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La Voce del Vangelo

La VOCE maggio 2023

Quando vivevo negli Stati Uniti, ho abitato in almeno tre stati dove nevicava molto d’inverno. 

Alle prime nevicate il terreno si copriva di quella neve così candida che tutto sembrava bellissimo e pulito. C’era solo un problema però: durante la notte la neve ghiacciava, e diventava molto scivolosa. Avere le scarpe con la suola di cuoio era pericolosissimo, ed era solo questione di tempo che prima o poi una bella scivolata toccava a tutti. 

Che figura! 

La caduta di stile era quella che preoccupava di più, piuttosto che il pericolo che si correva cadendo in quel modo. 

Personalmente, soprattutto da ragazzo, per non fare brutta figura cercavo di rialzarmi il più velocemente possibile, senza far vedere che mi ero fatto male. 

Con i miei amici scommettevamo su chi riusciva a restare in piedi, ma tanto prima o poi toccava a tutti, perché senza le dovute precauzioni le cadute erano cosa di tutti i giorni. 

Nella battaglia spirituale in cui ogni credente è coinvolto, è normale cadere se non si è preparati. Chi non ha le scarpe adatte al terreno scivoloso, cadrà sicuramente, e che capiti un pericoloso scivolone sarà solo questione di tempo.

Nei numeri precedenti della VOCE (gennaio, febbraio e aprile 2023) abbiamo cominciato a studiare la natura della guerra spirituale nella quale ogni credete si trova coinvolto, e quali difese gli garantiscono di uscirne illeso. In questo numero vedremo proprio le calzature che un credente preparato deve indossare. Il nostro studio si basa sulla lettera di Paolo agli Efesini 6:10-20. 

Dopo aver spiegato il ruolo indispensabile della verità e della giustizia nella nostra battaglia contro dubbi, menzogne, accuse e false dottrine che Satana ci scaglia contro per arrestare il nostro progresso e la crescita nella fede (vv. 10-14), Paolo prosegue, e ci comanda da parte di Dio di mettere come calzature lo zelo dato dal vangelo della pace.

Sebbene gli archeologi abbiano trovato reperti di antichissime calzature, sapevi che fino a non molto tempo fa tempo fa le scarpe erano considerate un lusso? La gente comune ne possedeva solo un paio. Oggi però le cose sono diverse, e tutti cambiamo le scarpe secondo il tempo, l’umore, l’abbigliamento e le situazioni. 

In Italia nel 2021 il volume del fatturato nel settore dei calzaturifici è stato di 9,5 miliardi di euro. Il prezzo medio di un paio di scarpe è stimato intorno a 42,6 euro, per un consumo pro-capite annuo di quattro paia e una spesa individuale di circa 170 euro. 

Mia mamma aveva quelle che chiamava le scarpe “sensate”. Erano brutte e vecchie, ma quanto erano comode! A lei piaceva tanto camminare, e queste le davano quella stabilità e una sicurezza che non aveva con scarpe più belle e più nuove.

Il soldato di Cristo che si trova ogni giorno a combattere nella battaglia spirituale, deve indossare pure lui le scarpe “sensate”, le uniche che gli permettono di rimanere in piedi. Infatti, in questo conflitto, l’unico nostro obiettivo è restare in piedi  e illesi (Efesini 6:13).

Tutta la vita del vero cristiano deve essere tesa verso il progresso del vangelo, a partire dalla sua vita, per proseguire nella vita degli altri. Gesù infatti non era venuto per stupire la gente con i miracoli, ma per l’avanzamento del suo regno. Era lo scopo di ogni cosa che diceva e faceva. 

Tantissima gente seguiva Gesù per i motivi sbagliati, e lui ovviamente lo sapeva potendo vedere nei loro cuori. Perciò li avvertiva, dicendo: “Adoperatevi non per il cibo che perisce, ma per il cibo che dura in vita eterna, e che il Figlio dell’uomo vi darà; poiché su di lui il Padre, cioè Dio, ha posto il suo sigillo” (Giovanni 6:27). Mentre ai suoi discepoli insegnava a pregare: “Padre nostro,… venga il tuo regno” (Matteo 6:9-13). 

Dato che il piano della redenzione ha come scopo finale il regno di Dio e la sua gloria, è logico che l’obiettivo primario di Satana sia quello di ostacolarne a ogni costo la realizzazione. Per questo il diavolo fa di tutto per bloccare il progresso del regno di Dio dentro di noi, nei rapporti con gli altri credenti, e nella nostra testimonianza verso chi non conosce Cristo. 

Ci ha provato con Adamo ed Eva, con Caino e Abele e con il popolo d’Israele. Ha cercato di uccidere Gesù da bambino, e lo ha tentato nel deserto da adulto per impedirgli di compiere la redenzione. In diverse occasioni gli ha istigato la gente contro per ucciderlo prima del tempo stabilito da Dio. 

Ha ostacolato gli apostoli nella loro missione, e ha perseguitato la chiesa sin dai suoi inizi usando il giudaismo, le eresie e la controriforma. Ha proseguito attraverso la teologia liberale, l’ecumenismo, il modernismo, il post-modernismo, e lo fa ancora oggi col consumismo. 

Questa battaglia, però – e non lo dimentichiamo mai! – è un corpo a corpo: Satana, con le forze a lui sottoposte, attacca ogni figlio di Dio individualmente. 

E ogni credente che scivola, e non combatte né s’impegna a vivere come discepolo di Cristo è una piccola vittoria per Satana.

Per resistere e restare in piedi, Dio ci ordina di indossare dei calzari particolari. Ai tempi dei romani i calzari non erano come le scarpe moderne, ovviamente. Quelli dei soldati si chiamavano caligae.

Sebbene le caligae somigliassero ai sandali, erano più che altro degli stivali da marcia. Erano scarpe progettate per evitare il rischio di vesciche e di altre malattie dei piedi durante le lunghe marce. 

Di solito con le calighe non si usavano calze, eccetto quando il clima era freddo come quello britannico, dove i soldati portavano calze di lana.

Le caligae erano composte da una suola di cuoio e da lacci legati al centro del piede e sulla parte superiore della caviglia. All’interno della suola venivano martellati dei chiodi in ferro che avevano tre scopi strategici: rafforzare la caliga, dare al soldato maggior trazione, e permettergli di utilizzare la caliga come strumento di offesa.

Lo storico Giuseppe Flavio racconta che parte del successo di Cesare come generale era anche dovuto al fatto che aveva equipaggiato i suoi soldati di calzari. Stabilità e velocità di movimento erano determinanti in un conflitto corpo a corpo.

Il campo di battaglia della guerra spirituale tra il credente e Satana è principalmente la nostra mente. Per non vacillare dobbiamo respingere gli attacchi del maligno con le verità bibliche, come ha fatto Gesù nel deserto: è vero solo quello che “Sta scritto.”

È una lotta senza esclusione di colpi, perché il grande nemico e i suoi servi vogliono farci cadere facendo leva anche sulle nostre concupiscenze. 

Il diavolo fa guerra spietata contro il vangelo cercando di offuscare e pervertirne il messaggio. Fa in modo che le persone non salvate s’illudano che invece lo siano, mentre con i credenti agisce al contrario, affinché non siano mai sicuri di possedere già la vita eterna. 

La certezza della salvezza, che Dio stesso garantisce (Giovanni 10:27-29; Ebrei 9:12c; 13:5), è una verità contro la quale Satana si accanisce, insinuando dubbi che paralizzano il credente, cosa che blocca la sua crescita nella fede e la sua testimonianza con gli altri.

I calzari dello zelo dato dal vangelo della pace hanno, dunque, quattro caratteristiche importanti che ci aiuteranno nella nostra battaglia spirituale.

Prima di tutto danno protezione

Questa protezione è data dalla semplicità e dall’efficacia del vangelo. La semplicità del vangelo protegge il credente dal dubbio riguardo la sua posizione in Cristo. 

Credere alla buona notizia della salvezza in Cristo è semplice, e cambia radicalmente la vita e il destino eterno del peccatore. Paolo scrive: “Se con la bocca avrai confessato Gesù come Signore e avrai creduto con il cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvato; infatti con il cuore si crede per ottenere la giustizia e con la bocca si fa confessione per essere salvati. Difatti la Scrittura dice: «Chiunque crede in lui, non sarà deluso». [...] Infatti chiunque avrà invocato il nome del Signore sarà salvato” (Romani 10:8-13).

Il messaggio non è complicato, non contiene un linguaggio incomprensibile o clausole vessatorie nascoste. Ogni persona che crede in Gesù come suo Salvatore e Signore è salvata per sempre. 

La vita eterna, che inizia al momento della nuova nascita, non ha fine, altrimenti… non sarebbe eterna. 

Questa gloriosa verità è basata su ciò che Gesù ha fatto, non su quello che l’uomo può fare. È basata sulle promesse di Dio, non su promesse e proponimenti fallaci dell’uomo.

I dubbi possono sorgere per i motivi più disparati. Per questo ognuno di noi dovrebbe interrogarsi: Io ho creduto al vangelo? Quando ho messo la mia fiducia in Cristo? L’ho fatto solo per essere salvato? Desidero veramente vivere per Gesù? Cerco di farlo con coscienza? 

