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La Voce del Vangelo

La VOCE aprile 2022

 

Negli anni ho visitato molte chiese e ho conosciuto credenti in diverse parti del mondo. Entrati un po’ più in confidenza, alcuni mi hanno confessato il proprio risentimento verso la loro assemblea. La cosa strana, a prescindere se la comunità che frequentavano fosse grande o piccola, progressista o tradizionalista, l’accusa era sempre la stessa: in questa chiesa non c’è amore! 

A volte era una sola persona a essere arrabbiata, ma altre volte lo erano intere famiglie o gruppi coalizzati contro qualcuno o qualcosa che non andava nella chiesa. 

Uno sdegno e un disprezzo che nel tempo hanno consumato queste persone, portandole al punto di scagliare le loro pesanti accuse e andar via dalla chiesa sbattendo la porta. Non hanno mai dato agli accusati possibilità di difesa: processo terminato e verdetto sentenziato! E alla fine hanno tagliato ogni contatto con i fratelli. In molti casi hanno agito senza un confronto aperto con le guide della chiesa, ritenute le prime colpevoli. 

Chi lascia la propria comunità in questo modo non è quasi mai disposto a mettersi in discussione né si chiede quanto amore abbia sparso lui nella vita di chiesa. E ciò è molto triste.

È facile accusare gli altri della mancanza d’amore nei nostri confronti ma, in fin dei conti, sappiamo davvero cosa significa amarsi nella chiesa? 

Come posso misurare l’amore dei fratelli per me? Centra forse il bisogno di sentirmi considerato e importante, oppure voglio solo che si facciano le cose come voglio io?

Gesù ha detto: “Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri” (Giovanni 13:35).

È un bel trampolino di lancio questo versetto! Sta dicendo, senza mezzi termini, che il mondo ostile che ci giudica, ci riconoscerà discepoli di Cristo dal modo in cui ci amiamo tra fratelli. 

Ma le parole di Gesù dovrebbero far riflettere anche noi aiutandoci a esaminarci: credo in Gesù? Sono un suo discepolo? Frequento una chiesa di discepoli? Qual è la mia caratteristica più evidente? E quella della mia chiesa?

L’apostolo Giovanni, che nel suo Vangelo è presentato come il discepolo che Gesù amava, ha scritto sotto ispirazione dello Spirito Santo uno dei versetti più belli sull’amore di Dio: “Perché Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna” (Giovanni 3:16). 

Sono parole che hanno attirato migliaia di persone a Dio, e sono tanto care ai credenti. 

D’altro canto, Giovanni ha anche scritto: “Chi dice: «Io l’ho conosciuto», e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e la verità non è in lui; ma chi osserva la sua parola, in lui l’amore di Dio è veramente completo. Da questo conosciamo che siamo in lui: chi dice di rimanere in lui, deve camminare com’egli camminò (1 Giovanni 2:4-6).

Un discepolo deve camminare come ha camminato il suo maestro Gesù! 

La chiesa locale dovrebbe essere formata da individui che credono col cuore alla Parola di Dio e sono imitatori genuini di Cristo. Ma non è sempre così. Non tutti quelli che si professano cristiani sono salvati, e non tutti quelli che dicono di essersi convertiti vivono in sottomissione alla signoria di Cristo. 

A volte la colpa è della predicazione poco chiara sul fatto che Gesù è il Signore e che noi credenti siamo suoi servi (leggi schiavi). Messaggi superficiali tendono a produrre più simpatizzanti che conversioni. Ma un messaggio che non predica pentimento, ubbidienza e consacrazione non è un messaggio biblico. 

Se tutti i credenti camminassero come Gesù, le chiese sarebbero il fulcro dell’amore sulla terra. Ogni chiesa locale sarebbe un’oasi d’amore, totalmente diversa da tutto quello che il mondo offre.

A complicare tutto è il fatto che ogni credente si trova a un punto diverso di maturità, sia spirituale che caratteriale. Non siamo quindi sempre amabili, portiamo ancora con noi mentalità e modi di fare che non piacciono a Dio e che dovremmo abbandonare. Siamo spesso orgogliosi, permalosi, egocentrici e poco amorevoli. È un problema che riguarda tutti, e che non si risolve in un istante. 

Da un certo punto di vista, dire che c’è poco amore nelle chiese è vero, dato che sono formate da persone propense al peccato. Ma non possiamo usarlo come un pretesto per continuare nella nostra carnalità.

Dio ci ha destinati a essere simili al suo Figlio anche nei nostri affetti, nelle ambizioni e negli atteggiamenti. 

