoglie i suoi pulcini sotto le ali; e voi non avete voluto!” (Luca 13:34). 

“Quando fu vicino, vedendo la città, pianse su di essa, dicendo: «Oh se tu sapessi, almeno oggi, ciò che occorre per la tua pace! Ma ora è nascosto ai tuoi occhi»” (Luca 19:41,42).

Sappiamo noi piangere per i nostri peccati? Abbiamo mai pianto per i peccati degli altri? 

Non so quante volte negli ultimi anni mi è capitato a letto, di notte, di non poter dormire. Ho pensato che forse Dio voleva che pregassi. Ho pregato per le persone e le cose che mi venivano in mente.

A volte, mi sono domandato cosa vedeva Dio, guardando a Roma nello stesso momento in cui pregavo. Pensavo a quante persone ricche, importanti o famose erano coinvolte in quel momento nel peccato. Pure religiosi! Ma anche i poveri e le masse in mezzo. Criminali, sfruttatori, drogati, giocatori d’azzardo. Anziani sofferenti in povere case, in ospedali e asili, forse abbandonati. False religioni, sette diaboliche. Incidenti di auto, sparatorie, omicidi, suicidi. Mariti e mogli che litigavano e si odiavano. Gente senza lavoro, senza soldi, senza speranza. Più pensavo e più mi sembrava di vedere non Roma ma l’inferno.

Ma per questa gente ancora in vita potevo pregare, dovevo pregare. Dio voleva che molti pregassero per questa città e i suoi abitanti che presto o tardi sarebbero morti sotto la condanna eterna. E così pregavo, con grande tristezza per la città e il suo destino. Ma, per quanto mi riguarda, non mi ricordo di avere pianto.

Certamente si tratta di un soggetto di preghiera che noi tutti possiamo condividere, sicuri che Gesù, vedendo un mondo simile, avrebbe pianto.

Guglielmo Standridge
15 giugno 2014

NUOVO OPUSCOLO DI EVANGELIZZAZIONE 

 

DueDUE CAFFÈ E LA BILANCIA DI DIO

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A.A.A. Cercasi amore

 

A.A.A. Cercasi amoreA.A.A. CERCASI AMORE

Opuscolo di evangelizzazione personalizzabile

Tutti sono assetati d'amore. Nessuno ne ha mai abbastanza.
Ogni storia parte con le migliori intenzioni, ma col tempo si scopre che, nonostante promesse giurate e pegni ricevuti, il vero amore sembra irraggiungibile.
Dove trovare qualcuno che mi ami veramente? 

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La VOCE marzo 2023

La parola cristiano nel linguaggio popolare è per molti sinonimo di uomo: se non sei un animale sei un cristiano. 

C’è chi addirittura si offende se dici che non tutti sono cristiani. 

Ma la maggior parte delle religioni professate nel mondo non hanno nulla a che fare con il cristianesimo, ed è quindi un errore chiamare cristiana una persona che non lo sia per propria scelta e convinzione. Infatti cristiano non si nasce, ma si diventa.   

Nel Nuovo Testamento, che definisce il cristiano, esiste anche un altro termine riferito ai credenti in Cristo, la parola discepolo. Avendo una connotazione particolare, è molto meno usata e meno familiare del termine cristiano.

Siamo cristiani o siamo discepoli?
Esistono cristiani che non sono discepoli?
Essere discepoli è diverso dall’essere cristiani?

Tu come ti definiresti? 

Cercare di capire se esiste una distinzione tra un discepolo e un cristiano per gli studiosi di teologia non è affatto un arido esercizio accademico. Il Signore Gesù stesso, che all’apice del suo ministero terreno di seguaci ne aveva un’infinità, considerava fondamentale che le persone capissero bene che non tutti erano discepoli. Di seguaci ne aveva tanti, ma di discepoli?

Per Dio non è un problema riconoscere chi sono i suoi discepoli, perché lui vede nei cuori. Invece chi è solo un seguace spesso s’illude di essere discepolo quando non lo è. E quest’illusione costerà cara a tantissime persone, perché è una questione di vita o di morte!