La seconda caratteristica dei calzari: danno sicurezza

La parola zelo usata nella traduzione italiana può confonderci, perché potrebbe dare l’impressione che bisogna essere sempre su di giri. Nell’originale greco quella parola in realtà esprime il concetto di prontezza. 

C’è un passo molto bello nel libro di Isaia che parla proprio di questo tipo di zelo, ossia la prontezza a portare buone notizie: “Quanto sono belli, sui monti, i piedi del messaggero di buone notizie, che annuncia la pace, che è araldo di notizie liete, che annuncia la salvezza, che dice a Sion: «Il tuo Dio regna!»” (Isaia 52:7).

È una profezia su Gesù, il portatore del messaggio di salvezza e di sicurezza per coloro che erano pronti ad ascoltarlo. E ci sarà un secondo adempimento di questa profezia, quando lui tornerà a Sion per stabilire il suo regno (v. 8).

Davanti alle incertezze della vita, la verità del vangelo ci dona una prospettiva nuova e diversa: la nostra sicurezza è nel Messia Gesù Cristo, il Figlio di Dio, venuto in terra per salvare i peccatori, spinto dall’amore del Padre. La sicurezza si fonda sull’onnipotenza e sull’immutabilità di Dio. Nulla può impedire che il suo piano si realizzi alla perfezione.

Il fatto che Satana cerchi di insinuare dubbi sul vangelo non è un problema solo di oggi. L’apostolo Paolo scriveva ai credenti del primo secolo: “Mi meraviglio che così presto voi passiate da colui che vi ha chiamati mediante la grazia di Cristo a un altro vangelo; ché poi non c’è un altro vangelo, però ci sono alcuni che vi turbano e vogliono sovvertire il vangelo di Cristo. Ma anche se noi o un angelo dal cielo vi annunciasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo annunciato, sia anatema. Come abbiamo già detto, lo ripeto di nuovo anche adesso: se qualcuno vi annuncia un vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia anatema” (Galati 1:6-10).

Maledetto chi predica un vangelo falso, maledetto chi confonde le persone! Il vangelo è uno solo, e solo il vangelo dà una sicurezza eterna al credente. Tutto il resto non è la buona notizia di Dio, e non offre nessuna garanzia di protezione.

Terzo punto: questi calzari danno stabilità

Paolo, parlando ai Romani, scrive: “Non mi vergogno del vangelo; perché esso è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede; del Giudeo prima e poi del Greco; poiché in esso la giustizia di Dio è rivelata da fede a fede, com’è scritto: «Il giusto per fede vivrà»” (Romani 1:16,17).

Paolo spiega che malgrado gli attacchi violenti subiti e le pesanti conseguenze della sua prontezza a parlare di Cristo, non aveva nulla di cui vergognarsi. Le autorità religiose lo volevano morto, le forze politiche gli erano contrarie, e anche tra i credenti c’erano quelli che lo criticavano, ma lui non si dava per vinto. Dio ha mostrato la sua giustizia attraverso il messaggio del vangelo (e la giustizia di Dio per Paolo era la corazza dell’armatura spirituale).

Non importa chi lo contrastasse e con quale veemenza, perché Paolo era sicuro del messaggio del vangelo.

Giacomo scrive: “O gente adultera, non sapete che l’amicizia del mondo è inimicizia verso Dio? Chi, dunque, vuol essere amico del mondo si rende nemico di Dio. Oppure pensate che la Scrittura dichiari invano che: «Lo Spirito che egli ha fatto abitare in noi ci brama fino alla gelosia»? Anzi, egli ci accorda una grazia maggiore; perciò la Scrittura dice: «Dio resiste ai superbi e dà grazia agli umili». Sottomettetevi dunque a Dio; ma resistete al diavolo, ed egli fuggirà da voi” (Giacomo 4:4-7).

Quando il discepolo di Cristo pianta i suoi piedi nella veridicità del vangelo, non solo rimarrà in piedi, ma Satana fuggirà da lui.

Il vangelo, ossia la buona notizia, nella sua bellezza e semplicità esprime il meraviglioso amore di Dio per le sue creature ribelli, peccatrici e tanto confuse, perché sono come pecore senza pastore.

Paolo pregava: “Per questo motivo piego le ginocchia davanti al Padre, dal quale ogni famiglia nei cieli e sulla terra prende nome, affinché egli vi dia, secondo le ricchezze della sua gloria, di essere potentemente fortificati, mediante lo Spirito suo, nell’uomo interiore, e faccia sì che Cristo abiti per mezzo della fede nei vostri cuori, perché, radicati e fondati nell’amore, siate resi capaci di abbracciare con tutti i santi quale sia la larghezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità dell’amore di Cristo e di conoscere questo amore che sorpassa ogni conoscenza, affinché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio” (Efesini 3:14-19).

Forse dovremmo gridare:
Il vangelo è vero! Io ci ho creduto!
Il vangelo è vero! Io non mi vergogno!
Il vangelo è vero! Io ne devo parlare!

La quarta caratteristica di questi calzari è meravigliosa: danno pace

La buona notizia di Cristo infatti è chiamata il vangelo della pace.

Paolo scrive ai Romani: “Giustificati dunque per fede, abbiamo pace con Dio per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore, mediante il quale abbiamo anche avuto, per la fede, l’accesso a questa grazia nella quale stiamo fermi; e ci gloriamo nella speranza della gloria di Dio; non solo, ma ci gloriamo anche nelle afflizioni, sapendo che l’afflizione produce pazienza, la pazienza, esperienza, e l’esperienza, speranza. Or la speranza non delude, perché l’amore di Dio è stato sparso nei nostri cuori mediante lo Spirito Santo che ci è stato dato” (Romani 5:1-5, il grassetto aggiunto in questi e nei successivi versetti è mio).

Ai Colossesi scrive che Cristo “è il capo del corpo, cioè della chiesa; egli che è il principio, il primogenito dai morti, affinché in ogni cosa abbia il primato. Poiché al Padre piacque di far abitare in lui tutta la pienezza e di riconciliare con sé tutte le cose per mezzo di lui, avendo fatto la pace mediante il sangue della sua croce; per mezzo di lui, dico, tanto le cose che sono sulla terra, quanto quelle che sono nei cieli” (Colossesi 1:18-20).

Agli Efesini scrive ancora di Gesù: Lui, infatti, è la nostra pace; lui, che dei due popoli ne ha fatto uno solo e ha abbattuto il muro di separazione, abolendo nel suo corpo terreno la causa dell’inimicizia,la legge fatta di comandamenti in forma di precetti, per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo facendo la pace; e per riconciliarli tutti e due con Dio in un corpo unico mediante la croce, sulla quale fece morire l’inimicizia. Con la sua venuta ha annunciato la pace a voi che eravate lontani e la pace a quelli che erano vicini; perché per mezzo di lui abbiamo gli uni e gli altri accesso al Padre in un medesimo Spirito” (Efesini 2:14-18).

Questi calzari ci danno pace, lo aveva detto anche Gesù: “Vi ho detto queste cose, affinché abbiate pace in me. Nel mondo avrete tribolazione, ma fatevi coraggio, io ho vinto il mondo»” (Giovanni 16:33).

Non siamo sotto l’ira di Dio, e non dobbiamo temere né Satana né il mondo. 

Come le scarpe “sensate” di mia mamma, la cosa più sensata che possiamo fare è armare, ossia riempire, la nostra mente, bocca e cuore della verità eterna del vangelo. È questo lo zelo dato dal vangelo che offre protezione, sicurezza, stabilità e pace al credente contro dubbi, bugie e inganni di questo mondo nemico di Dio e dei suoi. 

Ci sono ancora tre parti dell’armatura che il Signore ci ha fornito per fortificarci nella nostra vita sulla terra. Continueremo a studiarle. 

Davide Standridge

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La VOCE aprile 2023

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Un pizzico di sale... "Sia Dio riconosciuto giusto" 

Il mio liceo scientifico era tra i più prestigiosi di Roma. La materia che trovavo più odiosa era latino. Non riuscivo a capire l’utilità di questa lingua morta, che non si parla più in nessun paese del mondo. È vero, le lingue romanze (o neolatine) come l’italiano, derivano proprio dal latino, ma sono praticamente tutte diverse.

Comunque, a casa nostra, ogni volta che riportavo un brutto voto nella lingua “morta” si ripeteva sempre la stessa storia: mio padre mi riprendeva perché non avevo studiato come avrei dovuto, e mia mamma, laureata in lettere classiche (!), mi dava le ripetizioni.

Quanti scappellotti ho preso dietro la testa perché mi rifiutavo di studiare quella materia “inutile”! Anni dopo, scherzandoci su, dicevo a mia mamma che se oggi ero diventato meno intelligente era per i troppi scappellotti che mi aveva dato, e lei rideva.

Poi, però, il valore del latino l’ho capito, ed è un peccato che non sia successo ai tempi del liceo. Sembra che andiamo a scuola quando non siamo abbastanza maturi per capirne il valore. Potessi tornare indietro, m’impegnerei a studiare di più tutte le materie, non solo il latino.

Purtroppo facciamo lo stesso anche nel campo spirituale. Troppi credenti si accontentano di una comprensione superficiale degli insegnamenti della Bibbia, e solo quando sono passati anni se ne rendono conto, e ammettono che se potessero tornare indietro si impegnerebbero di più per capire meglio le Scritture.

