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La Voce del Vangelo

La VOCE giugno 2019

È nella natura umana pensare che il “nostro” modo di ragionare e di fare le cose sia quello giusto. Da quando ci siamo convertiti a Cristo, abbiamo imparato e adottato il modo di vivere la fede della nostra chiesa locale, in cui siamo cresciuti e maturati. 

Ci è familiare il modo in cui si svolge il culto: così si è sempre fatto, e così si farà.

Ma che succederebbe, se una domenica mattina l’Apostolo Paolo in persona entrasse nella nostra chiesa? Proprio lui, che prima avrebbe ucciso persone come noi. Lui, che dopo la sua conversione, portava sulla sua pelle le cicatrici per il vangelo.

Cosa penserebbe osservando come ci stiamo preparando per il culto? 

Canterebbe anche lui i nostri coretti preferiti, con contenuti superficiali? O preferirebbe gli inni classici in un italiano arcaico? Troverebbe gli strumenti e gli arrangiamenti appropriati?

Si identificherebbe con le nostre preghiere? 
Sarebbe d’accordo con il messaggio predicato?

Ai tempi suoi nessuno aveva una Bibbia da portare alle riunioni, tanto meno un tablet o il telefonino con l’app per leggerla. Le Sacre Scritture erano un lusso che pochi potevano permettersi.

Molto è cambiato da allora, anche in meglio, ma certe cose non dovrebbero essere affatto diverse. 
Dio certamente non è cambiato. Ma i credenti?

Le chiese ai tempi di Paolo erano appena nate, Gesù era risalito in cielo da poco tempo. C’erano ancora dei credenti convertiti durante la Pentecoste, prima che cominciassero le persecuzioni. 
Molti avevano perso tutto, fuggendo in altre città. Le prove che dovettero affrontare non erano certo i disturbi psicoemotivi per le normali difficoltà della vita. 

Cosa direbbe l’Apostolo Paolo alla nostra assemblea la prossima domenica?

"Troppa vanità, amici miei!"

I credenti del primo secolo sarebbero sbalorditi di quanto è diversa la vita adesso: macchine, aerei, grattacieli, palazzi di vetro, plastica e altri materiali nuovi, cibi sintetici, medicine…  I figli vanno tutti a scuola, le mogli fanno carriera, non si lavora più tutto il giorno…  

Progresso in ogni campo.
Troverebbero tantissime novità “sotto il sole” di cui meravigliarsi. 
Eppure – lo afferma la Bibbia – nulla è cambiato dai tempi loro. 

 

Vanità delle vanità, dice l’Ecclesiaste, vanità delle vanità, tutto è vanità. Che profitto ha l’uomo di tutta la fatica che sostiene sotto il sole? 
Una generazione se ne va, un’altra viene, e la terra sussiste per sempre.
Anche il sole sorge, poi tramonta, e si affretta verso il luogo da cui sorgerà di nuovo. Il vento soffia verso il mezzogiorno, poi gira verso settentrione; va girando, girando continuamente, per ricominciare gli stessi giri. 
Tutti i fiumi corrono al mare, eppure il mare non si riempie; al luogo dove i fiumi si dirigono, continuano a dirigersi sempre. 
Ogni cosa è in travaglio, più di quanto l’uomo possa dire; l’occhio non si sazia mai di vedere e l’orecchio non è mai stanco di udire. 
Ciò che è stato è quel che sarà; ciò che si è fatto è quel che si farà; non c’è nulla di nuovo sotto il sole.  C’è forse qualcosa di cui si possa dire: «Guarda, questo è nuovo»? Quella cosa esisteva già nei secoli che ci hanno preceduto. 
Non rimane memoria delle cose d’altri tempi; così di quanto succederà in seguito non rimarrà memoria fra quelli che verranno più tardi. 
– Ecclesiaste 1:2-11

 

Dal punto di vista della scienza e della tecnologia, le cose sono migliorate. Ma l’uomo stesso, nella sua essenza, non è cambiato affatto.

Gli stessi desideri e bisogni continuano a farla da padrone nel cuore umano, spingendoci a rincorrere cose futili. 

Salomone, per la singolare saggezza che Dio gli aveva dato, sapeva bene che tutto quello che gli stava intorno era un vapore. Purtroppo saperlo non è sufficiente. E così anche lui era stato sedotto e travolto dal desiderio di possedere, solo per scoprire dalla sua esperienza quello che avrebbe dovuto già sapere: tutto è vanità!

Se l’Apostolo Paolo potesse visitare le nostre chiese oggi, forse anche lui confermerebbe che c’è troppa vanità nel moderno mondo evangelico. 