A volte si confondono anche i discepoli con gli apostoli. Ma gli apostoli erano i dodici uomini che Gesù aveva scelto tra tutti i suoi discepoli. Perciò quando parlo di discepoli non mi riferisco agli apostoli. Gesù aveva molti seguaci e molti discepoli. 

Migliaia di persone erano attirate da Gesù, dalle sue parole e dai suoi miracoli. 

Le folle lo seguivano da un villaggio a un altro, ma non capivano che il Signore richiedeva loro qualcosa in più del semplice corrergli dietro per vedere o ricevere un suo miracolo. Infatti Gesù dovette spesso mettere in guardia le persone, con affermazioni chiare e senza mezzi termini, dicendo loro:

“Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e persino la sua propria vita, non può essere mio discepolo. E chi non porta la sua croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo. 
Chi di voi, infatti, volendo costruire una torre, non si siede prima a calcolare la spesa per vedere se ha abbastanza per poterla finire? Perché non succeda che, quando ne abbia posto le fondamenta e non la possa finire, tutti quelli che la vedranno comincino a beffarsi di lui, dicendo: «Quest’uomo ha cominciato a costruire e non ha potuto terminare».
Oppure, qual è il re che, partendo per muovere guerra a un altro re, non si sieda prima a esaminare se con diecimila uomini può affrontare colui che gli viene contro con ventimila? Se no, mentre quello è ancora lontano, gli manda un’ambasciata e chiede di trattare la pace.
Così dunque ognuno di voi, che non rinuncia a tutto quello che ha, non può essere mio discepolo” (Luca 14:25-33).

Molti andavano dietro a Gesù, ma non tutti erano suoi discepoli. 

La parola discepolo significa colui che impara da un maestro, seguendolo e ubbidendogli.

C’era una differenza (ed esiste ancora) tra chi seguiva il Signore Gesù e chi invece era suo discepolo: al discepolo era richiesto uno standard molto alto di impegno e dedizione.

Essere discepolo esigeva una scelta radicale: rinunciare a tutto. 

Nulla poteva essere più importante di seguire Cristo Gesù, imparare da lui, imitarlo e obbedirgli a qualsiasi costo. Una simile decisione non era da prendere alla leggera. Il costo da pagare era molto alto, infatti, molti discepoli sarebbero stati uccisi per la loro fede, così come sarebbe stato ucciso il loro Maestro.

Essere discepolo vuol dire identificarsi con il Maestro, nel bene e nel male. “Basti al discepolo essere come il suo maestro e al servo essere come il suo signore. Se hanno chiamato Belzebù il padrone, quanto più chiameranno così quelli di casa sua” (Matteo 10:25).

La vera persecuzione contro i discepoli sarebbe cominciata dopo l’ascesa al cielo del Signore Gesù. Lui li aveva avvisati dicendo: “Io vi ho detto queste cose, affinché non siate sviati. Vi espelleranno dalle sinagoghe; anzi, l’ora viene che chiunque vi ucciderà, crederà di rendere un culto a Dio. Faranno questo perché non hanno conosciuto né il Padre né me. Ma io vi ho detto queste cose affinché, quando sia giunta la loro ora, vi ricordiate che ve le ho dette. Non ve le dissi da principio perché ero con voi” (Giovanni 16:1-4).

Essere discepoli non era per i deboli di cuore: avrebbero perso le famiglie, gli amici e spesso anche la vita. E i loro uccisori sarebbero stati fieri, credendosi per queste azioni veri seguaci di Dio.

Essere discepoli era un cammino arduo e senza scorciatoie, da cui non si tornava indietro, ma anche un cammino di grandi benedizioni. Infatti a quei Giudei che avevano creduto in lui, Gesù disse: “Se perseverate nella mia parola, siete veramente miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” (Giovanni 8:31,32). 

Il discepolo conosce bene quello che ha detto Gesù, si aggrappa a ogni suo insegnamento, e lo mette in pratica senza compromessi.

Il discepolo è amato da Dio, e Cristo si manifesterà a lui: “Chi ha i miei comandamenti e li osserva, quello mi ama; e chi mi ama sarà amato dal Padre mio, e io lo amerò e mi manifesterò a lui” (Giovanni 14:21).

Al discepolo Cristo ha promesso la sua pace, la sua presenza, la gioia completa e lo Spirito Santo (Giovanni 14:25-27). 