Ma non c’è giorno migliore di oggi per cominciare a fare sul serio. Ogni cristiano è coinvolto in una battaglia spirituale che dura per tutta la vita, senza dare tregua. Per restare in piedi è indispensabile essere preparati e avere l’attrezzatura adatta. 

Come ti sei preparato per la tua battaglia spirituale oggi?

È guerra ma pochi ci credono

Nei numeri di gennaio e febbraio della Voce abbiamo cominciato a parlare della battaglia spirituale in cui, volenti o nolenti, si trovano coinvolti tutti i credenti. Il nostro testo di partenza lo ha scritto l’apostolo Paolo nella sua lettera agli Efesini.

“Del resto, fortificatevi nel Signore e nella forza della sua potenza. Rivestitevi della completa armatura di Dio, affinché possiate stare saldi contro le insidie del diavolo; il nostro combattimento infatti non è contro sangue e carne, ma contro i principati, contro le potenze, contro i dominatori di questo mondo di tenebre, contro le forze spirituali della malvagità, che sono nei luoghi celesti. Perciò prendete la completa armatura di Dio, affinché possiate resistere nel giorno malvagio e restare in piedi dopo aver compiuto tutto il vostro dovere. State dunque saldi: prendete la verità per cintura dei vostri fianchi; rivestitevi della corazza della giustizia; mettete come calzature ai vostri piedi lo zelo dato dal vangelo della pace; prendete oltre a tutto ciò lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutti i dardi infuocati del maligno. Prendete anche l’elmo della salvezza e la spada dello Spirito, che è la parola di Dio” (Efesini 6:10-17).

Abbiamo constatato che i versetti contengono tre comandi specifici:
– Fortificatevi nel Signore
– Rivestitevi della completa armatura di Dio
– Prendete la completa armatura di Dio

È vitale che ogni cristiano capisca che è in guerra, che il suo avversario è terribile, e che conosca bene ciascun elemento di quell’armatura spirituale che Dio stesso ha provveduto per ogni suo figlio. Ed è necessario indossarla.

L’armatura ha sei componenti, tutti ugualmente importanti e necessari:
CINTURA della VERITÀ
CORAZZA della GIUSTIZIA
CALZATURE dello ZELO dato dal vangelo
SCUDO della FEDE
ELMO della SALVEZZA
SPADA dello SPIRITO

Il primo di questi, la cintura della verità, l’abbiamo esaminato nel numero di febbraio. Se non hai potuto leggere i numeri di gennaio e febbraio, ce li puoi chiedere e saremo felici di mandarteli gratuitamente. Oggi conosceremo la corazza della giustizia.

Negligenza e ignoranza possono costare caro

Le forze armate e le forze dell’ordine di tutto il mondo portano, durante il servizio attivo, il giubbotto antiproiettile. Ma anche chi non è un militare, se vuole può acquistarlo e indossarlo.

Su internet si trovano tanti modelli diversi di gilet, giubbotti e altri indumenti antiproiettile che vanno, secondo la tipologia, da 100 a oltre 1000 euro per quelli professionali. Dubito comunque che la gente comune reputi di averne realmente bisogno. 

I giubbotti antiproiettile sono realizzati in materiali particolarmente resistenti come il kevlar, il dyneema e il twaron. Quelli più protettivi sono a struttura dura, con piastre di metallo o di materiali ceramici molto resistenti. Il proiettile non riesce a penetrarli, ma rimbalza sulla loro superficie. 

I giubbotti di questo tipo sono i migliori in termini di protezione, anche se peso e ingombro sono notevoli: la polizia e l’esercito li indossano di solito in situazioni ad alto rischio, ma non per attività di routine.

Un secondo tipo di veste protettiva ha una struttura morbida. In questo caso non vengono utilizzate placche di materiali duri ma alcuni tessuti. 

Questi tessuti a struttura morbida sono realizzati con una fitta rete di fibre sintetiche intrecciate. Il kevlar infatti è una fibra sintetica leggera, ma più resistente di una placca d’acciaio dello stesso peso. Quando viene intrecciata dà vita a una rete capace di assorbire grandi quantità di energia. Ma nemmeno questi sono leggeri, possono pesare fino a 11 Kg.

È sorprendente però che tutti questi giubbotti antiproiettile, che costano così tanto, abbiano una data di scadenza: durano solamente circa cinque anni.

È ovvio che chi deve indossare per lavoro questi indumenti deve essere consapevole sia del pericolo a cui si espone, che del tipo di protezione che i vari indumenti offrono contro proiettili o bombe.

L’industria bellica mira a produrre armi e proiettili sempre più efficaci, e questo significa che pure i giubbotti devono migliorare per garantire l’incolumità di chi li indossa. 

Negli Stati Uniti stanno sperimentando un giubbotto fatto di un liquido particolare, formato da un olio di silicone con particelle di ferro. Questo liquido all’impatto col proiettile, in un millesimo di secondo diventa durissimo attraverso cariche elettriche. 

I giubbotti di nuova generazione sarebbero dotati anche di un radar particolare che, in caso di pericolo, attiverebbe dei sensori all’interno dell’indumento.

Tutto questo potrebbe sembrare fantascienza, ma per coloro che vivono e lavorano in situazioni di pericolo reale, è un discorso importantissimo.

Per la nostra battaglia spirituale, noi cristiani abbiamo a disposizione un giubbotto antiproiettile che è stato progettato da Dio stesso. Non scade, né diventa obsoleto o inefficace contro le sofisticate e tecnicamente avanzate armi del nemico. È la corazza della giustizia, ed è sempre a disposizione del credente.

Spesso però, per la nostra stessa negligenza – forse perché non crediamo di essere veramente in guerra – non ci preoccupiamo di capire com’è fatta, e tantomeno di indossarla. 

Ai tempi di Paolo la corazza era diversa da quelle di oggi, ma aveva lo stesso scopo. Copriva il petto ed era fatta di materiale duro, come il cuoio o il metallo. Era modellata per seguire la forma del corpo. Il metallo poteva essere intrecciato o a segmenti. E la corazza poteva essere fatta anche a strati.

La sua funzione era quella di proteggere gli organi vitali del soldato, particolarmente il cuore. 

Il cuore non è soltanto un organo vitale, ma rappresenta la parte centrale della vita stessa, essendo la sede dei pensieri, degli affetti e delle emozioni.

Satana attacca principalmente i pensieri e gli affetti del credente. Lui mira alla mente e al cuore. Con la mente, vuole farci credere alle sue bugie, agitando e minando le nostre convinzioni e certezze spirituali. Attaccando il cuore, vuole rovinare i nostri affetti – tutto ciò che ci è caro, e che amiamo e ammiriamo nelle altre persone. 

Non dimentichiamoci mai che Satana si accanisce contro tutto quello che è vero, eterno e importante, le mete e i desideri santi della nostra vita in quanto figli di Dio. Tutto quello che è vero, puro, santo e onorevole lui vuole pervertirlo, e lo vuole rimpiazzare con menzogne, impurità, vergogna e peccato.

Paolo dice che la corazza, la protezione del credente, è la giustizia. Come la corazza era ancorata alla cintura, anche la giustizia è ancorata alla verità. Per capire cosa voglia dire esaminiamo quello che dice la Parola di Dio.

Per prima cosa dobbiamo ricordare che Paolo non sta parlando di una giustizia umana. Infatti, lui scrive: 

“Che dire dunque? Noi siamo forse superiori? No affatto! Perché abbiamo già dimostrato che tutti, Giudei e Greci, sono sottoposti al peccato, com’è scritto:
Non c’è nessun giusto, neppure uno.
Non c’è nessuno che capisca,
non c’è nessuno che cerchi Dio.
Tutti si sono sviati, tutti quanti si sono corrotti. Non c’è nessuno che pratichi la bontà, no, neppure uno.
La loro gola è un sepolcro aperto;
con le loro lingue hanno tramato frode.
Sotto le loro labbra c’è un veleno di serpenti. La loro bocca è piena di maledizione e di amarezza.
I loro piedi sono veloci a spargere il sangue. Rovina e calamità sono sul loro cammino e non conoscono la via della pace.
Non c’è timor di Dio davanti ai loro occhi.
Or noi sappiamo che tutto quel che la legge dice, lo dice a quelli che sono sotto la legge, affinché sia chiusa ogni bocca e tutto il mondo sia riconosciuto colpevole di fronte a Dio; perché mediante le opere della legge nessuno sarà giustificato davanti a lui; infatti la legge dà la conoscenza del peccato” (Romani 3:9-20).

Alla luce di questo passo è evidente che nessuna persona non credente è al sicuro da Satana, essendo in balia del diavolo e delle sue bugie. Per natura l’uomo non è giusto, nessuno escluso. Non cerca la giustizia perché non gli appartiene, né opera secondo giustizia. Il non credente, però, pensa di essere giusto, e pensa di saper fare azioni giuste. 

La Bibbia invece attesta che solo Gesù è giusto: “Ed è grazie a lui che voi siete in Cristo Gesù, che da Dio è stato fatto per noi sapienza, giustizia, santificazione e redenzione; affinché, com’è scritto: «Chi si vanta, si vanti nel Signore»” (1 Corinzi 1:30,31).