L’apostolo Paolo ci ricorda com’è l’amore di Cristo che noi dobbiamo imitare:

“Infatti, mentre noi eravamo ancora senza forza, Cristo, a suo tempo, è morto per gli empi. Difficilmente uno morirebbe per un giusto; ma forse per una persona buona qualcuno avrebbe il coraggio di morire; Dio invece mostra la grandezza del proprio amore per noi in questo: che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi. Tanto più dunque, essendo ora giustificati per il suo sangue, saremo per mezzo di lui salvati dall’ira. Se infatti, mentre eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio mediante la morte del Figlio suo, tanto più ora, che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita. Non solo, ma ci gloriamo anche in Dio per mezzo del nostro Signore Gesù Cristo, mediante il quale abbiamo ora ottenuto la riconciliazione” (Romani 5:6-11).

Gesù non cercava persone facili da amare. Noi, forse, proviamo empatia e pietà davanti a scene di sofferenza, dove vediamo vittime o persone che hanno bisogno di aiuto. Ma il suo era un amore mirato, era verso persone cattive, indegne, incapaci di fare il bene. Quelle che avrebbero reagito male a ogni suo gesto e parola tradendolo e rifiutando l’amore vero e compassionevole di Dio.

Qualsiasi giustificazione alla nostra mancanza d’amore nella chiesa è invalidata dall’obbligo che abbiamo di imitare l’amore di Gesù. 

Non abbiamo alternative, perché le parole di Cristo sono chiare e perentorie:

“Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi. Nessuno ha amore più grande di quello di dare la sua vita per i suoi amici. Voi siete miei amici, se fate le cose che io vi comando. Io non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo signore; ma vi ho chiamati amici, perché vi ho fatto conoscere tutte le cose che ho udite dal Padre mio. Non siete voi che avete scelto me, ma sono io che ho scelto voi, e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto, e il vostro frutto rimanga; affinché tutto quello che chiederete al Padre, nel mio nome, egli ve lo dia. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri (Giovanni 15:12-17).

Gesù ci ha scelti e ci ha amati quando non eravamo amabili. Ci chiama suoi amici e ci comanda di amarci gli uni gli altri. Amare Gesù implica che dobbiamo ubbidire a questo suo comando: amarci gli uni gli altri.

A questo punto dovremmo chiederci se siamo veramente pronti a ubbidire a Gesù in tutto.

La risposta per me non è complicata, ma è difficile da applicare quando penso al comando “devo amare i fratelli”! 

Non posso sbattere la porta e andarmene con aria altezzosa come giudice degli altri credenti. Anzi, se lo faccio, do prova della mia stessa incapacità di amare, il ché mi squalifica automaticamente dal giudizio veritiero sullo stato spirituale della mia chiesa.

Siamo amici di Gesù, ovvero suoi discepoli se facciamo le cose che Lui ci comanda e il suo comando è di amare i fratelli nella fede. Non ne possiamo fare a meno. 

Ma cosa significa in pratica amare i credenti? 

Vuol dire salutarli con piacere e baciarli quando si entra in sala? Oggi il Covid l’ha reso impossibile. 

Vuol dire invitarci a casa a turno? I due anni di pandemia ci hanno disabituati anche a quello! A essere onesti, già da prima non si vedeva molta ospitalità tra le famiglie, schiacciate dagli impegni e dalle responsabilità fuori e dentro casa — e le porte di alcune case sono rimaste ermeticamente chiuse. 

Ognuno ha una sua idea su come l’amore debba essere espresso in una chiesa, ma quello che conta, però, è la spiegazione che dà Dio su come fare.

“L’amore è paziente, è benevolo; l’amore non invidia; l’amore non si vanta, non si gonfia, non si comporta in modo sconveniente, non cerca il proprio interesse, non s’inasprisce, non addebita il male, non gode dell’ingiustizia, ma gioisce con la verità; soffre ogni cosa, crede ogni cosa, spera ogni cosa, sopporta ogni cosa. L’amore non verrà mai meno” (1 Corinzi 13:4-8).

Questa è la definizione di questo amore, ed è importante notare che riguarda esclusivamente il nostro atteggiamento verso le persone davanti a noi. Non importa come sono, conta piuttosto il modo in cui le avviciniamo, cosa pensiamo di loro, il modo in cui camminiamo accanto a loro. 

Questo passo non è la nostra cartina tornasole per giudicare l’amore degli altri e promuoverli o bocciarli, ma ci serve per valutare il nostro amore, i nostri pensieri e i nostri atteggiamenti. Effettivamente il problema grande non sono gli altri, ma siamo noi!