I discepoli sarebbero diventati una comunità; era questo, infatti, il disegno di Cristo per la sua chiesa: “Io vi do un nuovo comandamento: che vi amiate gli uni gli altri. Come io vi ho amati, anche voi amatevi gli uni gli altri. Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri” (Giovanni 13:34,35). La chiesa è una comunità unica e sorprendente, dove i discepoli si amano in modo genuino, avendo imparato ad amare da Gesù in persona.

Al discepolo è riservato un futuro glorioso: “Padre, io voglio che dovo sono io, siano con me anche quelli che mi hai dati, affinché vedano la mia gloria che tu mi hai data; poiché mi hai amato prima della fondazione del mondo” (Gesù, in Giovanni 17:24). 

È significativo che nel Nuovo Testamento la parola discepolo (in tutte le sue varie forme) si trovi più di 200 volte. In alcuni casi si riferisce ai seguaci in generale, altre volte ai veri discepoli. Solo più tardi, come attesta Luca: “ad Antiochia, per la prima volta, i discepoli furono chiamati cristiani” (Atti 11:26).

In altre parole, c’è un solo modo di essere cristiani: essere discepoli.

Oggi, con l’abuso della parola cristiano, rischiamo di dimenticare che un credente in Cristo è anzitutto un discepolo. Quindi, secondo quello che la Bibbia insegna, solo una persona che ubbidisce a Cristo e che s’impegna per diventare come lui può essere chiamato cristiano. 

A questo punto è logico domandarsi se siamo davvero dei discepoli o solo dei seguaci di una religione. 

La Bibbia è chiara su chi è un cristiano: chi crede in Gesù come unico e personale Salvatore e lo serve come indiscusso Signore della propria vita. 

Forse il desiderio di riempire le nostre sale di culto con nuove persone ci ha fatto trascurare di spiegare bene che seguire Cristo ha un costo. Quando una persona dichiara di voler credere in Cristo, in qualunque modo lo faccia, sia con una preghiera, sia per alzata di mano, la sua decisione deve portarla a vivere una vita da discepolo.

Dopo la sua resurrezione Gesù incontrò i suoi discepoli per l’ultima volta in Galilea, e gli disse: “Ogni potere mi è stato dato in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate miei discepoli tutti i popoli battezzandoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutte quante le cose che vi ho comandate. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine dell’età presente” (Matteo 28:18-20).

Ai discepoli è comandato di fare discepoli! Non avrebbero potuto farlo con le loro forze, ma tramite il potere che Dio ha dato a Gesù come Signore assoluto di ogni cosa. E lui avrebbe accompagnato i discepoli nel loro arduo compito fino alla fine.

Noi spesso perdiamo di vista la nostra prima responsabilità di essere discepoli e poi di fare discepoli insegnando loro a osservare tutte le cose che Gesù ha insegnate. 

Questo vuol dire che dovremmo tutti esaminare le nostre vite, osservare con più attenzione coloro che sono seguaci e non ancora discepoli, ed essere saggi nel presentare il vangelo alle persone intorno a noi.

Davide Standridge 

A.A.A. CERCASI AMORE

Come tutti gli anni, anche questa volta abbiamo preparato un opuscolo evangelistico dal titolo A.A.A. CERCASI AMORE, che puoi leggere CLICCANDO QUI. La nostra preghiera è che sia uno strumento che tu possa usare per portare il messaggio del vangelo alle persone intorno a te.

Le copie che ordinerai possono essere personalizzate gratuitamente per te o per la tua chiesa, con il vostro indirizzo e con il messaggio che ci indicherai. Vedi le informazioni su quantitativi e prezzi, e su come fare l’ordine, alla quarta pagina dell’opuscolo stesso!

E proprio per le circostanze che stiamo vivendo, abbiamo preparato anche una versione digitale dell’opuscolo che può essere inviata tramite WhatsApp. È gratuita, ma non personalizzabile. Puoi farne richiesta scrivendoci a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. e indicandoci il tuo numero di cellulare dove vuoi che te la inviamo. 