È impossibile per l’uomo essere giusto e agire secondo la giustizia, a meno che Dio non intervenga e lo renda giusto e, di conseguenza, lo protegga dalle insidie di Satana.

Nella sua lettera ai Romani Paolo spiega come Dio aveva messo la fede di Abraamo e di Davide in conto per ognuno di loro come giustizia, indipendentemente dalle loro opere, e poi aggiunge: “Or non per lui soltanto sta scritto che questo [l’avere fede nella promessa di Dio] gli fu messo in conto come giustizia, ma anche per noi, ai quali sarà pure messo in conto; per noi che crediamo in colui che ha risuscitato dai morti gesù, nostro signore, il quale è stato dato a causa delle nostre offese ed è stato risuscitato per la nostra giustificazione” (Romani 4:9,22-25, enfasi aggiunta).

La Bibbia afferma che chi crede in Gesù come suo Salvatore e Signore, viene dichiarato giusto. È una dichiarazione legale. Il credente non diventa giusto in sé stesso, ma Dio lo riveste della giustizia di Cristo, e lo dichiara giusto attraverso i meriti di Gesù – tali meriti sono la sua vita moralmente perfetta e senza peccato, la sua morte per i peccati di coloro che credono in lui, la sua resurrezione che ha sancito l’accettazione da parte di Dio del suo sacrificio – tutto questo protegge il credente dalla condanna della morte eterna.

Satana cerca sempre di insinuare un dubbio nel nostro cuore e nella nostra mente: Dio mi accetta o no? Sono abbastanza giusto per essere salvato e per rimanere salvato? Ci fa mettere in dubbio se siamo degni di servire il Signore o anche di testimoniare. 

Proprio sull’argomento della giustizia di Dio, si è insinuata la falsa dottrina che insegna che si può perdere la salvezza. È come se il credente, dopo che Dio l’ha dichiarato giusto esclusivamente in base ai meriti di Gesù, dovesse cercare di rimanere giusto con le proprie forze insufficienti e destinate a fallire. Molti si lasciano accecare da questa bugia e sono sempre afflitti dal dubbio di essere veramente giustificati o no.

Solo Dio può dichiarare una persona giusta. L’uomo non si può arrogare questo diritto, perché la Bibbia dichiara che nessun uomo che non sia stato dichiarato giusto può praticare la giustizia.

“In questo si distinguono i figli di Dio dai figli del diavolo: chiunque non pratica la giustizia non è da Dio; come pure chi non ama suo fratello” (1 Giovanni 3:10).

Questa conoscenza di ciò che è giusto, e la capacità di farlo, è un dono di Dio, e ci dà sicurezza: “Se sapete che egli è giusto, sappiate che anche tutti quelli che praticano la giustizia sono nati da lui” (1 Giovanni 2:29).

Questo era il sentimento profondo di Paolo mentre rifletteva sul suo passato e su quello che davvero conta davanti a Dio:

“Ma ciò che per me era un guadagno, l’ho considerato come un danno, a causa di Cristo. Anzi, a dire il vero, ritengo che ogni cosa sia un danno di fronte all’eccellenza della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho rinunciato a tutto; io considero queste cose come tanta spazzatura al fine di guadagnare Cristo e di essere trovato in lui non con una giustizia mia, derivante dalla legge, ma con quella che si ha mediante la fede in Cristo: la giustizia che viene da Dio, basata sulla fede. Tutto questo allo scopo di conoscere Cristo, la potenza della sua risurrezione, la comunione delle sue sofferenze, divenendo conforme a lui nella sua morte” (Filippesi 3:7-10).

Poi, nella sua lettera agli Efesini, esorta i credenti a rivestirsi di giustizia: “a rivestire l’uomo nuovo che è creato a immagine di Dio nella giustizia e nella santità che procedono dalla verità” (Efesini 4:24).

Ecco come la corazza della giustizia e la cintura della verità sono collegate insieme. La nostra nuova vita consiste nel camminare nella giustizia conosciuta attraverso la verità.

Mettersi la corazza della giustizia vuol dire prima di tutto essere consapevoli che siamo stati dichiarati giusti. È vero che cadiamo ancora nel peccato, ma è altrettanto vero che Dio ci reputa giusti perché non facciamo affidamento sulla nostra bontà o bravura per essere salvati, ma crediamo in Cristo che ha pienamente compiuto ogni cosa per la nostra eterna salvezza. 

A causa del cambiamento che Dio ha fatto in noi, siamo ora resi capaci di fare azioni giuste che onorano Dio, mentre quelle di prima erano solo panni sporchi ai suoi occhi.

La corazza della giustizia è una protezione attiva anche per il fatto che, vivere con un comportamento che segue la giustizia di Dio, ci rende sempre più capaci di capire chiaramente la differenza tra il bene e il male, il giusto e lo sbagliato. Questo ci fa maturare nella nostra fede, e contribuisce a proteggerci contro le insidie e le menzogne del diavolo. Chi invece si adagia senza impegnarsi nel ricercare la giustizia di Cristo, si rende facile preda di dubbi, menzogne e false dottrine.

La battaglia in cui siamo coinvolti è reale! L’obiettivo del nemico è quello di frenare la nostra crescita spirituale, la nostra vita attiva nella chiesa e la nostra testimonianza. Senza la cintura della verità e la corazza della giustizia siamo destinati a cadere miseramente. 

In confronto, un esame fallito in latino è una passeggiata.

Davide Standridge 

Sia Dio riconosciuto giusto

" Un pizzico di sale..." Ristampa della VOCE, maggio 1965

“Così portarono Acan in una valle, lo lapidarono insieme con la sua famiglia e poi lo coprirono con un mucchio di pietre per ricordare a tutti quanto è terribile il peccato della disubbidienza a Dio.” 

Mamma finì di raccontare la storia dell’Israelita ribelle che aveva portato l’interdetto nel campo ebreo (Giosuè 7) e i bambini rimasero assorti e pensierosi. 

“Ma perchè Dio non uccide anche noi quando disubbidiamo?” chiese Davide mettendosi a sedere sul letto. Deborah lo guardò preoccupata.

“Dio fa le cose diversamente, ora. Invece di punire subito, mostra pazienza e aspetta che le persone si pentano e chiedano perdono” spiegò Mamma. 

“Ma, allora, Dio non è giusto. Se si punisce una volta, si deve punire sempre.” 

“No, questo non è vero” continuò Mamma. “Anche Papà e io certe volte abbiamo pazienza e diciamo che vi daremo il castigo solo se rifarete una certa cosa cattiva. Ora state molto attenti, perchè sono cose difficili a capire, ma cercherò di spiegarvele bene.” 

Tutti si misero con le orecchie dritte per non perdere niente, salvo Stefanino che di problemi di alta teologia non si preoccupa ancora. 

“Dio è sempre lo stesso. È buono, cioè ci vuole bene, è giusto, cioè non fa sbagli, ed è santo.”

“Cioè non ha peccato” concluse Daniele. 

“Allora: Dio ha sempre voluto bene al suo popolo, e non ha mai approvato il peccato e non ha mai fatto sbagli nel punirlo. Nei tempi antichi ha scelto gli Ebrei perchè fossero un esempio per i pagani. Li curava, li aiutava e li puniva quando facevano male. Se avesse lasciato che Acan rubasse senza punirlo, gli altri avrebbero detto: «Allora, vuol dire che si può rubare se Dio non ci castiga!» e sarebbero diventati un popolo di ladri, anziché essere il popolo di Dio. Così Dio doveva punire appena qualche cosa di brutto succedeva. Sapete che anche i figli ribelli dovevano essere uccisi a pietrate?” 

Gli occhi di Daniele quasi cascarono fuori dalle orbite. 

“Poi, però, siccome la gente brava e santa non ci sapeva stare, Dio ha deciso di fare in un altro modo: ha mandato Gesù per salvare gli uomini e ha deciso di avere pazienza e di aspettare che la gente si convertisse a Lui. Però dice chiaramente che quelli che non credono in Cristo in questa vita dovranno andare all’inferno.”

“Tu spieghi molto bene” commentò Deborah. 

“Ma io non capisco ancora una cosa. Perchè Acan è dovuto andare all’inferno e ora la gente può avere il tempo di chiedere perdono. Non è mica giusto, vero?” chiese Davide. 

“La Bibbia ci fa capire che Acan ha riconosciuto il suo peccato ed è possibile che abbia chiesto perdono a Dio mentre camminava verso la valle per essere ucciso. Se lo ha fatto, la sua anima è stata salvata. Ed è la cosa che importa di più.” 

“Se è così, va bene” disse Davide rassicurato. 

“Ma a me piace di più come Dio fa adesso” sbadigliò Daniele, infilandosi sotto le coperte. 

“Buona notte, Mamma.” 

Mamma spense la luce e si allontanò per il corridoio lasciando la porta socchiusa. 

“E poi dicono che i bambini di sette anni non si pongono dei problemi...” pensò. “Chissà se anche l’apostolo Pietro non ci ha pensato quando scrisse che dobbiamo sempre essere pronti a rendere ragione della nostra fede a chiunque ce lo chiede?”

Maria Teresa Standridge

La VOCE marzo 2023

La parola cristiano nel linguaggio popolare è per molti sinonimo di uomo: se non sei un animale sei un cristiano. 

