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La Voce del Vangelo

La VOCE ottobre 2018

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Guglielmo risponde 


MA COSA FIRMI

Hai notato che per qualunque operazione in banca ti chiedono cinquanta firme? La maggior parte hanno a che fare con la privacy. 

Vai dal dottore, dal meccanico, apri un sito internet, ognuno richiede la firma per la privacy. Dovrebbe garantire la riservatezza dei tuoi dati e delle informazioni che hai fornito.

Dico dovrebbe, perché in pratica è impossibile sapere se i livelli di sicurezza siano effettivamente adeguati a proteggerci. Ma forse la domanda più importante sarebbe se questa sia davvero l’intenzione delle aziende.

Oggi come oggi è possibile acquistare indirizzi di posta elettronica di persone sconosciute, a loro insaputa. I dati personali sono un asset che vale denaro per le società che operano su internet. Molte imprese se ne servono a scopo di marketing. È tutto legale. Il problema, casomai, è che prima di mettere la firma su qualunque documento, nessuno prende davvero del tempo per leggere tutte quelle informazioni scritte in caratteri microscopici e in linguaggio incomprensibile. Così, con la nostra firma, autorizziamo l’uso che ne faranno.

Internet è un mondo di dati in espansione inarrestabile. Ci sono hacker e organizzazioni che hanno tutte le intenzioni di sfruttarlo a loro vantaggio. Cancellare le informazioni caricate in rete è in teoria possibile, ma richiede uno sforzo e una tenacia che non è da tutti (una cancellazione totale potrebbe richiedere un anno intero, l’appoggio di ditte specializzate e addirittura l’intervento di un avvocato). 

Il recente scandalo che ha coinvolto Facebook ha scosso mezzo mondo; politici, avvocati e cittadini fanno fronte unito nella speranza di proteggere meglio la privacy.

Come credenti, come dovremmo comportarci in questa era di internet? Cosa dobbiamo pensare della privacy? E come insegnare ai nostri figli l’uso sano dei social media?

Niente privacy!

“SIGNORE, tu mi hai esaminato e mi conosci. Tu sai quando mi siedo e quando mi alzo, tu comprendi da lontano il mio pensiero. Tu mi scruti quando cammino e quando riposo, e conosci a fondo tutte le mie vie. Poiché la parola non è ancora sulla mia lingua, che tu, SIGNORE, già la conosci appieno.” 
–Salmo 139:1-4

Prima che io posti qualunque cosa su Facebook, Twitter, Instagram o qualsiasi altro medium, Dio già lo sa. Egli non conosce solo cosa sto per scrivere, ma anche il motivo perché lo faccio. Dio sa cosa c’è nel mio cuore.

Il Salmo 139 dice anche che Dio è onnipotente, onnipresente e onnisciente.
Se ricordassimo più spesso che Dio sa tutto quello che pensiamo, facciamo e desideriamo, e che non possiamo nasconderci da Lui, faremmo più attenzione a quello che scriviamo. E, in rete, non penseremmo nemmeno di mascherarci dietro l’anonimato con il nostro peccato.

La perfetta conoscenza che Dio ha di noi va oltre i social media. Quello che pensiamo degli altri, che lo diciamo ad alta voce o no, Dio l’ha già valutato. 

Come cambierebbe il nostro atteggiamento verso i genitori, il coniuge, il datore di lavoro, i governanti, i responsabili in chiesa o i vicini di casa, se la presenza di Dio fosse sempre visibile? 

Ogni giorno i nostri presunti segreti creano scandalo in cielo!

E un giorno, i segreti degli uomini saranno tutti giudicati: “Io vi dico che di ogni parola oziosa che avranno detta, gli uomini renderanno conto nel giorno del giudizio; poiché in base alle tue parole sarai giustificato, e in base alle tue parole sarai condannato” (Matteo 12:36,37).

Scrivere sui social media è un modo di parlare, e sul parlare la Bibbia ha molto da dire. 

Prima di tutto, dice che dobbiamo essere coerenti nella nostra fede per non cadere nell’ipocrisia. 

“Dalla medesima bocca escono benedizioni e maledizioni. Fratelli miei, non dev’essere così. La sorgente getta forse dalla medesima apertura il dolce e l’amaro? Può forse, fratelli miei, un fico produrre olive, o una vite fichi? Neppure una sorgente salata può dare acqua dolce” (Giacomo 3:10-12).