Non lo direbbe con arroganza, lui che aveva rincorsa la vanità come tutti gli altri (Efesini 2:1-3).
Lo direbbe con la voce spezzata. 

Si siederebbe in mezzo a noi e, guardandoci negli occhi, direbbe con le lacrime: “Troppa vanità, amici miei! State vivendo troppo per il presente e poco per il futuro.”

In Atti 20 c’è un suo discorso in cui ripercorre il suo lavoro come anziano-pastore della chiesa di Efeso. Sono parole che esprimono tutta la sua premura, l’attenzione e un amore sincero per la chiesa. C’è la grande sollecitudine di aiutare ogni credente a scoprire e a perseguire i veri valori eterni della vita.

Noi, credenti del terzo millennio, cosa stiamo rincorrendo? Chi ci insegna a vivere con una prospettiva giusta?

Nelle prime chiese c’era un gruppo di credenti che l’aveva capito.

La chiesa di Tessalonica godeva della reputazione di essere approvata da Dio. La loro conversione a Cristo aveva avuto non solo un forte impatto su loro stessi, ma anche un effetto onda su vasta scala. Ecco come ne parlava Paolo: 

“Infatti il nostro vangelo non vi è stato annunciato soltanto con parole, ma anche con potenza, con lo Spirito Santo e con piena convinzione; infatti sapete come ci siamo comportati fra voi, per il vostro bene. 
Voi siete divenuti imitatori nostri e del Signore, avendo ricevuto la parola in mezzo a molte sofferenze, con la gioia che dà lo Spirito Santo, tanto da diventare un esempio per tutti i credenti della Macedonia e dell’Acaia. 
Infatti da voi la parola del Signore ha echeggiato non soltanto nella Macedonia e nell’Acaia, ma anzi la fama della fede che avete in Dio si è sparsa in ogni luogo, di modo che non abbiamo bisogno di parlarne; perché essi stessi raccontano quale sia stata la nostra venuta fra voi, e come vi siete convertiti dagl’idoli a Dio per servire il Dio vivente e vero, e per aspettare dai cieli il Figlio suo che egli ha risuscitato dai morti; cioè, Gesù che ci libera dall’ira imminente” (1 Tessalonicesi 1:5-10).

La loro trasformazione era stata notevole. Non avevano fatto, come spesso accade oggi, una mera professione di fede solo a parole, una preghiera alla fine di una riunione e tutto finisce lì. 

Il loro modo di vivere era cambiato drasticamente. Tutti ne parlavano.

Qual è, allora, la differenza? Come mai questo tipo di cambiamento autentico spesso fa fatica a manifestarsi nelle nostre chiese?

I tessalonicesi non erano supereroi della fede. Ma quello che hanno fatto era imitare Paolo il quale, lungi dal vivere una finta spiritualità, si riconosceva il più grande dei peccatori. 

Con rammarico genuino, Paolo si rendeva conto che certe volte faceva cose che non avrebbe voluto fare, e che, invece, in altri momenti non faceva quello che voleva (Romani 7:21-25). Non era perfetto. 

Ma Paolo, e i tessalonicesi, si distinguevano da molti altri perché avevano abbracciato il lavoro dello Spirito Santo in loro. Avevano dato retta alla correzione di Dio, che mirava a convincerli, ad aiutarli a comprendere la sua volontà, e a dargli la forza di compierla. 

Non supercredenti, ma obbedienti a Dio. 

Erano cambiati, erano diventati degli esempi, e la loro fede si vedeva. 

Questa drastica trasformazione era diventata argomento di conversazione tra i credenti di tutta la regione.

La fede dei tessalonicesi era caratterizzata da tre azioni distinte:
- avevano lasciato la vecchia vita, 
- servivano il Signore con fedeltà 
- e vivevano in funzione del ritorno di Cristo. 

Per dirlo in altre parole, avevano rinunciato a rincorrere le vanità, come facevano in passato, per vivere il presente con una prospettiva futura.

La loro conversione non era stata facile, e la vita non gli aveva risparmiato difficoltà, ma la loro preoccupazione era vivere per cose che hanno un valore eterno.

E loro oggi sono un esempio per noi, che siamo facilmente distratti da mille attrazioni inutili. 

Se Paolo visitasse il nostro culto, molto probabilmente non interverrebbe sulle cose esteriori che non vanno. Le noterebbe senz’altro, perché denunciano qualcosa di più grave che non va. Ma farebbe massima attenzione alla sostanza, all’insegnamento, all’atteggiamento e allo scopo in ogni cosa che si fa. Ci inviterebbe a fermarci e a valutare la nostra vita, per capire se stiamo vivendo per il presente o per il futuro. 

