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La VOCE novembre 2022

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"La morte ti fa paura?" 

Verso la metà di ottobre i supermarket e le pasticcerie cambiano colore: tutto si veste di arancione e nero, che ormai tutti associano alla festa di Halloween (la vigilia di Ognissanti) del 31 ottobre. 

Molti considerano questa festa di origine americana, ma in realtà ha radici antichissime. E benché non ci sia un consenso assoluto fra gli storici sull'origine di Halloween, ci sono testimonianze secolari di tradizioni pressoché identiche che permettono di rintracciarne la storia dagli inizi. 

Secondo gli studiosi, a dare origine alla celebrazione dei morti è stata un’antica festività celtica pagana, la Samhain, durante la quale la gente accendeva dei falò all'aperto e si travestiva con dei costumi particolari per allontanare i fantasmi. Altri esperti sostengono che i cristiani fin dal IV secolo commemoravano i propri martiri e che, in seguito a questo, nell’VIII secolo papa Gregorio III designò il 1° novembre come data per onorare tutti i martiri. La festa dei morti sarebbe quindi una solennità cattolica, ma nella Roma pagana esisteva già un’antico ciclo di feste per i morti, i Lemuria

Ai giorni nostri, il 31 ottobre i bambini si travestono e promettono uno “scherzetto” se non riceveranno un dolcetto da chi vanno a visitare casa per casa, pronunciando la famosa frase: “Dolcetto o scherzetto?” 

È interessante notare che anche se le persone non vogliono pensare alla morte sono comunque pronte a beffarsene e scherzarci su.

Il 2 novembre, in occasione del cosiddetto “giorno dei morti”, molti cattolici usano visitare il cimitero per omaggiare i loro cari defunti portando fiori, per tradizione crisantemi, e lumini sulle loro tombe. 

Sono tante le regioni che hanno usanze particolari legate a questa solennità. 

In alcune zone della Lombardia, per esempio, la notte tra l’1 e il 2 novembre si usa mettere un vaso d’acqua fresca in cucina per far dissetare i morti. In Friuli invece si lascia acceso un lume, e si prepara un secchio d’acqua e un po’ di pane per il defunto. 

In Trentino le campane suonano per richiamare le anime, e in casa si lascia per loro la tavola apparecchiata e il focolare acceso. Lo stesso capita in Piemonte e in Val d’Aosta. Sempre per rifocillare i defunti, in Liguria vengono preparati i bacilli (fave secche) e i balletti (castagne bollite). 

Nella provincia di Massa-Carrara, il 1° novembre, nel giorno del “ben dei morti”, ai bambini viene messa al collo la sfilza, una collana fatta di mele e di castagne. Dopo aver recitato le preghiere, i nonni poi raccontano loro storie e leggende paurose. 

In Umbria si preparano gli stinchetti dei morti, dolci a forma di fave. 

In Abruzzo, oltre al tavolo da pranzo apparecchiato, si lasciano ancora oggi tanti lumini accesi alla finestra quante sono le anime care. Ma un tempo era anche tradizione scavare e intagliare le zucche per inserirvi una candela all'interno da usare come lanterne, proprio come a Halloween. 

Altro che “americanata”! 

A Roma la tradizione voleva che il giorno dei morti si tenesse compagnia a un defunto, consumando un pasto vicino alla sua tomba. 

In Sicilia il 2 novembre è una festa con molti riti per i bambini. Se i più piccoli hanno fatto i buoni, la mattina seguente troveranno sotto il letto dei doni da parte dei morti: giochi ma soprattutto dolci, come i pupi di zucchero. Si preparano anche gli scardellini, dolci di zucchero e mandorle (o nocciole) a forma di ossa dei morti, e si mangia la frutta martorana, fatta di pasta di mandorle colorata. In quei giorni le vetrine delle pasticcerie sono uno spettacolo da vedere. 

Ma, in sostanza, tutto questo non è altro che un modo umano per pensare alla morte superficialmente, per esorcizzarla senza rifletterci con attenzione. 

Una morte “celebre” risale allo scorso 8 settembre, quando a 96 anni d’età è scomparsa la regina Elisabetta II Windsor d’Inghilterra. Le sue commemorazioni hanno incluso 10 giorni di lutto nazionale, durante i quali il feretro è stato esposto al pubblico, e migliaia di persone hanno fatto ore di fila per omaggiarlo. 

