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Impara l'arte

Io ti parlo, ma tu capisci?

Emile Friant "La Discussion politique", dettaglio, 1889 Emile Friant "La Discussion politique", dettaglio, 1889

Oggi nessuno ascolta più. Appena si comincia a fare un ragionamento, siamo interrotti..... Bla, bla, bla... sì ma... però... cioè....

Basta guardare i talk shows (una volta si chiamavano “tavole rotonde”, ma l’inglese fa più in) in cui i politici e gli psicologi fanno a gara a chi grida di più e copre meglio la voce dell’altro. Così finiscono solo a non fare capire niente a nessuno.
Esattamente come in una certa pubblicità in TV, in cui uomini, donne, giovani, datori di lavoro e impiegati si mettono a gridare per non ascoltare chi rivolge loro la parola.
L’arte di comunicare oggi è quasi ignorata. E, siccome non si comunica, le famiglie si dividono, i figli vanno via di casa e le persone se ne vanno anche dalle chiese.
Per comunicare, ci sono alcuni accorgimenti da tenere presenti.

Si comunica in due.
Tu mi parli e io ti ascolto. Chi vuole comunicare non fa proclami senza appello, ma dice quello che pensa e poi ascolta per capire e, eventualmente, imparare. Non sta su una posizione da cui non si vuole smuovere e non pensa di essere l’unico a avere ragione.

Si ascolta.
Nel comunicare, ci vogliono pazienza e autocontrollo. A volte, chi ha dei problemi non ne parla subito e comincia da argomenti marginali. Chi ascolta deve sapere aspettare che la persona si apra.

Si cura la posizione del proprio corpo.
I nostri movimenti e gesti parlano da soli. Per esempio, se si vuole comunicare bene, bisogna guardare chi parla negli occhi e non dare l’impressione di essere impazienti.
Ho conosciuto, anni fa, una donna estremamente intelligente, una teologa che, dopo la morte di suo marito, dirigeva in Svizzera, la scuola biblica che lui aveva fondato. Aveva mille impegni importanti e praticamente ogni minuto della sua giornata era pianificato. Però, quando le parlavi, ti dava l’impressione che tu fossi la persona più importante della terra.
Ti ascoltava e le sue risposte erano precise e sensate, anche se brevi.
Anche il tono della nostra voce è importante. Bisogna parlare con calma e pacatezza. Anche se l’altro è concitato, non bisogna imitarlo. Niente voce stridula e petulante!
 
Non si interrompe.
Se uno ha dei problemi, permettiamogli di raccontare quello che lo turba senza saltare immediatamente a conclusioni, che probabilmente non sarebbero giuste. Non offriamo soluzioni prima di avere pensato e misurato le parole e di avere capito i fatti.

Si fanno domande per capire e essere sicuri di avere capito chi ci parla.
Mentre uno parla, non è sbagliato chiedere qualche spiegazione, per seguire bene il discorso. A volte, se possibile, è utile ripetere il racconto per sommi capi, per essere sicuri di avere afferrato i fatti. Spesso, quando uno racconta una vicenda, dimentica di spiegare la cronologia e di nominare le persone con ordine.
Chi ascolta, a volte, perde il filo tra i molti “lui” e “lei” che si accavallano.

Si tiene conto dei propri limiti.
Se non siamo in grado di proporre una soluzione, diciamolo francamente. E, se è il caso, proponiamo di parlarne con qualcuno più maturo e più esperto di noi.
Se abbiamo torto, riconosciamolo senza fare scuse o razionalizzare.
Chiediamo perdono, anche se il torto non è tutto dalla nostra parte. Facciamo sempre il primo passo per raggiungere l’accordo.
Dopo tutto, vogliamo essere ricordati come donne e uomini di pace, no?