Come ci esprimiamo deve essere confacente ai figli di Dio. Le parole avventate, ambigue e vaghe, oscurano e, a volte, rovinano la nostra testimonianza.

Secondo, dobbiamo fare attenzione alle conseguenze delle nostre parole. 

“Così anche la lingua è un piccolo membro, eppure si vanta di grandi cose. Osservate: un piccolo fuoco può incendiare una grande foresta! Anche la lingua è un fuoco, è il mondo dell’iniquità. Posta com’è fra le nostre membra, contamina tutto il corpo e, infiammata dalla geenna, dà fuoco al ciclo della vita” (Giacomo 3:5,6).

Una volta pubblicate in rete, le nostre parole eludono ogni nostro controllo. Se si prestano a malintesi, potranno recare danni imprevedibili, anche a distanza di tempo, a noi, a chi ci legge o alle nostre famiglie.

Terzo, dobbiamo esercitarci a far buon uso delle parole. “Nessuna cattiva parola esca dalla vostra bocca; ma se ne avete qualcuna buona, che edifichi secondo il bisogno, ditela, affinché conferisca grazia a chi l’ascolta” (Efesini 4:29).

Nel testo greco originale, la parola “cattiva” significa “putrida”. Eliminiamo dal nostro vocabolario qualsiasi parola disgustosa e, passando attraverso il setaccio di quello che Dio considera buono, impariamo a scegliere parole che fanno del bene. Ce ne sono per ogni situazione, ma bisogna fare uno sforzo per individuarle. 

Le parole che fanno del bene sono edificanti, sono dette al momento giusto e conferiscono grazia.

Non tutto quello che è vero è necessariamente utile. Certe osservazioni sulla forma fisica di qualcuno, per esempio, possono essere vere, ma siamo sicuri che facciano del bene? Edificare qualcuno vuol dire aiutarlo a migliorare per il bene suo e non per il nostro. 

Parole utili dette al momento giusto sono rarissime come l’oro. Tutti ne hanno bisogno, ma pochi hanno imparato a offrirle. È un’area in cui dobbiamo tutti crescere in saggezza.

Quello che scriviamo deve conferire grazia. Grazia è quello che Dio fa ogni giorno nella nostra vita. I suoi desideri per noi non sono egocentrici. Il suo unico intento è quello di produrre un bene spirituale in noi. Se le cose che diciamo o scriviamo sono infette da sentimenti di rivincita o di rabbia, abbiamo dimenticato che siamo in vita solo per la grazia di Dio.

Quarto, dobbiamo riconoscere che abbiamo bisogno di aiuto in questo. “SIGNORE, poni una guardia davanti alla mia bocca, sorveglia l’uscio delle mie labbra” (Salmo 141:3).

Siamo deboli. Diciamo cose fuori posto con molta leggerezza. Non sappiamo frenare la nostra lingua. 

L’uso dei social media non ci aiuta in questo, perché davanti a una tastiera e uno schermo tutto diventa stranamente impersonale. Non stiamo faccia a faccia con nessuno, perciò è facile che le nostre inibizioni si abbassino senza che ce ne accorgiamo più di tanto. E in un attimo le nostre dita hanno trasmesso nella galassia di internet parole e pensieri impulsivi.

Fare ogni cosa alla gloria di Dio riguarda anche le nostre dita!

Cosa farebbe l’apostolo Paolo?

Se gli apostoli vivessero oggi, cosa farebbero con la tecnologia che abbiamo a disposizione? Gesù userebbe i social media? 

Ragioniamo prima sugli usi sbagliati. Qualcuno poco saggio, altri chiaramente peccaminosi!

Facebook, Twitter e Instagram sono alcuni dei social network più comuni, popolarissimi specialmente fra la generazione più giovane. 
Facebook fu lanciato nel 2004. Oggi conta più di due miliardi di utenti. Circa il 30% di loro ha tra i 25 e 30 anni. Il 50% dei giovani tra i 18 e 24 anni accede a Facebook come prima cosa appena svegli. 
In media, una sessione dura circa 20 minuti a persona. Questo, più volte al giorno. Ogni secondo si creano 5 nuovi profili utente! E ogni giorno 300 milioni di foto vengono postate sui vari profili!(https://zephoria.com/top-15-valuable-facebook-statistics/)

Con una tale audience, Facebook potrebbe essere utile anche per il progresso del vangelo. Ma non lo è per tanti credenti. Sui loro profili non c’è traccia della loro fede. E forse è meglio così, visto quello che postano.