Poi, lunedì 19 settembre, oltre un milione di persone sono scese in strada solo per vedere la bara che passava da Westminster Hall a Westminster Abbey, e da lì fino alla cappella di San Giorgio a Windsor. 

Quattro miliardi di persone hanno seguito il funerale in televisione. Tutti i leader mondiali erano presenti, ed erano stati coinvolti 10.000 agenti e 3.000 ufficiali delle forze dell’ordine per la sicurezza. 

La regina Elisabetta ha regnato per 70 anni, più a lungo di qualunque altro sovrano della storia britannica, ed è stata senz’altro una grande donna e un grande esempio per milioni di persone nel mondo. Una vita da ricordare e da celebrare per molti. 

Ma davanti a questa celebrazione non posso fare a meno di paragonarla alla morte del re più importante, che non ha destato questo tipo di scalpore, ma piuttosto il contrario. 

Isaia la racconta così: 

"Disprezzato e abbandonato dagli uomini, uomo di dolore, familiare con la sofferenza, pari a colui davanti al quale ciascuno si nasconde la faccia, era spregiato, e noi non ne facemmo stima alcuna.
Tuttavia erano le nostre malattie che egli portava, erano i nostri dolori quelli di cui si era caricato; ma noi lo ritenevamo colpito, percosso da Dio e umiliato!
Egli è stato trafitto a causa delle nostre trasgressioni, stroncato a causa delle nostre iniquità; il castigo, per cui abbiamo pace, è caduto su di lui e mediante le sue lividure noi siamo stati guariti.
Noi tutti eravamo smarriti come pecore, ognuno di noi seguiva la propria via; ma il SIGNORE ha fatto ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti.
Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la bocca.
Come l’agnello condotto al mattatoio, come la pecora muta davanti a chi la tosa, egli non aprì la bocca.
Dopo l’arresto e la condanna fu tolto di mezzo; e tra quelli della sua generazione chi rifletté che egli era strappato dalla terra dei viventi e colpito a causa dei peccati del mio popolo?
Gli avevano assegnato la sepoltura fra gli empi, ma nella sua morte, egli è stato con il ricco, perché non aveva commesso violenze né c’era stato inganno nella sua bocca.
Ma il SIGNORE ha voluto stroncarlo con i patimenti.
Dopo aver dato la sua vita in sacrificio per il peccato, egli vedrà una discendenza, prolungherà i suoi giorni, e l’opera del SIGNORE prospererà nelle sue mani."

—Isaia 53:3-10

Se c’è mai stata una morte degna di celebrazioni solenni, quella è proprio la morte di Cristo, il Re dei re. Ma invece lui è stato ucciso come un malfattore, ed è stato deriso e disprezzato da quelle stesse persone che lui aveva guarito e sfamato durante il suo ministero. 

A differenza di tutti noi esseri umani, il Signore Gesù è morto senza mai commettere un peccato. Infatti, ha voluto sacrificarsi e morire per i peccati degli altri. 

Moriva per offrire una soluzione definitiva alla giusta condanna che pende su ogni uomo e donna, famoso o sconosciuto che sia, ricco o povero, istruito o ignorante. 

Non c’era nessuno a fare la fila per dargli l’ultimo saluto, per onorarlo o per esprimergli la propria gratitudine. 

Per noi, che siamo peccatori e che abbiamo violato la volontà di Dio tante volte e in molti modi, sarebbe solo giusto morire di una morte atroce. È quello che meritiamo per aver offeso Dio coi nostri peccati, quindi la crocifissione di Gesù è stato il più grave atto di ingiustizia al mondo. 

Prima di morire ha gridato a gran voce: “Elì, Elì, lamà sabactàni?”, cioè: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Matteo 27:46). 

Nessuno di noi può comprendere quello che Cristo ha provato in quel momento, né il tormento della sua anima quando Dio Padre l’ha abbandonato. 

Eppure Gesù stava eseguendo la volontà del Padre: “Dio lo ha prestabilito come sacrificio propiziatorio mediante la fede nel suo sangue, per dimostrare la sua giustizia, avendo usato tolleranza verso i peccati commessi in passato, al tempo della sua divina pazienza; e per dimostrare la sua giustizia nel tempo presente affinché egli sia giusto e giustifichi colui che ha fede in Gesù” (Romani 3:25,26). 

