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La Voce del Vangelo

La VOCE marzo 2024

Il popolo amato da Dio, e scelto da lui come il suo tesoro particolare, ha conosciuto più di una volta la disfatta e la cattività come segno dell’ira di Dio. Egli non poteva passare sopra il suo peccato, la sua disubbidienza e il suo abbandono di lui.

Comunque, sempre nella sua grazia, quando cominciarono a rendersi conto della loro situazione e a pentirsi, Dio liberò il popolo e gli permise di ritornare nella sua terra promessa. Il Salmo 126 è un ricordo di questi fatti. Esso si riferisce a fatti e avvenimenti storici.

Però i pensieri espressi, esaltando la persona e l’opera di Dio, possono certamente essere applicati a delle verità molto personali e più vicine a noi. Leggiamo insieme il salmo e, poi, ricordiamo le circostanze della nostra vita attuale.

Salmo 126 - Canto dei pellegrinaggi

1. Quando il SIGNORE fece tornare i reduci di Sion, ci sembrava di sognare.
Dopo i lunghi anni di sottomissione a un potere pagano, e la sofferenza di condizioni di vita umilianti e difficili, legate proprio alla loro disubbidienza e allontanamento da Dio, furono convinti della loro incapacità di liberarsi. Perciò, la liberazione di Dio e il loro ritorno a Gerusalemme, avvenuti per grazia, sembravano irreali, un sogno da cui ancora dovevano risvegliarsi.

2. Allora spuntarono sorrisi sulle nostre labbra e canti di gioia sulle nostre lingue. Allora si diceva tra le nazioni: “Il SIGNORE ha fatto cose grandi per loro”. 
Il fatto della loro liberazione era motivo di gioia per Israele e di meraviglia per le nazioni pagane.

3. Il SIGNORE ha fatto cose grandi per noi, e noi siamo nella gioia. 
4. SIGNORE, fa’ tornare i nostri deportati, come torrenti nel deserto del Neghev. 

Finalmente anche tutto il popolo capì, si rallegrò della benedizione di Dio, e pregò per la salvezza dei loro fratelli ancora non tornati.

5. Quelli che seminano con lacrime, mieteranno con canti di gioia. 
Tornarono a seminare i loro campi abbandonati e raccoglievano i primi frutti abbondanti. Però, la semina era accompagnata da lacrime di dolore per la loro lunga assenza, per quelli non ancora tornati, e di pentimento per il peccato che lo aveva causato.

6. Se ne va piangendo colui che porta il seme da spargere, ma tornerà con canti di gioia quando porterà i suoi covoni.
Il pianto per la loro disubbidienza e i suoi risultati precedevano la loro gioia e preparavano i loro cuori per la grande festa della liberazione, per sola grazia, del popolo. 

Anche noi viviamo in un mondo in travaglio e sofferenza. 

La maggior parte delle creature di Dio, create apposta per vivere nella gioia e nel benessere della comunione con lui, vive nella schiavitù del peccato, con le sue terribili conseguenze. Infelicità, malattia, morte, corruzione, criminalità, ingiustizia, guerre senza fine riempiono i nostri giornali e le nostre televisioni. 

Ma il peggio deve ancora venire! 

Difatti, la Sacra Bibbia, Parola di Dio, non prevede il miglioramento di questo mondo, ma il suo continuo disastroso declino nell’illegalità e nella sofferenza come il frutto amaro del peccato. 

E non solo. Neanche la morte porterà il sollievo perché, come Gesù ha avvertito più volte, dopo la morte verrà il giudizio e l’eterna condanna. Si tratta di ciò che Dante ha rappresentato solo fantasiosamente. La realtà descritta da Gesù e profetizzata nell’Apocalisse va oltre qualunque immaginazione umana.

Il mondo, già sprofondato nel peccato e già giudicato, non ci crede, ma noi credenti, sì. E qui sta il dramma. 

Malgrado il fatto che noi comprendiamo molto bene la schiavitù del peccato e gli immensi dolori che porta già ora, noi sembriamo intrappolati in una condizione di sonno o di sogno, rifiutando di agire come Gesù ha comandato ai discepoli.

Per noi, spesso sembra che il nostro avvertimento del loro pericolo tremendo, anche dei nostri più cari parenti e amici, sa più di abitudine noiosa e dovuta che di allarme e passione di toglierli dal pericolo che certamente incontreranno.

Lacrime? Lacrime quando non bastano le nostre parole? Che sono? A che servono? Perché noi non piangiamo?

Gesù, malgrado che fosse Salvatore del mondo, pianse davanti all’incredulità della città santa di Gerusalemme. 