Quante volte abbiamo sbattuto la porta dentro di noi, nel nostro intimo, senza uscire dalla sala.

Delusi dall’atteggiamento nei nostri confronti, pensiamo di “amare” gli altri più di quanto loro amino noi. Ci mostriamo cordiali, ma lo facciamo a denti stretti e per pura formalità “evangelica”. 

Il Signore ci chiama a ravvederci e a esaminare i nostri cuori. 

Il problema più grande risiede proprio negli atteggiamenti, e non nelle azioni. Quando impariamo ad amare come Cristo ci ama, anche le nostre azioni saranno pure.

Questo non vuol dire che amare i credenti diventerà facile. E può essere pericoloso ignorare questa dura realtà. Se amare non fosse difficile non servirebbero tanti versetti che ne parlano. 

La difficoltà persiste perché siamo limitati e perché non tutti siamo amabili.

Paolo ci ricorda: “Rendete perfetta la mia gioia, avendo un medesimo pensare, un medesimo amore, essendo di un animo solo e di un unico sentimento. Non fate nulla per spirito di parte o per vanagloria, ma ciascuno, con umiltà, stimi gli altri superiori a se stesso, cercando ciascuno non il proprio interesse, ma anche quello degli altri” (Filippesi 2:2-4).

Scrive ancora agli Efesini: “Io dunque, il prigioniero del Signore, vi esorto a comportarvi in modo degno della vocazione che vi è stata rivolta, con ogni umiltà e mansuetudine, con pazienza, sopportandovi gli uni gli altri con amore, sforzandovi di conservare l’unità dello Spirito con il vincolo della pace. Vi è un corpo solo e un solo Spirito, come pure siete stati chiamati a una sola speranza, quella della vostra vocazione. V’è un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo, un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, fra tutti e in tutti” (Efesini 4:1-6).

Alla chiesa di Colosse dice ancora: “Vestitevi, dunque, come eletti di Dio, santi e amati, di sentimenti di misericordia, di benevolenza, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza. Sopportatevi gli uni gli altri e perdonatevi a vicenda, se uno ha di che dolersi di un altro. Come il Signore vi ha perdonati, così fate anche voi. Al di sopra di tutte queste cose vestitevi dell’amore che è il vincolo della perfezione” (Colossesi 3:12-14).

È evidente quanto dobbiamo ancora lavorare con l’aiuto di Dio su noi stessi. 

Il nostro carattere deve essere trasformato, le reazioni carnali devono sparire e devono essere rimpiazzate da quelle bibliche, che piacciono a Dio e lo onorano, che riflettono il nostro cammino nelle orme di Cristo.

Dio deve sviluppare in noi tutte quelle virtù che Paolo elenca nell’ultimo passo citato, perché spesso le persone, già difficili da amare, a loro volta non ci amano come dovrebbero. Che bisogno ci sarebbe di essere pazienti, misericordiosi, benevolenti e pronti a perdonare se non esistessero credenti difficili, se nessuno ci facesse dei torti?

Prendiamo, per esempio, il perdono. A tutti piace essere perdonati. Ogni volta che confessiamo i nostri peccati a Dio ci aspettiamo che Lui ci perdoni. Ci aspettiamo di essere perdonati anche per le offese che non ricordiamo e di cui non abbiamo coscienza, perché Gesù è morto per tutti i nostri peccati, passati, presenti e futuri. Ci aspettiamo di essere perdonati persino dei peccati che continuiamo a ripetere, quelli che in qualche modo abbiamo accettato come facenti parte del nostro carattere di cui non possiamo fare nulla. Da Dio ci aspettiamo un perdono continuo, ma quando tocca a noi…

Eppure, perdonare è indispensabile se si vuole avere un rapporto duraturo con qualcuno. Lo stesso vale per le nostre relazioni in chiesa che vanno protette.

Ma c’è anche un altro elemento fondamentale senza il quale non si può essere perfetti nell’amore. Lo troviamo nelle parole di Giovanni: “ma chi osserva la sua parola, in lui l’amore di Dio è veramente completo” (1 Giovanni 2:5).

Non puoi essere un discepolo di Cristo senza conoscere la Parola di Dio e senza desiderare di metterla in pratica. Amare la chiesa comincia con l’ascoltare e osservare la Parola di Dio, perché le sacre Scritture producono nel vero discepolo un profondo desiderio di assomigliare a Cristo.