C’è chi addirittura si offende se dici che non tutti sono cristiani. 

Ma la maggior parte delle religioni professate nel mondo non hanno nulla a che fare con il cristianesimo, ed è quindi un errore chiamare cristiana una persona che non lo sia per propria scelta e convinzione. Infatti cristiano non si nasce, ma si diventa.   

Nel Nuovo Testamento, che definisce il cristiano, esiste anche un altro termine riferito ai credenti in Cristo, la parola discepolo. Avendo una connotazione particolare, è molto meno usata e meno familiare del termine cristiano.

Siamo cristiani o siamo discepoli?
Esistono cristiani che non sono discepoli?
Essere discepoli è diverso dall’essere cristiani?

Tu come ti definiresti? 

Cercare di capire se esiste una distinzione tra un discepolo e un cristiano per gli studiosi di teologia non è affatto un arido esercizio accademico. Il Signore Gesù stesso, che all’apice del suo ministero terreno di seguaci ne aveva un’infinità, considerava fondamentale che le persone capissero bene che non tutti erano discepoli. Di seguaci ne aveva tanti, ma di discepoli?

Per Dio non è un problema riconoscere chi sono i suoi discepoli, perché lui vede nei cuori. Invece chi è solo un seguace spesso s’illude di essere discepolo quando non lo è. E quest’illusione costerà cara a tantissime persone, perché è una questione di vita o di morte!

A volte si confondono anche i discepoli con gli apostoli. Ma gli apostoli erano i dodici uomini che Gesù aveva scelto tra tutti i suoi discepoli. Perciò quando parlo di discepoli non mi riferisco agli apostoli. Gesù aveva molti seguaci e molti discepoli. 

Migliaia di persone erano attirate da Gesù, dalle sue parole e dai suoi miracoli. 

Le folle lo seguivano da un villaggio a un altro, ma non capivano che il Signore richiedeva loro qualcosa in più del semplice corrergli dietro per vedere o ricevere un suo miracolo. Infatti Gesù dovette spesso mettere in guardia le persone, con affermazioni chiare e senza mezzi termini, dicendo loro:

“Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e persino la sua propria vita, non può essere mio discepolo. E chi non porta la sua croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo. 
Chi di voi, infatti, volendo costruire una torre, non si siede prima a calcolare la spesa per vedere se ha abbastanza per poterla finire? Perché non succeda che, quando ne abbia posto le fondamenta e non la possa finire, tutti quelli che la vedranno comincino a beffarsi di lui, dicendo: «Quest’uomo ha cominciato a costruire e non ha potuto terminare».
Oppure, qual è il re che, partendo per muovere guerra a un altro re, non si sieda prima a esaminare se con diecimila uomini può affrontare colui che gli viene contro con ventimila? Se no, mentre quello è ancora lontano, gli manda un’ambasciata e chiede di trattare la pace.
Così dunque ognuno di voi, che non rinuncia a tutto quello che ha, non può essere mio discepolo” (Luca 14:25-33).

Molti andavano dietro a Gesù, ma non tutti erano suoi discepoli. 

La parola discepolo significa colui che impara da un maestro, seguendolo e ubbidendogli.

C’era una differenza (ed esiste ancora) tra chi seguiva il Signore Gesù e chi invece era suo discepolo: al discepolo era richiesto uno standard molto alto di impegno e dedizione.

Essere discepolo esigeva una scelta radicale: rinunciare a tutto. 

Nulla poteva essere più importante di seguire Cristo Gesù, imparare da lui, imitarlo e obbedirgli a qualsiasi costo. Una simile decisione non era da prendere alla leggera. Il costo da pagare era molto alto, infatti, molti discepoli sarebbero stati uccisi per la loro fede, così come sarebbe stato ucciso il loro Maestro.

Essere discepolo vuol dire identificarsi con il Maestro, nel bene e nel male. “Basti al discepolo essere come il suo maestro e al servo essere come il suo signore. Se hanno chiamato Belzebù il padrone, quanto più chiameranno così quelli di casa sua” (Matteo 10:25).

La vera persecuzione contro i discepoli sarebbe cominciata dopo l’ascesa al cielo del Signore Gesù. Lui li aveva avvisati dicendo: “Io vi ho detto queste cose, affinché non siate sviati. Vi espelleranno dalle sinagoghe; anzi, l’ora viene che chiunque vi ucciderà, crederà di rendere un culto a Dio. Faranno questo perché non hanno conosciuto né il Padre né me. Ma io vi ho detto queste cose affinché, quando sia giunta la loro ora, vi ricordiate che ve le ho dette. Non ve le dissi da principio perché ero con voi” (Giovanni 16:1-4).

Essere discepoli non era per i deboli di cuore: avrebbero perso le famiglie, gli amici e spesso anche la vita. E i loro uccisori sarebbero stati fieri, credendosi per queste azioni veri seguaci di Dio.

Essere discepoli era un cammino arduo e senza scorciatoie, da cui non si tornava indietro, ma anche un cammino di grandi benedizioni. Infatti a quei Giudei che avevano creduto in lui, Gesù disse: “Se perseverate nella mia parola, siete veramente miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” (Giovanni 8:31,32). 

Il discepolo conosce bene quello che ha detto Gesù, si aggrappa a ogni suo insegnamento, e lo mette in pratica senza compromessi.

Il discepolo è amato da Dio, e Cristo si manifesterà a lui: “Chi ha i miei comandamenti e li osserva, quello mi ama; e chi mi ama sarà amato dal Padre mio, e io lo amerò e mi manifesterò a lui” (Giovanni 14:21).

Al discepolo Cristo ha promesso la sua pace, la sua presenza, la gioia completa e lo Spirito Santo (Giovanni 14:25-27). 

I discepoli sarebbero diventati una comunità; era questo, infatti, il disegno di Cristo per la sua chiesa: “Io vi do un nuovo comandamento: che vi amiate gli uni gli altri. Come io vi ho amati, anche voi amatevi gli uni gli altri. Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri” (Giovanni 13:34,35). La chiesa è una comunità unica e sorprendente, dove i discepoli si amano in modo genuino, avendo imparato ad amare da Gesù in persona.

Al discepolo è riservato un futuro glorioso: “Padre, io voglio che dovo sono io, siano con me anche quelli che mi hai dati, affinché vedano la mia gloria che tu mi hai data; poiché mi hai amato prima della fondazione del mondo” (Gesù, in Giovanni 17:24). 

È significativo che nel Nuovo Testamento la parola discepolo (in tutte le sue varie forme) si trovi più di 200 volte. In alcuni casi si riferisce ai seguaci in generale, altre volte ai veri discepoli. Solo più tardi, come attesta Luca: “ad Antiochia, per la prima volta, i discepoli furono chiamati cristiani” (Atti 11:26).

In altre parole, c’è un solo modo di essere cristiani: essere discepoli.

Oggi, con l’abuso della parola cristiano, rischiamo di dimenticare che un credente in Cristo è anzitutto un discepolo. Quindi, secondo quello che la Bibbia insegna, solo una persona che ubbidisce a Cristo e che s’impegna per diventare come lui può essere chiamato cristiano. 

A questo punto è logico domandarsi se siamo davvero dei discepoli o solo dei seguaci di una religione. 

La Bibbia è chiara su chi è un cristiano: chi crede in Gesù come unico e personale Salvatore e lo serve come indiscusso Signore della propria vita. 

Forse il desiderio di riempire le nostre sale di culto con nuove persone ci ha fatto trascurare di spiegare bene che seguire Cristo ha un costo. Quando una persona dichiara di voler credere in Cristo, in qualunque modo lo faccia, sia con una preghiera, sia per alzata di mano, la sua decisione deve portarla a vivere una vita da discepolo.

Dopo la sua resurrezione Gesù incontrò i suoi discepoli per l’ultima volta in Galilea, e gli disse: “Ogni potere mi è stato dato in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate miei discepoli tutti i popoli battezzandoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutte quante le cose che vi ho comandate. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine dell’età presente” (Matteo 28:18-20).

Ai discepoli è comandato di fare discepoli! Non avrebbero potuto farlo con le loro forze, ma tramite il potere che Dio ha dato a Gesù come Signore assoluto di ogni cosa. E lui avrebbe accompagnato i discepoli nel loro arduo compito fino alla fine.

Noi spesso perdiamo di vista la nostra prima responsabilità di essere discepoli e poi di fare discepoli insegnando loro a osservare tutte le cose che Gesù ha insegnate. 

Questo vuol dire che dovremmo tutti esaminare le nostre vite, osservare con più attenzione coloro che sono seguaci e non ancora discepoli, ed essere saggi nel presentare il vangelo alle persone intorno a noi.

Davide Standridge 

A.A.A. CERCASI AMORE

Come tutti gli anni, anche questa volta abbiamo preparato un opuscolo evangelistico dal titolo A.A.A. CERCASI AMORE, che puoi leggere CLICCANDO QUI. La nostra preghiera è che sia uno strumento che tu possa usare per portare il messaggio del vangelo alle persone intorno a te.

Le copie che ordinerai possono essere personalizzate gratuitamente per te o per la tua chiesa, con il vostro indirizzo e con il messaggio che ci indicherai. Vedi le informazioni su quantitativi e prezzi, e su come fare l’ordine, alla quarta pagina dell’opuscolo stesso!