Ormai facciamo tutti parte di chat e gruppi sui nostri smart-phone, e questo potrebbe essere un ottimo strumento per aiutarti a parlare della tua fede. Non costa nulla, se non un po’ di tempo.

Che il Signore ci usi per diffondere il vangelo della sua grazia a chi non lo conosce.

 

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Soltanto parole?

Soltanto parole?

Il foglio evangelistico "SOLTANTO PAROLE?" è una presentazione chiara e semplice di Gesù, l'unico che dice sempre la verità. In un mondo pieno di parole vuote e deludenti diventa indispensabile sapere di chi ti puoi fidare. Come tutti i nostri opuscoli evangelistici, anche questo può essere personalizzato con un tuo messaggio che inseriamo nello spazio predisposto.

Soltanto parole?SOLTANTO PAROLE?

Opuscolo di evangelizzazione personalizzabile

Credere alle parole e voci bugiarde possono avere conseguenze catastrofiche. Conoscere la verità è indispensabile per salvarti l'anima.

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Il potere della verità

Il potere della verità

Il foglio evangelistico "IL POTERE DELLA VERITÀ" è una presentazione chiara e semplice del bisogno dell'uomo di conoscere la verità in un'epoca come la nostra che rifiuta gli assoluti e l'esistenza stessa di una verità oggettiva e universale. Come tutti i nostri opuscoli evangelistici, anche questo può essere personalizzato con un tuo messaggio che inseriamo nello spazio predisposto.

Il potere della veritàIL POTERE DELLA VERITÀ

Opuscolo di evangelizzazione personalizzabile

Molte persone rifiutano la verità di Dio, perché vogliono sentirsi libere di vivere come vogliono. La vera libertà invece viene dal conoscere e dal sottomettersi alla Verità che è Cristo stesso.

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La VOCE marzo 2021

“Come mai non hai fatto i compiti?” “Per quale ragione non hai riordinato la tua stanza?” “Perché mi hai disubbidito?”

Mi ritornano in mente le parole di mia mamma quando mi chiedeva perché non avessi fatto quello che mi aveva chiesto.

Poi, quando la domanda veniva da mio padre il fatto si faceva più serio per me.

Il più delle volte non avevo una buona spiegazione, ma cercavo lo stesso di giustificarmi meglio che potevo.

Nel tempo diventava sempre più difficile rispondere in modo convincente, perché mi rendevo conto che non bastava più trovare scuse banali.

Una volta cresciuto, non erano più i miei genitori a interrogarmi su certi perché, bensì i miei professori all’università prima, i datori di lavoro poi, e pure le persone vicine a me. E non si trattava più di monellerie di ragazzini, ma di questioni tra adulti.

È ovvio che non tutte le dimenticanze erano cose serie, ma certe erano importanti e mi avevano messo davanti alle mie responsabilità.

Siamo tutti fallibili e dobbiamo fare i conti con le nostre mancanze. Non tutte le richieste sono formulate in modo chiaro, e si possono pure presentare situazioni impreviste che ci impediscono di compiere il nostro dovere. 

Ma quando è Dio a chiedermi qualcosa, io come rispondo?

Davanti a Dio nessuna scusa tiene! 

Le sue richieste sono chiare, logiche, appropriate, autorevoli e giuste. E davanti a ciò che mi chiede Lui, non c’è cosa più saggia che domandarmi perché non ubbidisco. 

Posso razionalizzare quanto mi pare, dire che sono umano e quindi fallibile, ma col Signore non attacca. È molto meglio farsi un attento esame di coscienza sincero. 

Non posso permettermi di non pensarci o essere superficiale, perché così tornerò solo a ripetere le mie azioni.

Lui ci ha dato incarichi precisi e compiti da svolgere. Uno tra i più importanti è questo: “Ogni potere mi è stato dato in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate miei discepoli tutti i popoli battezzandoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutte quante le cose che vi ho comandate. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine dell’età presente” (Matteo 28:18-20).

Il concetto è chiaro: portare il vangelo alle persone deve essere uno stile di vita. Non abbiamo incarico più importante di questo. 

Quando il Signore ce l’ha affidato, ha assicurato che ci avrebbe accompagnato in questa responsabilità con la sua onnipotenza e la sua presenza costante. 