L’apostolo Paolo ha testimoniato: “Ma ciò che per me era un guadagno, l’ho considerato come un danno, a causa di Cristo. Anzi, a dire il vero, ritengo che ogni cosa sia un danno di fronte all’eccellenza della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho rinunciato a tutto; io considero queste cose come tanta spazzatura al fine di guadagnare Cristo e di essere trovato in lui non con una giustizia mia, derivante dalla legge, ma con quella che si ha mediante la fede in Cristo: la giustizia che viene da Dio, basata sulla fede. Tutto questo allo scopo di conoscere Cristo, la potenza della sua risurrezione, la comunione delle sue sofferenze, divenendo conforme a lui nella sua morte” (Filippesi 3:7-10).

Per il vero credente diventare come Cristo non è un vago desiderio irraggiungibile, ma una priorità assoluta. Solo chi è trasformato dalla Parola di Dio può veramente amare, può veramente essere usato da Dio.

È giusto farsi delle domande a questo punto:

  • Leggo la Parola di Dio regolarmente, e cerco di capire sempre meglio quale sia la volontà di Dio per me?
  • Per me è una priorità frequentare le riunioni della chiesa dove la Parola di Dio è insegnata accuratamente? Forse ci sono delle chiese che dovrebbero essere lasciate non per mancanza d’amore, ma per mancanza di un insegnamento sano!
  • Cosa faccio per ricordarmi quello che ascolto o leggo nella Parola di Dio per metterla in pratica? La lettera di Giacomo avverte che chi ascolta soltanto, senza che qualcosa cambi in lui, è un illuso. Illuso anche riguardo a cosa vuol dire amare ed essere amati.
  • Leggo dei buoni libri che mi aiutano nella mia crescita spirituale?

La mia capacità di amare è legata proporzionalmente alla mia disciplina nel diventare sempre più simile a Cristo: più tendo a questo obiettivo, più sarò capace di amare.

La Bibbia parla di fare del bene a tutti, ma specialmente a coloro che sono della famiglia di Dio. La chiesa è formata da persone molto diverse fra loro, adulti, bambini, anziani, persone singole, adolescenti, di diverse culture, etnie e anche di diverse possibilità economiche. Tutti questi individui, che normalmente nel mondo non avrebbero nulla in comune, sono unti soprannaturalmente da Dio stesso. Tutti i credenti fanno parte di un solo corpo, hanno un solo Spirito, hanno una sola mèta, un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo e un solo Dio e Padre (Efesini 4:4,5).

Amarsi nella chiesa vuol dire prima di tutto curarsi spiritualmente a vicenda. La Parola di Dio afferma che lo Spirito Santo dà a tutti i credenti nella chiesa uno o più doni per la crescita spirituale degli altri (1 Corinzi 12 e Romani 12). Non solo Dio dà dei doni, ma ha già preparato le buone opere per ogni credente. In altre parole, il modo per eccellenza di amare i credenti nella chiesa sta nell’usare i doni che Dio ha dato per il beneficio e la crescita spirituale dei credenti. 

A volte nelle chiese i credenti affermano di non conoscere i loro doni, il che fa capire che non li stanno usando. Altri si sono convinti che se hanno un dono è solo per la loro crescita personale. Ma Pietro afferma sotto ispirazione di Dio: “Come buoni amministratori della svariata grazia di Dio, ciascuno, secondo il dono che ha ricevuto, lo metta a servizio degli altri. Se uno parla, lo faccia come si annunciano gli oracoli di Dio; se uno compie un servizio, lo faccia come si compie un servizio mediante la forza che Dio fornisce, affinché in ogni cosa sia glorificato Dio per mezzo di Gesù Cristo, al quale appartengono la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen” (1 Pietro 4:10-11).

Quando nelle chiese non si vede l’amore di Dio all’opera, non sarà forse perché i credenti sono troppo pigri nell’usare i doni che il Signore gli ha dato per la cura reciproca?

Una chiesa sana è formata da credenti veri che crescono nella conoscenza della Parola di Dio, che sono assidui nel diventare sempre più simili a Cristo, aiutandosi a vicenda. E quando ci sono problemi si affrettano a metterli a posto per non avere nulla che possa minare l’unità del corpo di Cristo.

In conclusione, la prossima volta che cominci a pensare che nella tua chiesa non c’è amore, prima di tutto esamina la tua vita. Stai amando bene, con lo stesso zelo e atteggiamento con cui Gesù ha amato te? Sei pronto a soffrire come ha sofferto lui per te? Probabilmente dovrai rivalutare le tue reazioni.

La tua chiesa dimostra un amore per la parola di Dio nell’insegnarla e applicarla con accuratezza? Se la risposta è sì, fidati dell’opera di Dio nella vita dei fratelli. 

Davide Standridge

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