E proprio per le circostanze che stiamo vivendo, abbiamo preparato anche una versione digitale dell’opuscolo che può essere inviata tramite WhatsApp. È gratuita, ma non personalizzabile. Puoi farne richiesta scrivendoci a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo. e indicandoci il tuo numero di cellulare dove vuoi che te la inviamo. 

Ormai facciamo tutti parte di chat e gruppi sui nostri smart-phone, e questo potrebbe essere un ottimo strumento per aiutarti a parlare della tua fede. Non costa nulla, se non un po’ di tempo.

Che il Signore ci usi per diffondere il vangelo della sua grazia a chi non lo conosce.

 

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La VOCE febbraio 2023

Leonard Knight aveva solo 17 anni nel 1915 quando fu colpito al petto da una pallottola nemica durante la Prima guerra mondiale.

Il giovane scampò provvidenzialmente alla morte grazie a una Bibbia tascabile che zia Minnie Yates gli aveva regalato prima che lui partisse, e che il giovane portava sempre nel taschino della sua giacca militare.

La copertina di quella Bibbia aveva fermato il proiettile a sole 50 pagine dalla fine, e a pochi centimetri dal cuore del ragazzo. Senza dubbio è stato Dio nella sua sovranità a proteggerlo. Quel giovane sapeva di essere in guerra, e Dio si era preso cura di lui.

Anche noi siamo in guerra!

Il diavolo ha dichiarato guerra a tutti i veri credenti. La battaglia comincia il giorno in cui un peccatore diventa per grazia di Dio un suo figlio, credendo in Cristo come suo Salvatore e Signore.

Nel numero di gennaio della VOCE abbiamo parlato della realtà e della serietà di questa guerra. Ora vogliamo scoprire nella Bibbia come dobbiamo prepararci alla battaglia, e qual è l’armatura che Dio ci ha fornito, indispensabile per resistere agli attacchi del diavolo e restare in piedi.  

Non so se ti è mai capitato di essere colto da una pioggia improvvisa senza ombrello, senza impermeabile e senza un posto dove ripararti. Ne sarai uscito inzuppato e infreddolito, ma praticamente indenne. Farsi cogliere impreparati in piena guerra, però, non è la stessa cosa, e apre la strada a grandi disastri!

Nella sua lettera alla chiesa di Efeso Paolo ha scritto: 

Del resto, fortificatevi nel Signore e nella forza della sua potenza. 
Rivestitevi della completa armatura di Dio, affinché possiate stare saldi contro le insidie del diavolo; il nostro combattimento, infatti, non è contro sangue e carne, ma contro i principati, contro le potenze, contro i dominatori di questo mondo di tenebre, contro le forze spirituali della malvagità, che sono nei luoghi celesti. Perciò prendete la completa armatura di Dio, affinché possiate resistere nel giorno malvagio e restare in piedi dopo aver compiuto tutto il vostro dovere.
State dunque saldi: prendete la verità per cintura dei vostri fianchi; rivestitevi della corazza della giustizia; mettete come calzature ai vostri piedi lo zelo dato dal vangelo della pace; prendete oltre a tutto ciò lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutti i dardi infuocati del maligno. 
Prendete anche l’elmo della salvezza e la spada dello Spirito, che è la parola di Dio; pregate in ogni tempo, per mezzo dello Spirito, con ogni preghiera e supplica; vegliate a questo scopo con ogni perseveranza. Pregate per tutti i santi, e anche per me, affinché mi sia dato di parlare apertamente per far conoscere con franchezza il mistero del vangelo, per il quale sono ambasciatore in catene, perché lo annunci francamente, come conviene che ne parli. 
—Efesini 6:10-20

 Tu e io dobbiamo fortificarci nel Signore Gesù, perché come lui è stato attaccato da Satana lo siamo anche noi. 

Satana è un avversario potente: può contare sull’aiuto dei suoi demoni, che lo seguono ciecamente, ma anche di tutte le persone che non sono nate di nuovo. 

Lo scopo di Satana è quello di fermare l’avanzata del regno di Dio in te, nella chiesa e nel mondo. 

In passato non ha potuto impedire che il piano salvifico di Dio si compisse in Cristo che, dopo aver vissuto una vita perfetta senza peccato, è morto sulla croce per riscattare i peccatori. Risuscitando Cristo dai morti Dio ha dato prova di aver accettato il sacrificio di lui e gli ha dato il nome di “Signore”. 

Oggi la battaglia del diavolo consiste nel cercare di frenare l’avanzata del regno di Dio attaccando i credenti e schiavizzando i non credenti. 

Ci sono tre sfere in cui il credente è attaccato dal nemico: nella sua vita privata, nei suoi rapporti con gli altri credenti e nel suo ruolo di testimone di Cristo verso coloro che non conoscono Dio.

Per difenderci dai suoi attacchi Dio ha a disposizione per noi sei mezzi specifici e potenti che funzionano come l’armatura di un soldato romano dell’epoca:

CINTURA della VERITÀ
CORAZZA della GIUSTIZIA
CALZATURE dello ZELO dato dal vangelo
SCUDO della FEDE
ELMO della SALVEZZA
SPADA dello SPIRITO

Quest’armatura serve principalmente per protezione, perché possiamo resistere a ogni attacco e rimanere in piedi. Non è affatto nostra responsabilità attaccare Satana e cercare di sconfiggerlo, quello è compito di Cristo. A noi è richiesto di opporre resistenza e venirne fuori illesi. 

In questo conflitto non basta che tu abbia resistito fino a ieri: oggi hai una nuova battaglia da affrontare, nuovi attacchi da schivare, nuove insidie da evitare. 

Il nostro nemico non è onnipotente né onnisciente, ma ci conosce bene, perché prima di convertirci eravamo suoi schiavi, provavamo addirittura piacere nel fare quello che voleva lui.

CINTURA della verità

Il primo pezzo dell’armatura menzionato da Paolo è la CINTURA della VERITÀ.

Mio nonno era un uomo di campagna, alto e magro, coltivava la terra, e con le mani sue ha costruito la sua casa. Aveva frequentato solo le prime classi elementari, ma quando si era convertito la sua vita era cambiata radicalmente: aveva cominciato a studiare la Bibbia ed era diventato il pastore di una piccola chiesa rurale nel nord degli Stati Uniti. Predicava con grande zelo la Parola di Dio. Un vero esempio per mio padre, che ha deciso anche lui di servire il Signore a pieno tempo. Ma un esempio anche per me.

Alto e magro com’era, ho trovato buffo che odiasse indossare vestiti stretti. I suoi jeans per lavorare la terra, come anche i pantaloni del suo vestito della domenica, erano sempre larghissimi. Doveva tirare la cintura stretta stretta per evitare gli calassero. Per lui la cintura era un accessorio essenziale.

Ai tempi di Paolo tutti gli uomini portavano una tunica. La forma era simile a un sacco con un buco per la testa e due per le braccia, e poteva arrivare fino alle caviglie. Quella dei soldati arrivava fino a sotto le ginocchia. Quando c’era da lavorare o da camminare speditamente si tiravano su i lembi legandoli alla cintura. 

La cintura dei soldati era di cuoio, talvolta ornata in modo da mostrare a quante battaglie avevano partecipato, e non la si portava per bellezza ma per necessità. Impediva al soldato di inciampare in battaglia. In più serviva per ancorare la corazza, fissata a essa con una bretella che passava sulla spalla del soldato.

I destinatari della lettera agli Efesini sapevano esattamente cosa fosse e a cosa servisse la cintura. Infatti “cingersi i fianchi” era una locuzione comune che significava prepararsi ad agire. Gesù l’ha citata per descrivere l’atteggiamento che dobbiamo avere mentre aspettiamo il suo ritorno: “I vostri fianchi siano cinti, e le vostre lampade accese” (Luca 12:35, vedi anche 1 Pietro 1:13).

La cintura dunque era fondamentale per il soldato, ed era sempre il primo elemento per prepararsi a combattere, a soffrire, a resistere. 

La cintura di cui Paolo parla in Efesini 6 è la verità, e si riferisce alla Parola di Dio: “In lui voi pure, dopo aver ascoltato la parola della verità, il vangelo della vostra salvezza, e avendo creduto in lui, avete ricevuto il sigillo dello Spirito Santo che era stato promesso” (Efesini 1:13).

Nella battaglia spirituale la verità ha un ruolo imprescindibile

  • La verità è il punto di partenza per diventare figli di Dio. Ascoltare e credere alla verità su noi stessi, sul peccato e sulla condanna, su Cristo e sulla grazia che lui offre salva l’uomo, che da nemico di Dio diventa suo figlio.