Eppure, tante volte recalcitriamo: “Il comando è chiaro, il suo aiuto è garantito, ma… lo facciano gli altri. Io no.”

Davanti alla giusta domanda di Gesù “Perché non evangelizzi?” come risponderei?

Non mi sento all’altezza… Non ho una preparazione adeguata… Non ho il dono dell’evangelista… Non ho la chiamata… Non so come si fa… 

CINQUE MOTIVI PER CUI NON EVANGELIZZO

 

1. Non è una priorità

Per la maggior parte delle persone la vita si riduce a una somma di circostanze. Le situazioni che viviamo ci incanalano in un flusso ininterrotto di eventi, che andranno poi a determinare quali cose hanno per noi importanza prioritaria. Anche per molti credenti è così.

Le decisioni prese tanto tempo fa tengono ancora in pugno la scala delle nostre priorità.

Abbiamo scelto una carriera? Ogni avanzamento professionale richiede un impegno sempre maggiore. 

Ci siamo sposati? Coltivare un matrimonio felice è un lavoro a tempo pieno. 

Abbiamo figli? Accompagnarli a scuola, aiutarli con i compiti, educarli, portarli a fare sport o a lezioni di musica è una giostra che continua a girare sempre. 

Quando le cose stanno così, sfido chiunque a trovare del tempo libero per qualsiasi altra cosa. 

“Insegnaci dunque a contare bene i nostri giorni, per acquistare un cuore saggio” (Salmo 90:12). 

Non permettiamo che le circostanze o la società ci impongano una scala di valori e delle priorità non adatte ai figli di Dio. 

Stabilire quali siano le cose più importanti è un ruolo che spetta a Dio; e Lui ce le dice attraverso la sua Parola.

2. Non vedo il mondo come perduto

Il male nel mondo ci dà fastidio come credenti. Ci sono tanti “peccatori” che, coi loro commenti e con l’atteggiamento che hanno, possono urtare la nostra sensibilità. Subiamo ingiustizie in un modo o nell’altro tutti i giorni. 

I non credenti spesso sono veri e propri ostacoli alla nostra serenità e alla nostra pace… Il mondo è fatto così, non ci possiamo fare nulla… Non ci resta che evitare il più possibile di entrare in contatto con il male degli altri…

Siamo infastiditi, ma non proviamo compassione per certe persone; compatiamo piuttosto noi stessi per il fatto che dobbiamo conviverci.

Gesù invece “vedendo le folle, ne ebbe compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore” (Matteo 9:36). Erano le stesse persone che lo avrebbero crocifisso di lì a breve! 

Gesù non poteva fare a meno di avere compassione, era una sua qualità. Questo evidenzia il nostro bisogno di rivalutare il modo in cui vediamo le persone intorno a noi seguendo il suo esempio.

3. Non sono preparato

“Evito di parlare della mia fede, perché potrebbero farmi delle domande a cui non so rispondere. Farei solo una figuraccia. Non sono mica l’apostolo Paolo io!” 

Una preoccupazione legittima. Forse. 

È possibile che dovrai rispondere a domande difficili. Allora è meglio che ti dia da fare per essere pronto a rispondere a chi te le fa con sincerità. Restare nell’ignoranza o avere solo delle vaghe idee non è d’aiuto a nessuno. 

Essere preparati sugli argomenti della salvezza e della fede è importante anche per il tuo stesso benessere spirituale. Ci sono ottimi libri, facili da leggere e da comprendere, ci sono messaggi e studi anche su internet che ci possono aiutare. Ma se non ci diamo una mossa non saremo mai pronti né preparati.

Un modo sicuramente utile è quello di seguire dei corsi biblici sulle dottrine basilari della Bibbia, curati dall’Istituto Biblico Bereano oppure chiedi informazioni al nostro ufficio tel. 06-7002559, Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo..

“Siate sempre pronti a render conto della speranza che è in voi a tutti quelli che vi chiedono spiegazioni” (1 Pietro 3:15b).

4. Ho paura

Questa forse è la ragione più verosimile. Abbiamo paura della reazione delle persone, temiamo di perdere amici o di essere presi per fanatici. 

Ci giustifichiamo dicendo che viviamo una vita onesta, ed è quella la nostra testimonianza. Sarà la gente a chiederci qualcosa nel vedere il nostro buon comportamento. 