Moriva per volontà di Dio, perché il Padre, che è talmente puro, santo e perfetto da non poter compromettere la giustizia, lo riteneva necessario e giusto per poter accogliere a sé il peccatore pentito che pone la sua fede nel sacrificio di Cristo. 

Una morte necessaria per offrire la vita eterna per grazia a tutti coloro che credono in Cristo ubbidendo a lui. 

Non so quale effetto abbia avuto la morte della regina Elisabetta II sulla tua vita, ma so che la vita, morte e resurrezione di Cristo deve fare la differenza nella vita di coloro che credono in lui. L’Apostolo Paolo scrive: “Siate dunque imitatori di Dio, come figli amati; e camminate nell'amore come anche Cristo ci ha amati e ha dato se stesso per noi in offerta e sacrificio a Dio quale profumo di odore soave” (Efesini 5:1,2). 

Coloro che hanno creduto in Cristo onorano la sua morte imitando Dio e camminando nell'amore. 

Lo fanno amando prima di tutto Dio con tutto il loro essere, e amando coloro che lui ha messo nella loro vita. 

Coloro che amano Cristo devono fare attenzione a come si comportano. Gesù è stato chiarissimo quando ha detto cosa vuol dire credere e amare lui: “Se voi mi amate, osserverete i miei comandamenti. Chi ha i miei comandamenti e li osserva, quello mi ama; e chi mi ama sarà amato dal Padre mio, e io lo amerò e mi manifesterò a lui” (Giovanni 14:15,21). 

Venerare e celebrare i defunti non è una pratica cristiana. Per i morti non c’è più nulla da fare, il loro destino eterno è ormai segnato, perché “è stabilito che gli uomini muoiano una volta sola, dopo di che viene il giudizio” (Ebrei 9:27). 

Cristo Gesù giudicherà i morti con giustizia, e la condanna sarà secondo le opere di ognuno (Apocalisse 20:11-15). Egli sarà giusto nel giudicare proprio perché si è sacrificato personalmente per poter salvare chi si affida a lui. 

Oggi, però, se sei ancora vivo, è un giorno importantissimo per te: puoi ancora essere riconciliato con Dio per mezzo di Gesù Cristo, essere perdonato e ricevere la vita eterna (2 Corinzi 6:2) oggi stesso. 

La morte è reale e arriva a tutte le età. 

Molti preferiscono non pensarci e cercano di esorcizzarla con tradizioni e usanze pagane. Così non saranno mai preparati e pronti ad affrontare l’inevitabile. 

Il credente, però, non ha bisogno di vivere nel timore, perché la resurrezione di Cristo è la prova che la morte è stata vinta per sempre. Per noi il vivere è Cristo e il morire guadagno (Filippesi 1:21). 

Finché il Signore ci dà il respiro, celebriamo la sua morte e la sua resurrezione servendolo con impegno e parlando di lui agli altri con la serietà e la gravità dovute.

Davide Standridge

 

LA MORTE TI FA PAURA?

Non è necessario farsi cogliere impreparati 

Ristampa della VOCE, aprile 2005

La morte non piace a nessuno. Perciò la gente cerca disperatamente di dimenticarla e di ignorarla. 

Le donne spendono fortune in creme che dovrebbero “arrestare il tempo” e gli uomini si iscrivono in palestre e si sottopongono a sforzi che dovrebbero mantenerli giovani e in forma. In più, fanno assicurazioni sulla vita e piani che dovrebbero assicurare loro benessere e tranquillità.

Perciò, quando finalmente una persona muore, amici e parenti dicono sorpresi: “Ma chi lo avrebbe mai detto?”

Ma non è necessario che la morte colga impreparati. Per cominciare, bisogna capire che è inevitabile. Una volta o l’altra, arriva per tutti, sia con creme antirughe e palestre oppure no.

Poi, la sua realtà si deve considerare obiettivamente. È un qualcosa che fa male e porta dolore. 

La morte dei propri cari credenti fa soffrire profondamente e, anche se si sa che si tratta di una separazione temporanea, sarà forse una separazione che durerà a lungo.

Morte significa la perdita di una persona, della sua compagnia, della sua voce, del suo aiuto e della sua presenza. 