E, onestamente, potrebbe essere difficile capire cosa significhi vivere per l’eternità. Se si è intrappolati nel presente che, con tutti i suoi tentacoli, avvolge e stringe da ogni parte, saremo incapaci di occuparci del bene eterno, sia nostro che di chi ci sta vicino.

Diventa tutto più chiaro, quando consideriamo le parole di Gesù.

“Allora Gesù disse ai suoi discepoli: «Se uno vuol venire dietro a me, rinunci a se stesso, prenda la sua croce e mi segua.  Perché chi vorrà salvare la sua vita, la perderà; ma chi avrà perduto la sua vita per amor mio, la troverà.  Che gioverà a un uomo se, dopo aver guadagnato tutto il mondo, perde poi l’anima sua? O che darà l’uomo in cambio dell’anima sua?” (Matteo 16:24,25).

“Gesù parlò loro di nuovo, dicendo: «Io sono la luce del mondo; chi mi segue non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita»” (Giovanni 8:12 ).

“E disse loro: «Venite dietro a me e vi farò pescatori di uomini». Ed essi, lasciate subito le reti, lo seguirono” (Matteo 4:19,20). 

“Andate dunque e fate miei discepoli tutti i popoli battezzandoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutte quante le cose che vi ho comandate. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine dell’età presente»” (Matteo 28:19,20).

La chiesa ha il solenne compito di fare di ogni credente un discepolo di Cristo. Non per essere un bravo membro della comunità. Non per portare avanti i programmi della chiesa come si è sempre fatto. Non per perpetuare un’opera evangelica o una denominazione.

Discepoli. Discepoli che seguono il Maestro. Che vivono con una prospettiva eterna. Che capiscono che la vita è breve e che il mondo passa, e che solo il frutto che Dio produce in noi e attraverso noi è eterno.

Da questa prospettiva tutte quelle cose che consumano il nostro tempo e le nostre energie appariranno senza senso se non addirittura dannose. 

Questa consapevolezza di essere discepoli è ciò che la chiesa deve continuare a trasmettere nell’insegnamento biblico, nelle preghiere ad alta voce, nei canti e in ogni altra attività. 

Ovviamente è solo lo Spirito Santo che può produrre una vera maturità spirituale in noi, ma se la Parola di Dio non è predicata, cantata e vissuta con fedeltà, chi ci ascolta e osserva come fa ad essere sollecitato dallo Spirito?

Paolo aveva conosciuto molti credenti pronti a morire per la loro fede. Tanti di loro sono stati uccisi. Troverebbe la stessa prontezza in noi? Saremmo pronti a dare la vita per il vangelo?

La nostra priorità non può e non deve essere quello di inseguire ancora le vanità della vita. Rinunciare a se stessi vuol dire rinunciare tutto quello che per un non credente è priorità assoluta: possedere cose solo per il gusto di soddisfare se stessi, apparire per sembrare importanti e realizzati, avere una posizione per essere riconosciuti e sentirsi appagati.

Cos’è un cristiano se non uno che, per seguire Cristo e fargli piacere in ogni cosa, rinuncia al peccato e vive per attirare altri alla salvezza? 

“Okay”, dirai, “è tutto vero, e ci credo. Ma, in sostanza, cosa dovrebbe cambiare nella mia vita?” 

Tanto per cominciare, chiediamoci come stiamo vivendo le nostre relazioni, quali siano le nostre mete, quali le nostre priorità. Esaminiamo con onestà come e perché facciamo il nostro lavoro, cosa compriamo, cosa teniamo nel nostro armadio… 

Troppo radicale? Prova a invitare Paolo a casa tua a guardare da vicino le tue scelte! 

E più che Paolo, che non verrà né in chiesa né a casa, considera il Signore Gesù. Lui è sempre presente, osserva ogni cosa e scruta la nostra mente e il nostro cuore. A lui non possiamo nascondere nulla! 

Ma per aiutarci a rivalutare la nostra vita, facciamo qualche esempio pratico di tutto quello in cui possiamo senz’altro migliorare.

 

COMINCIANDO DAI SINGLE, perché lo siamo stati tutti, chi per pochi anni, chi per più a lungo, ecco alcune indicazioni.

Paolo ha detto che per un credente essere single ha dei vantaggi. 

È una condizione privilegiata per coloro che vogliono vivere per le cose eterne. Non devono preoccuparsi di piacere al marito o alla moglie, e sono quindi più liberi di dedicarsi a servire il Signore (1 Corinzi 7: 32-35).