  • La verità deve anche guidarci nella crescita nella fede e nella conoscenza di Dio
    “affinché non siamo più come bambini sballottati e portati qua e là da ogni vento di dottrina per la frode degli uomini, per l’astuzia loro nelle arti seduttrici dell’errore; ma, seguendo la verità nell’amore, cresciamo in ogni cosa verso colui che è il capo, cioè Cristo. Da lui tutto il corpo ben collegato e ben connesso mediante l’aiuto fornito da tutte le giunture, trae il proprio sviluppo nella misura del vigore di ogni singola parte, per edificare sé stesso nell’amore.
    Questo dunque io dico e attesto nel Signore: non comportatevi più come si comportano i pagani nella vanità dei loro pensieri,con l’intelligenza ottenebrata, estranei alla vita di Dio, a motivo dell’ignoranza che è in loro, a motivo dell’indurimento del loro cuore.
    Essi, avendo perduto ogni sentimento, si sono abbandonati alla dissolutezza, fino a commettere ogni specie di impurità con avidità insaziabile.
    Ma voi non è così che avete imparato a conoscere Cristo. Se pure gli avete dato ascolto e in lui siete stati istruiti secondo la verità che è in Gesù, avete imparato per quanto concerne la vostra condotta di prima a spogliarvi del vecchio uomo che si corrompe seguendo le passioni ingannatrici; a essere invece rinnovati nello spirito della vostra mente e a rivestire l’uomo nuovo che è creato a immagine di Dio nella giustizia e nella santità che procedono dalla verità” (Efesini 4:14-24).
  • La verità fa conoscere quale deve essere il comportamento del credente, insegna come vivere per piacere a Dio. Istruisce, informa e indottrina il credente, così che impari a distinguere il bene dal male, il vero dal falso e la realtà dalla menzogna. 
  • La verità guida il credente verso l’ubbidienza alla Parola di Dio, lontano dalle scelte peccaminose di prima, quando viveva nell’ignoranza, e schiavo di Satana.

La battaglia tra Cristo e Satana verte tutta sulla verità.

Il vangelo afferma di Gesù: “E la Parola è diventata carne e ha abitato per un tempo fra di noi, piena di grazia e di verità; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre” (Giovanni 1:14).

Lui stesso ha detto di sé: “Io sono la via, la verità e la vita; nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” (Giovanni 14:6).

Ha pregato anche che i suoi fossero santificati dalla verità (Giovanni 17:17).

Al contrario di Gesù, Satana è il padre della menzogna. A quelli che si rifiutavano di credere in lui, Gesù ha dichiarato: “Voi siete figli del diavolo, che è vostro padre, e volete fare i desideri del padre vostro. Egli è stato omicida fin dal principio e non si è attenuto alla verità, perché non c’è verità in lui. Quando dice il falso, parla di quel che è suo, perché è bugiardo e padre della menzogna. A me, perché io dico la verità, voi non credete” (Giovanni 8:44,45).

Le bugie e le mezze verità – che sono mezze menzogne – hanno fatto parte della strategia di Satana sin dal principio. Nel giardino di Eden, con astuzia ha insinuato a Eva il dubbio che Dio avesse mentito. Eva e Adamo sono caduti perché non si sono aggrappati alla verità (Genesi 3).

Tu e io, per non essere ingannati, abbiamo bisogno di essere radicati nella verità. Gesù ha promesso a chi crede in lui: “Se perseverate nella mia parola, siete veramente miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi” (Giovanni 8:31,32).

E Paolo esorta: “Come dunque avete ricevuto Cristo Gesù, il Signore, così camminate in lui; radicati ed edificati in lui, saldi nella fede, come vi è stata insegnata” (Colossesi 2:6,7).

Il credente superficiale, che non conosce la verità biblica, è facile preda di bugie, filosofie e vani raggiri di tradizioni umane (Colossesi 2:8). 

La chiesa è costantemente sotto attacco da false dottrine e ideologie antibibliche, quali l’abolizione degli assoluti, l’evoluzionismo, la teoria del gender ecc. 

Anche le guide stesse della chiesa possono essere sedotte da nuove tendenze pseudo evangeliche se non sono radicate nella verità delle Scritture. 

Questo pericolo si profilava già ai tempi di Paolo. Infatti nel suo discorso di commiato lui dichiarò agli anziani della chiesa di Efeso “di essere puro del sangue di tutti; perché non mi sono tirato indietro dall’annunciarvi tutto il consiglio di Dio. Badate a voi stessi e a tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha costituiti vescovi, per pascere la chiesa di Dio, che egli ha acquistata con il proprio sangue. Io so che dopo la mia partenza si introdurranno fra di voi lupi rapaci, i quali non risparmieranno il gregge; e anche tra voi stessi sorgeranno uomini che insegneranno cose perverse per trascinarsi dietro i discepoli. Perciò vegliate, ricordandovi che per tre anni, notte e giorno, non ho cessato di ammonire ciascuno con lacrime” (Atti 20:26-31).

L’attacco satanico contro la verità è destinato a inasprirsi con il tempo mentre si avvicina il ritorno di Cristo. Perciò Paolo ha scritto a Timoteo: “Ti scongiuro, davanti a Dio e a Cristo Gesù che deve giudicare i vivi e i morti, per la sua apparizione e il suo regno: predica la parola, insisti in ogni occasione favorevole e sfavorevole, convinci, rimprovera, esorta con ogni tipo di insegnamento e pazienza. Infatti verrà il tempo che non sopporteranno più la sana dottrina, ma, per prurito di udire, si cercheranno maestri in gran numero secondo le proprie voglie, e distoglieranno le orecchie dalla verità e si volgeranno alle favole. Ma tu sii vigilante in ogni cosa, sopporta le sofferenze, svolgi il compito di evangelista, adempi fedelmente il tuo ministero” (2 Timoteo 4:1-5).

Sotto questa luce è evidente quanto sia fondamentale per il credente cingersi con la cintura della verità. 

Ogni cristiano deve saper riconoscere la verità, deve saper smascherare i falsi insegnanti (2 Pietro 2:1-3;).

Ma bisogna anche capire che la verità non è insita nell’uomo; essa è rivelata esclusivamente da Dio – la Fonte della verità – nella sua Parola, e deve essere conosciuta, studiata e applicata con cura da chi crede in lui. 

Oggi ci sono alcuni che credono che Dio stia ancora rivelando nuove verità, quando la Bibbia vieta categoricamente di aggiungere o togliere qualcosa dalle Scritture. Chi lo fa è maledetto (Deuteronomio 4:2; 12:32; Proverbi 30:6; Apocalisse 22:18,19).

Altri costruiscono la loro verità sulle loro esperienze. Non importa cosa dice la Bibbia, per loro quello che “sentono”  e che hanno “esperimentato” vale più della Parola di Dio. 

Ma i ragionamenti umani non sono verità, Isaia lo dice con chiarezza quando attesta che i pensieri di Dio sono diversi dai pensieri umani (Isaia 55:6-9). Il vero credente non interpreta le Scritture alla luce delle sue esperienze, ma permette alle Scritture di giudicare ogni suo pensiero e ragionamento (Ebrei 4:12,13).

Vuoi sapere come non soccombere agli attacchi di Satana? Fai come Leonard Knight e proteggi il tuo cuore e la tua mente con la verità della Parola di Dio. Leggila, studiala, meditala e mettila in pratica. 

Torneremo ancora a parlare del resto dell’armatura di Dio.        

Davide Standridge

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La VOCE gennaio 2023

Il 24 maggio 1915 l’Italia dichiarò guerra all’Austria, ed entrò ufficialmente nella Prima guerra mondiale. E nei quattro anni successivi avrebbe visti impegnati cinque milioni di soldati italiani, fra i quali ci sarebbero stati circa 620.000 morti, 600.000 fra prigionieri e dispersi, e quasi un milione di feriti.

Venticinque anni dopo, il 10 giugno 1940, con un celebre discorso dal balcone di Palazzo Venezia, Mussolini annunciò l’entrata in un’altra guerra, la Seconda guerra mondiale. Anche questo conflitto sarebbe durato circa quattro anni, e avrebbe mietuto circa 130.000 vittime civili, 313.000 militari e 15.000 ebrei.

La maggior parte di noi all’epoca non era ancora nata, e non può ricordare nulla di queste guerre – personalmente ne ho sentito parlare da mia mamma che aveva vissuto la Seconda guerra, e quando mi raccontava le sue esperienze io potevo solo lavorare d’immaginazione. Noi non l’abbiamo vissuta, e nemmeno vorremmo farlo. Ma noi credenti in Cristo viviamo un altro tipo di combattimento: è una guerra spirituale in cui siamo coinvolti tutto il tempo, anche se a volte tendiamo a ignorarla. Ma perché?  

La guerra a cui pochi credono

È un fatto triste che, nonostante la Bibbia parli chiaro della battaglia spirituale che coinvolge ogni credente, pochi ci credono e ancora meno si preparano a combatterla. Qualcuno addirittura pensa di poterla evitare, cosa però impossibile. Ma chi non è addestrato a questo combattimento ne cade vittima. 

In questa guerra si entra nel giorno in cui si diventa figli di Dio. È il giorno in cui ti sei riconosciuto un peccatore, e hai capito di non poterti salvare da solo con le tue buone opere, e hai creduto in Gesù Cristo come tuo Salvatore e Signore. 

Ebbene, in quel momento Dio ha perdonato i tuoi peccati grazie ai meriti di Gesù, morto sulla croce, sei nato di nuovo ed è cominciata la tua nuova realtà spirituale: la crescita nella fede e nella conoscenza di Dio, e un avanzamento nell’obbedienza a Lui, ma anche una costante lotta contro il peccato e contro il male che dominava la tua vita di prima. Tutto spirituale e tutto reale allo stesso tempo.