Ricordo la profonda impressione che ho provato da ragazza nell'entrare nella cucina di una famiglia di amici. Un angolo era vuoto. Prima c’era stata la poltrona su cui sedeva una mamma paralitica, dal sorriso sereno e dalla voce tranquilla. Ora la donna era morta, era andata a stare bene nel cielo. Ma il vuoto che aveva lasciato era palpabile.

Più si è stati con una persona e più se ne sente la mancanza. E si prova dolore.

Ma non è necessariamente un dolore senza speranza. Se abbiamo una vera fede in Cristo e se la persona che ci ha lasciati era credente, la rivedremo nel pieno delle sue forze, nella pace perfetta e nella gioia totale.

Un altro pensiero rende il dolore più sopportabile. 

Esso è contenuto in un versetto significativo del libro del profeta Isaia: “Il giusto muore e nessuno vi pone mente; gli uomini pii sono tolti via e nessuno considera che il giusto è tolto via per sottrarlo ai mali che vengono; egli entra nella pace...” (57:1,2).

Un vecchio medico aveva subito la perdita della moglie a cui era affezionatissimo. 

“Mi sembra di non riuscire a funzionare senza di lei...” confidò a un amico. “Ci volevamo tanto bene.”

L’amico lasciò che si sfogasse, poi chiese, quasi casualmente: “Se fossi morto tu, che cosa farebbe, Anita?”

Il vecchio rimase soprappensiero, poi disse: “Ma... forse è meglio che sia andata lei prima di me. Dipendeva da me su tutto... Non sapeva neppure fare un assegno alla banca.”

E fu per lui un pensiero importante. Anita aveva avuto bisogno di lui. Lui l’aveva curata teneramente. Ora lui sarebbe riuscito a cavarsela da solo. Il suo dolore, in quel momento, acquistò un significato consolante.

Il dolore di una separazione può essere anche lenito sublimandolo e occupandosi in maniera utile.

“Quando è morto Juan”, mi ha raccontato una donna che era stata missionaria in Argentina e viveva in una casa di riposo in America, “ho chiesto al Signore di prendere anche me. Non mi pareva che ci fosse più una ragione per cui vivere. Invece ora...”

“Che è successo?”

“È successo che ho visto tanti messicani che vengono qui per raccogliere le arance. Vivono tutti insieme e spesso si portano dietro mogli e figli. Così mi sono detta: «Chissà se potrei fare qualcosa per raggiungere quei bambini col Vangelo?» Così sono andata alle baracche dove abitano... sai, lo spagnolo me lo ricordo ancora bene... e ho chiesto.

“Per fare la storia breve. Ora faccio tre «ore felici» alla settimana per i bambini e uno studio biblico per le mamme. E come ascoltano!”

Dopo di che ha concluso: “Quasi me ne vergogno, ma non ho più voglia di morire!” La consapevolezza di avere ancora un compito utile, colmava la sua vita di vecchia di più di ottant'anni.

“Di’ pure quello che vuoi. Ma, anche se sono credente, la morte mi dà timore. È l’idea dell’ignoto quella che mi lascia perplesso, il pensiero del processo che accompagnerà il trapasso è quello che non mi piace” obbiettano in molti. E non si può dare loro torto. Nessuno di noi, che è ancora vivo, sa come si fa a morire. 

Ma è importante ricordare qualche esperienza fatta da bambini. Il pensiero della prima visita dal dentista, della prima notte fuori di casa (forse in un campo per ragazzi), del primo giorno di scuola, ci ha quasi terrorizzati. 

Ma se i nostri genitori ci hanno preparati adeguatamente e se avevamo fiducia in loro, questa fiducia ci ha permesso di superare le situazioni che temevamo tanto.

Lo dice anche l’apostolo Paolo nella sua lettera ai Romani. Se abbiamo messo la nostra fiducia in Cristo, se sappiamo di essere suoi e di appartenergli per sempre, l’ignoto perde molti elementi di paura. 

Paolo dice: “Se viviamo, viviamo per il Signore; e se moriamo, moriamo per il Signore; sia dunque che viviamo o che moriamo, siamo del Signore. Poiché a questo fine Cristo è morto ed è tornato in vita: per essere il Signore dei morti e dei viventi” (14:8,9). Anche Paolo, con tutta la sua fede, non sapeva tutto sul trapasso e sull'aldilà, ma sapeva di appartenere a Cristo e ciò gli bastava. 