Paolo disse che dal primo giorno che era entrato nell’Asia “servendo al Signore con ogni umiltà e con lacrime… non mi sono tratto indietro dall’annunziarvi e dall’insegnarvi in pubblico e per le case… a ravvedervi dinanzi a Dio e a credere nel Signore Gesù Cristo” (vedi Atti 20:18-21). Il suo maggior ammonimento l’ha dato, però, agli anziani della chiesa, e si può leggere in Atti 20:26-35.

La nostra testimonianza, la nostra evangelizzazione, potranno veramente portare frutto se sono fatte occasionalmente, come abitudine, come dovere, con convinzione ma senza passione e compassione? 

A questo punto, per portare avanti il compito che stiamo discutendo, mi pare più importante, prima, la preghiera. 

Preghiamo, in riunioni grandi o piccole, e anche da soli, che il Signore ci faccia comprendere l’importanza dell’evangelizzazione, il valore incalcolabile del messaggio del vangelo e di comprendere non solo intellettualmente ma visivamente, internamente, anche emotivamente, il pericolo sicuro e inevitabile che affronta chi non si pente e non chiede misericordia a Dio.

Il mondo intero, compreso decine di parenti e centinaia di conoscenti nostri, tutta la gente della nostra città e paese, vanno inevitabilmente ma ciecamente verso il disastro e la sofferenza eterna. 

Pensiamo che, siccome noi abbiamo già testimoniato senza risultato, possiamo lasciarle al loro destino? 

Ma Dio non ci ha chiamati soltanto figli e santi, ma anche testimoni e ambasciatori. Non ascoltati? Dimessi per fallimento? Ci ha detto che non vale la pena, che possiamo considerarci come servi suoi ormai pensionati? No!

Prima la preghiera e le lacrime! Poi la semina senza sosta. Fino a che tutta Roma, tutta l’Italia, tutto il mondo, non abbia sentito il Vangelo della Grazia, c’è del lavoro da fare con lacrime! 

Il modello perfetto di vita per ogni essere umano è Gesù Cristo, l’unico uomo che è vissuto tutta la sua vita in amore perfetto, bontà illimitata, santità senza ombre, vittoria morale senza accuse.

E lo è tanto più per il credente che, per mezzo della rigenerazione, per grazia di Dio e per mezzo della fede nell’opera perfetta di Cristo, è chiamato a vivere ogni momento della sua vita in armonia, comunione e sottomissione al suo Salvatore e Signore.

Gesù ha pianto, e noi? Non pianse per gli errori suoi, ma per gli errori di altri, non per le proprie sofferenze, ma per le sofferenze di altri, non per il suo peccato ma per il peccato di altri.

“Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi coloro che ti sono mandati, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come la chioccia raccoglie i suoi pulcini sotto le ali; e voi non avete voluto!” (Luca 13:34). 

“Quando fu vicino, vedendo la città, pianse su di essa, dicendo: «Oh se tu sapessi, almeno oggi, ciò che occorre per la tua pace! Ma ora è nascosto ai tuoi occhi»” (Luca 19:41,42).

Sappiamo noi piangere per i nostri peccati? Abbiamo mai pianto per i peccati degli altri? 

Non so quante volte negli ultimi anni mi è capitato a letto, di notte, di non poter dormire. Ho pensato che forse Dio voleva che pregassi. Ho pregato per le persone e le cose che mi venivano in mente.

A volte, mi sono domandato cosa vedeva Dio, guardando a Roma nello stesso momento in cui pregavo. Pensavo a quante persone ricche, importanti o famose erano coinvolte in quel momento nel peccato. Pure religiosi! Ma anche i poveri e le masse in mezzo. Criminali, sfruttatori, drogati, giocatori d’azzardo. Anziani sofferenti in povere case, in ospedali e asili, forse abbandonati. False religioni, sette diaboliche. Incidenti di auto, sparatorie, omicidi, suicidi. Mariti e mogli che litigavano e si odiavano. Gente senza lavoro, senza soldi, senza speranza. Più pensavo e più mi sembrava di vedere non Roma ma l’inferno.

Ma per questa gente ancora in vita potevo pregare, dovevo pregare. Dio voleva che molti pregassero per questa città e i suoi abitanti che presto o tardi sarebbero morti sotto la condanna eterna. E così pregavo, con grande tristezza per la città e il suo destino. Ma, per quanto mi riguarda, non mi ricordo di avere pianto.

Certamente si tratta di un soggetto di preghiera che noi tutti possiamo condividere, sicuri che Gesù, vedendo un mondo simile, avrebbe pianto.

Guglielmo Standridge
15 giugno 2014

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