Purtroppo però può accadere che quando si presenta un’occasione per parlare del Signore non sappiamo coglierla, perché non la vediamo. Ma la realtà è che non la cerchiamo e non la stiamo aspettando perché, comunque, abbiamo paura.

Temiamo il giudizio delle persone, non ci piace sentirci diversi e vogliamo essere accettati.

“Se siete insultati per il nome di Cristo, beati voi! Perché lo Spirito di gloria, lo Spirito di Dio, riposa su di voi. Nessuno di voi abbia a soffrire come omicida, o ladro, o malfattore, o perché si immischia nei fatti altrui; ma se uno soffre come cristiano, non se ne vergogni, anzi glorifichi Dio, portando questo nome” (1 Pietro 4:14-16).

Dovremmo avere più paura di offendere Dio piuttosto che gli uomini!

5. Ho fallito troppe volte

“Ci ho provato, ma le persone non vogliono ascoltare discorsi sulla fede. Non sono capace di convincere nessuno, tanto meno di convertire qualcuno. Se non riesco ad avere un buon dialogo sulle cose spirituali con chi fa parte della mia vita, come potrei riuscirci con uno sconosciuto? E più ci provo, e meno mi stanno ad ascoltare. Ho perso ogni influenza su di loro.”

Sarà. Ma non sta a te cambiare il cuore di nessuno. Quella è un’opera esclusiva di Dio. Noi siamo solo suoi messaggeri.

Gesù ha detto: “Vi dico la verità: è utile per voi che io me ne vada; perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore; ma se me ne vado, io ve lo manderò. Quando sarà venuto, convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio” (Giovanni 16:7,8).

Sarà lo Spirito Santo a convincere chi vuole del proprio peccato e delle sue conseguenze, noi dobbiamo parlare alle persone e avvertirle di ravvedersi, in modo che siano riconciliate con Dio. E preghiamo che Lui possa aprire i loro occhi.

I professionisti della fede

È più facile lasciare che siano i missionari, gli evangelisti e le guide della chiesa a parlare di Cristo. Hanno sia la chiamata sia i doni necessari. Ma è un atteggiamento sbagliato. Anzi, se credi sia giusto così, dovresti preoccuparti sul serio del tuo rapporto con il Signore. Il principio spirituale “Dall’abbondanza del cuore la bocca parla” (Matteo 12:34) vale anche per questo. 

“Io sono debitore verso i Greci come verso i barbari, verso i sapienti come verso gli ignoranti;così, per quanto dipende da me, sono pronto ad annunciare il vangelo anche a voi che siete a Roma. Infatti non mi vergogno del vangelo; perché esso è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede; del Giudeo prima e poi del Greco; poiché in esso la giustizia di Dio è rivelata da fede a fede, com’è scritto: «Il giusto per fede vivrà»” (Romani 1:14-17).

Questo è ciò che Paolo ha scritto ai romani sotto ispirazione di Dio. 

Sapeva di essere debitore, e che aveva ricevuto una notizia che non poteva tenere per sé. Sapeva che Dio ha stabilito come la fede debba essere trasmessa: da persona a persona. Ogni credente deve ubbidire al comando di Dio.

Le mie giustificazioni di bambino non hanno mai funzionato con i miei genitori. Del resto le nostre scuse davanti alle nostre responsabilità mancate non convincono e non coprono lo sbaglio.

Quali scuse potrei mai presentare allora davanti al Signore che un giorno valuterà il mio operato? Non so tu, ma io desidero sentirlo dire: “Va bene, servo buono e fedele; sei stato fedele in poca cosa, ti costituirò sopra molte cose; entra nella gioia del tuo Signore” (Matteo 25:21).

Che Dio ci aiuti a rinunciare alle nostre scuse!

“...l’amore di Cristo ci costringe, perché siamo giunti a questa conclusione: ...ch’egli morì per tutti, affinché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risuscitato per loro. Noi dunque facciamo da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro; vi supplichiamo nel nome di Cristo: siate riconciliati con Dio” (2 Corinzi 5:14,15,20).

– D.S.

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L'inganno delle brave persone

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