Questo ragionamento, chiaramente, ha valore solo se si è accettato il dono della salvezza e si vive nella realtà della presenza di Cristo e della comunione con Lui. 

Non ha nessun valore per chi pensa a Dio come una vaga astrazione o non ci pensa affatto. E non ha valore per chi è cristiano solo di nome.

La Bibbia insiste che la morte è una realtà ineluttabile, e afferma che dopo la morte viene il giudizio. 

Ma dice anche che il giudizio si può evitare. 

Gesù ha affermato: “Chi ascolta la mia parola e crede a Colui che mi ha mandato, ha vita eterna: non viene in giudizio, ma è passato dalla morte alla vita” (Giovanni 5:24).

Che bella notizia!

Maria Teresa Standridge

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Come posso affrontare i terremoti della vita?

Salmo 62

1 Al direttore del coro. Per Iedutun. Salmo di Davide. Solo in Dio trova riposo l'anima mia; da lui proviene la mia salvezza.
2 Lui solo è la mia rocca e la mia salvezza, il mio alto rifugio; io non potrò vacillare.
3 Fino a quando vi scaglierete contro un uomo e cercherete tutti insieme di abbatterlo come si abbatte una parete che pende, o un muricciolo che cede?
4 Essi non pensano che a farlo cadere dalla sua altezza; prendono piacere nella menzogna; benedicono con la bocca, ma in cuor loro maledicono. [Pausa]
5 Anima mia, trova riposo in Dio solo, poiché da lui proviene la mia speranza.
6 Egli solo è la mia rocca e la mia salvezza; egli è il mio rifugio; io non potrò vacillare.
7 Dio è la mia salvezza e la mia gloria; la mia forte rocca e il mio rifugio sono in Dio.
8 Confida in lui in ogni tempo, o popolo; apri il tuo cuore in sua presenza; Dio è il nostro rifugio. [Pausa]
9 Gli uomini del volgo non sono che vanità e i nobili non sono che menzogna; messi sulla bilancia vanno su, tutti insieme sono più leggeri della vanità.
10 Non abbiate fiducia nella violenza, non mettete vane speranze nella rapina; se le ricchezze abbondano, si distacchi da esse il vostro cuore.
11 Dio ha parlato una volta, due volte ho udito questo: che il potere appartiene a Dio;
12 a te pure, o Signore, appartiene la misericordia; perché tu retribuirai ciascuno secondo le sue azioni.

 

 

Come posso affrontare i terremoti della vita?

Salmo 62

1 Al direttore del coro. Per Iedutun. Salmo di Davide. Solo in Dio trova riposo l'anima mia; da lui proviene la mia salvezza.
2 Lui solo è la mia rocca e la mia salvezza, il mio alto rifugio; io non potrò vacillare.
3 Fino a quando vi scaglierete contro un uomo e cercherete tutti insieme di abbatterlo come si abbatte una parete che pende, o un muricciolo che cede?
4 Essi non pensano che a farlo cadere dalla sua altezza; prendono piacere nella menzogna; benedicono con la bocca, ma in cuor loro maledicono. [Pausa]
5 Anima mia, trova riposo in Dio solo, poiché da lui proviene la mia speranza.
6 Egli solo è la mia rocca e la mia salvezza; egli è il mio rifugio; io non potrò vacillare.
7 Dio è la mia salvezza e la mia gloria; la mia forte rocca e il mio rifugio sono in Dio.
8 Confida in lui in ogni tempo, o popolo; apri il tuo cuore in sua presenza; Dio è il nostro rifugio. [Pausa]
9 Gli uomini del volgo non sono che vanità e i nobili non sono che menzogna; messi sulla bilancia vanno su, tutti insieme sono più leggeri della vanità.
10 Non abbiate fiducia nella violenza, non mettete vane speranze nella rapina; se le ricchezze abbondano, si distacchi da esse il vostro cuore.
11 Dio ha parlato una volta, due volte ho udito questo: che il potere appartiene a Dio;
12 a te pure, o Signore, appartiene la misericordia; perché tu retribuirai ciascuno secondo le sue azioni.

 

 

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