Un credente single, però, se non ha una prospettiva eterna per la sua vita, rischia di chiudersi in se stesso per via delle responsabilità e dei problemi che si trova a dover affrontare da solo. La solitudine può farsi sentire e i tentacoli del vivere solo per il presente sono lì, pronti ad avvilupparlo e a isolarlo sempre di più.

Ma se ti pesa non essere sposato, non è il momento di arrendersi e continuare a credere che nessuno ti capisca. Dio capisce i single. È lui che ha permesso la condizione in cui ti trovi e la vuole usare per la sua gloria.

Può darsi che Dio ti stia preparando per una vita da sposato, ma nel frattempo sei nella condizione perfetta per servirlo come un discepolo senza legami! Pianifica il tuo presente e il tuo futuro, considerando che la tua priorità è essere un pescatore di uomini, un discepolatore, un servitore.

 

SE SEI SPOSATO, cosa vuol dire essere un marito o una moglie che vive per ciò che è eterno? 

Comincia con la consapevolezza che la vita di coppia richiede impegno e costanza. Bisogna darsi da fare e lavorare sodo su se stessi per essere sicuri che il matrimonio rispecchi la descrizione che Dio ha ispirato in Efesini 5. 

Il comportamento del marito deve riflettere quell’amore capace di donarsi completamente, lo stesso che Cristo ha per la chiesa. L’atteggiamento della moglie invece deve esprimere la gioiosa sottomissione della chiesa a Cristo. 

In un mondo dove il matrimonio viene preso sempre più sottogamba e disprezzato, la condotta santa dei coniugi credenti è un esempio abbagliante di questa prospettiva eterna. 

Se sei un marito, hai il sacro compito, che Dio ti ha affidato, di essere un esempio di Cristo per la famiglia, ma hai anche la responsabilità di aiutare tua moglie a diventare anche lei più simile all’immagine di Cristo. Il modo in cui la tratti e ne parli dovrebbe sorprendere positivamente coloro che vi osservano. 

Se sei una moglie, la tua collaborazione con tuo marito e la tua gioiosa sottomissione a lui dovrebbero attirare altri al Signore. In un mondo dove la sottomissione è una parolaccia, una donna che cura di più il suo cuore piuttosto che il suo look, sarà una luce irresistibile. 

E visto che il matrimonio biblico è un’immagine del rapporto di Cristo con la chiesa, è l’intenzione di Dio che la famiglia cristiana sia anche un richiamo a diventare seguaci di Cristo. 

Una coppia unita nell’amore e negli intenti è efficace per raggiungere un mondo che necessita del meraviglioso messaggio del vangelo. La loro è una casa ospitale, aperta, accogliente e invitante che rispecchia valori eterni.

 

E I FIGLI? È tragico vedere quanti figli di credenti abbandonino la fede molto presto. In passato poteva succedere che smettevano di farsi vedere in chiesa intorno ai 18 anni. Oggi tanti genitori si arrendono prima, sentendosi incapaci di trasmettere ai propri figli l’importanza della fede in Cristo.

Si sa, ogni ipocrisia, ogni fede finta è presto smascherata in casa. 

Per anni i figli hanno osservato il modo in cui i genitori si sono trattati in privato, l’atteggiamento con cui partecipano alla vita della chiesa e come si rapportano agli altri. 

Non gli è sfuggito con quanta facilità la vita cristiana prendeva il secondo posto rispetto al lavoro e alle attività in generale. I figli hanno imparato, senza che i genitori glielo abbiano mai detto a parole, che la scuola, lo sport, la musica e tante attività erano più importanti della vita spirituale. 

La mancanza di coerenza prima, e  della correzione poi, con conseguenze amorevolmente giuste per le disubbidienze, hanno eroso ogni traccia di insegnamento del vangelo nei figli. 

Se ami tuo figlio, non lasciare la tua responsabilità di inculcargli valori eterni solo agli insegnanti della scuola domenicale. Il tuo lavoro non è più importante della vita eterna di tuo figlio. 

 

FINO A QUANDO? Essere discepoli non finisce mai! Vivere per ciò che eterno comincia nel giorno in cui ci convertiamo a Cristo e finirà il giorno in cui il Signore ci prenderà con sé. 

Non saremo mai perfetti, non riusciremo sempre a fare la cosa giusta, ma il fatto che sia difficile non può essere il motivo per cui smettiamo di impegnarci. 

Troppo radicale? Spero che non lo pensi sul serio. L’Apostolo Paolo cosa ti direbbe? Ma ancora più: cosa direbbe il Signore? 

  

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