È sorprendente quanto narcisismo dilaghi su Facebook. I post più comuni riguardano ciò che la gente mangia, dove va e cosa fa per divertirsi. Con tanto di selfie, ovviamente.   

Ma è sconcertante che anche i credenti non si fanno scrupoli nel pubblicare foto in costumi succinti e in pose ammiccanti.

Poi ci sono quelli che usano i social media per una specie di denuncia. Oppure per parlare male di qualcuno senza fare il suo nome. Cosa sperano di ottenere? Che quella persona “anonima” si riconosca in quello che hanno scritto e cambi atteggiamento? 

Oppure che altre persone si uniscano al loro sdegno generale?

Parlare male di qualcuno, della società o dei politici è normale per chi non consce Dio. Ma è triste quando i credenti trovano più appagante lo sparlare carnale piuttosto che ringraziare Dio per ogni cosa, come ci comanda di fare.

C’è anche chi dice apertamente di essere un credente, ma poi si fa coinvolgere in interminabili controversie dottrinali. A che pro? Forse in partenza poteva essere motivato dal voler “difendere la verità”, ma troppo spesso questi scambi di opinione deteriorano in offese e insulti che nulla hanno a che vedere con l’amore cristiano.

Mi fermo qui. Bastano questi come esempi negativi del cattivo uso dei social. I social media, però, non sono dannosi in sé, e hanno molto potenziale se usati bene. 

Ecco, allora, alcuni consigli per farne il buon uso:

Prega prima di postare qualunque cosa. Spesso si ha l’impulso di scrivere di getto. Su internet questo è un grande rischio. Non aiuta il fatto che di solito usiamo i social quando siamo soli e quindi avvertiamo meno il bisogno di una normale cautela e di autocensura.

Pensa a chi leggerà quello che scrivi. Ricordati che se non puoi definire il tuo uditorio (molti social hanno questa opzione), quello che pubblichi potrà essere letto da chiunque, credenti e non. Certe conversazioni sarebbe meglio riservarle a un numero ristretto di persone piuttosto che lanciarle in pasto a tutti.

Pensa bene allo scopo per cui scrivi. Sui social valgono gli stessi principi biblici che dobbiamo seguire nel parlare. Edifica? È questo il momento giusto per scriverlo? Porta grazia a chi lo legge?

Pensa a quale impressione dai di te con il tuo post. Attira l’attenzione su di te? Potrebbe sembrare che ti stia mettendo in mostra? Che ti stia arrogando dei meriti che non hai?

In che modo quello che scrivi riguarda Dio? Porta gloria a Lui? O è qualcosa che anche un non credente potrebbe scrivere?

Pensa a cosa stai producendo. Il risultato di quello che scrivi produrrà controversia? Stai scrivendo per creare divisione?

Diresti la stessa cosa a una persona in carne e ossa? Se non hai il coraggio di dirlo in pubblico, non lo dovresti nemmeno scrivere!

Usare i media per testimoniare è utile! Il Signore può aprire il cuore delle persone attraverso quello che scrivi. Postare foto o video può essere un mezzo benedetto per raggiungere tantissime persone. 

Ma dovremmo anche chiederci se essere continuamente connessi ai media sia il modo migliore di usare il nostro tempo. Stiamo curiosando nelle vite degli altri? Stiamo sprecando il tempo che potremmo usare meglio facendo qualcos’altro? Ci sta portando a concentrarci su noi stessi? È una tentazione che devo combattere?

Niente privacy con Dio: “E non v’è nessuna creatura che possa nascondersi davanti a lui; ma tutte le cose sono nude e scoperte davanti agli occhi di colui al quale dobbiamo rendere conto” (Ebrei 4:13). 

Il pericolo è entrato in casa tua

Una parola per mariti e mogli 

Non avere profili privati sui social ai quali il vostro coniuge non può accedere. Tante relazioni extraconiugali nascono come amicizie casuali sui social. L’anonimato e la segretezza sono una trappola. Trovare orecchie per le nostre lamentele, poter riconnettere con persone del sesso opposto, provare solidarietà con gli sconosciuti che stanno passando problemi coniugali simili ai nostri sono tutti pericoli che minano l’esclusività del rapporto di coppia. 

Non intrattenere relazioni “innocue” con persone dell’altro sesso all’insaputa del tuo coniuge. Nessuna relazione al di fuori dell’intimità del matrimonio è innocua, ma spalanca una porta al peccato.

Una parola ai genitori 

Attraverso i social è facile allacciare amicizie con gli sconosciuti. Questo è un serio pericolo per i nostri figli. Ci sono più di 83.000.000 di profili falsi su Facebook. Esistono solo per ingannare e per fare del male! 

Se per gli adulti i pericoli in rete sono tanti, per gli adolescenti lo sono in modo esponenziale. A volte, quando mi capita di vedere il profilo di qualche figlio di credenti, mi domando se i suoi genitori abbiano idea di quello che lui posta: foto e video scabrose, messaggi con linguaggio e contenuti inaccettabili per un credente. 

Nessun adolescente dovrebbe avere accesso a internet senza la supervisione dei genitori. Non ci devono essere segreti: i figli non devono vivere una vita clandestina al di fuori del controllo dei genitori.

Con figli in casa l’internet dovrebbe essere spento a una certa ora e i cellulari lasciati sotto il controllo dei genitori.

La durata del tempo passato sul pc o sui telefonini dev’essere concordata con i figli e poi monitorata con attenzione da parte dei genitori. Siate intransigenti in questo per il loro bene! I bambini a cui è permesso passare ore su video games senza restrizioni sviluppano molto presto una dipendenza dai giochi e dai social in generale. Un mondo virtuale, dove si ha la possibilità di fare quello che nella vita normale non è permesso, è un’attrazione irresistibile e un pericolo costante. 

Siete ancora in tempo per correggere, se necessario, quello che state facendo! La pornografia, le relazioni sbagliate, l’uso sbagliato della lingua e del tempo sono pericoli veri, facciamo attenzione!

 


—Guglielmo Risponde—

Perché la Bibbia ce l’ha con le mogli?

Caro Guglielmo, 
A volte si dice che la Bibbia è maschilista, perché insegna che la donna dev’essere sottomessa al marito. Ma è vero o non è vero?    —Un marito

Andiamoci piano col saltare a conclusioni affrettate su ciò che la Bibbia insegna! Particolarmente quando la risposta porta acqua a qualche mulino.

La Bibbia non è complicata, ma è complessa. Alcuni insegnamenti sono chiarissimi. Basta citare un versetto e hai già la risposta che cerchi.  

Altre volte bisogna avere la voglia di ricercare con pazienza e con un sincero desiderio di imparare ciò che i diversi passi o versetti nel loro insieme, e nel loro contesto, hanno da dire sull’argomento. Poi con molta umiltà si deve cercare di arrivare alla verità per mezzo di un confronto meditato e pacato, per conciliare – non già i passi che, come verità assoluta e priva di contraddizioni per la saggezza divina, vanno sempre d’accordo – ma le nostre interpretazioni e conclusioni meramente umane, che vanno esaminate con cautela.

Prendiamo due versetti che sono spesso intesi in senso maschilista. “Mogli, siate sottomesse ai vostri mariti come al Signore” (Efesini 5:22), e “Le mogli devono essere sottomesse in ogni cosa” (Efesini 5:24). Si sono prestati a interpretazioni piuttosto dure! Da parte di mariti, naturalmente. Si pensa: “Qui i mariti comandano sempre e in tutto!” E qualcuno aggiunge: “Sono sempre parole di Paolo, il solito maschilista!”

Un momento! Guardiamo qualche altra parola di Paolo, nello stesso passo biblico. “Mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la chiesa e ha dato se stesso per lei” (Efesini 5:25). “Allo stesso modo, anche i mariti devono amare le loro mogli, come la loro propria persona. Chi ama sua moglie ama se stesso” (Efesini 5:28).

Allora, la Bibbia è maschilista o femminista? Se si seguisse alla lettera la volontà di Dio espressa in questo passo, a chi toccherebbe pagare il prezzo più alto, al marito o alla moglie?

È chiaro che nessuno dei coniugi è autorizzato a maltrattare o dominare l’altro. Anzi, l’amore perfetto e la prontezza al sacrificio dimostrati da Cristo sono il modello da seguire e la meta da raggiungere di ogni credente, particolarmente del marito. Ai sposi credenti, una vita in continua disciplina e ubbidienza a Lui è la via maestra per raggiungere questi risultati giorno per giorno.

A me sembra che sia, forse, il marito ad avere il compito più grande e difficile. Voi, che pensate?

 

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