Infatti, dicendo che la guerra è spirituale, non vogliamo dire che sia astratta o che non tocchi in alcun modo la vita fisica. Durante tutto il suo tempo terreno anche Gesù aveva affrontato la stessa battaglia. I suoi nemici umani, quali Erode e i capi religiosi dei Giudei, erano manovrati e influenzati (inconsapevolmente forse, ma non senza colpa) dal suo nemico principale, Satana. 

Il Maligno aveva cercato di far uccidere Gesù da bambino attraverso l’editto raccapricciante di Erode, che ordinava di massacrare tutti i maschi a Betlemme dai due anni in giù. 

In seguito, quando Gesù era diventato adulto, aveva cercato di farlo cadere nel peccato,  tentandolo nel deserto per quaranta giorni. Ma il Signore Gesù non è mai caduto, anzi ha trionfato su Satana, però ha messo in guardia anche noi, suoi discepoli, sulle prove che ci toccheranno.

“Se il mondo vi odia, sapete bene che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe quello che è suo; siccome non siete del mondo, ma io ho scelto voi in mezzo al mondo, per questo il mondo vi odia. Ricordatevi della parola che vi ho detta: «Il servo non è più grande del suo signore.» Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi; se hanno osservato la mia parola, osserveranno anche la vostra. Ma tutto questo ve lo faranno a causa del mio nome, perché non conoscono colui che mi ha mandato” (Giovanni 15:18-21).

Entrare in una relazione con Gesù implica l’entrata in guerra contro i suoi nemici, e questo lo aveva detto chiaramente sin dall’inizio: “Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e persino la sua propria vita, non può essere mio discepolo. E chi non porta la sua croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.

“Chi di voi, infatti, volendo costruire una torre, non si siede prima a calcolare la spesa per vedere se ha abbastanza per poterla finire? Perché non succeda che, quando ne abbia posto le fondamenta e non la possa finire, tutti quelli che la vedranno comincino a beffarsi di lui, dicendo: «Quest’uomo ha cominciato a costruire e non ha potuto terminare.» 

“Oppure, qual è il re che, partendo per muovere guerra a un altro re, non si sieda prima a esaminare se con diecimila uomini può affrontare colui che gli viene contro con ventimila? Se no, mentre quello è ancora lontano, gli manda un’ambasciata e chiede di trattare la pace.

“Così dunque ognuno di voi, che non rinuncia a tutto quello che ha, non può essere mio discepolo” (Luca 12:26-33).

È chiaro, Gesù voleva che ognuno si rendesse conto subito di quanto sarebbe costato seguirlo. La vita di chi andava dietro a Lui sarebbe stata esposta al pericolo, le relazioni compromesse, e le prospettive cambiate per sempre. Molti amici sarebbero diventati nemici, e sarebbero sorti nuovi compiti e doveri, nuove mete e priorità. 

Uno dei motivi principali per cui i credenti non si rendono conto di essere in guerra è per il fatto che in molte chiese evangeliche le predicazioni presentano la fede cristiana come una vita rosea, piena di promesse che Dio però non ha mai fatto. Questo perché predicare sul pentimento e ravvedimento, sul giudizio, parlare del costo del discepolato, della giustizia, della costanza e della santità svuoterebbe le sale di culto… Sono cose “pesanti” che alla gente non piace ascoltare!

Ma omettendo dalle prediche tutti gli avvertimenti di Gesù si fanno gravi danni ai nuovi credenti. Infatti, se nessuno gli insegna come prepararsi per la guerra, rimarranno sprovveduti e vulnerabili a qualunque attacco di una battaglia che comunque durerà tutta la vita sulla terra.

Ogni cristiano ha tre sfere principali d’influenza e di responsabilità. La prima sfera riguarda il suo rapporto con Dio, la sua crescita spirituale e la santificazione. La seconda riguarda la chiesa visibile, dove deve servire e usare i doni che Cristo gli ha dato per il bene degli altri credenti. E infine la terza sfera è la società nella quale deve vivere come ambasciatore di Cristo, invitando le persone a essere riconciliate con Dio.

Tutte e tre le sfere sono anche dei veri e propri campi di battaglia. Molti credenti riconoscono la difficoltà nello svolgere le proprie mansioni in ogni area, ma non si rendono conto che è difficile proprio perché si è in guerra.

Alcuni cercano di evitare i conflitti a tutti i costi. Davanti alle difficoltà scelgono la strada più facile, trascurano la lettura, lo studio della Bibbia e la preghiera personale. Non crescendo nella conoscenza del Signore, non sanno mettere in pratica la sua Parola, restando così facili prede dei falsi insegnamenti dottrinali. Il loro impegno nella vita della chiesa è suscettibile a sbalzi di umore. E quando i non credenti fanno anche una minima obiezione  al vangelo si azzittiscono per non urtare la sensibilità di nessuno. 

Altri credenti non hanno capito cosa sia la guerra spirituale. Pensano che il diavolo attacchi il loro benessere e la loro comodità. 

Hanno abbracciato l’idea che i credenti dovrebbero vivere una vita tranquilla, senza problemi nelle loro relazioni, senza malattie, senza difficoltà sul lavoro e senza problemi finanziari. Ma non si rendono conto che così facendo stanno solo imitando le aspirazioni “degli uomini del mondo, il cui compenso è solo in questa vita” (Salmo 17:14). La lotta per il massimo benessere e agio in questa vita è una battaglia terrena, effimera, che non tiene conto dei piani di Dio.

Si sono dimenticati dell’avvertimento del Signore: “Non amate il mondo né le cose che sono nel mondo. Se uno ama il mondo, l’amore del Padre non è in lui. Perché tutto ciò che è nel mondo, la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita, non viene dal Padre, ma dal mondo. E il mondo passa con la sua concupiscenza; ma chi fa la volontà di Dio rimane in eterno” (1 Giovanni 2:15-17).

L’apostolo Paolo ha parlato della guerra spirituale nella sua lettera alla chiesa di Efeso. Ha scritto:

“Del resto, fortificatevi nel Signore e nella forza della sua potenza. Rivestitevi della completa armatura di Dio, affinché possiate stare saldi contro le insidie del diavolo; il nostro combattimento, infatti, non è contro sangue e carne, ma contro i principati, contro le potenze, contro i dominatori di questo mondo di tenebre, contro le forze spirituali della malvagità, che sono nei luoghi celesti. Perciò prendete la completa armatura di Dio, affinché possiate resistere nel giorno malvagio e restare in piedi dopo aver compiuto tutto il vostro dovere. State dunque saldi: prendete la verità per cintura dei vostri fianchi; rivestitevi della corazza della giustizia; mettete come calzature ai vostri piedi lo zelo dato dal vangelo della pace; prendete oltre a tutto ciò lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutti i dardi infuocati del maligno. Prendete anche l’elmo della salvezza e la spada dello Spirito, che è la parola di Dio; pregate in ogni tempo, per mezzo dello Spirito, con ogni preghiera e supplica; vegliate a questo scopo con ogni perseveranza. Pregate per tutti i santi, e anche per me, affinché mi sia dato di parlare apertamente per far conoscere con franchezza il mistero del vangelo, per il quale sono ambasciatore in catene, perché lo annunci francamente, come conviene che ne parli” (Efesini 6:10-20).

Questo è il combattimento che nessun credente deve sottovalutare, che nessun credente può evitare né affrontare senza l’aiuto di Dio, del Signore Gesù e dello Spirito Santo.

All’inizio della sua lettera, infatti, Paolo aveva parlato del ruolo che il Padre ha avuto nel pianificare la salvezza, e di come questa salvezza è stata compiuta dal Figlio e sigillata dallo Spirito Santo nella vita del credente. Poi aveva spiegato che la salvezza non è per opere, ma è il dono di Dio. Nessuno può vantarsi di averla meritata. 

L’apostolo aveva anche scritto che gli Ebrei e gli stranieri sono salvati nello stesso modo, e hanno il privilegio di conoscere la potenza di Dio e l’amore di Cristo, dopodiché ogni credente deve crescere nella chiesa, sotto l’insegnamento delle sue guide. Ogni credente diventa quindi parte integrante della chiesa visibile, dove eserciterà i suoi doni e farà molta attenzione a non creare divisioni, ma a preservare l’unità che Dio costruisce attraverso la trasformazione di ogni credente. 

Uso l’espressione “la chiesa visibile” per distinguerla dalla chiesa universale, in cui è inserito ogni credente che si è convertito di qualsiasi periodo storico e luogo. La “chiesa visibile” è la chiesa locale, di cui ogni credente deve far parte fisicamente. 

Ancora nella sua lettera agli Efesini Paolo, dopo aver parlato di come Dio opera nell’intimo del credente, affronta anche le responsabilità che questi ha, particolarmente il suo relazionarsi nella chiesa, in famiglia e al lavoro. 

Arrivando al capito 6 della lettera, il lettore ha un quadro chiaro di quanto sia difficile la vita cristiana e quanto sia incapace di gestirla con le sue forze. È proprio per questo motivo che Paolo, ispirato da Dio, vuole farci capire che siamo in battaglia. Quante volte avrai costatato che anche tu fallisci, malgrado i tuoi sforzi e la volontà! Hai capito che sei in battaglia, ma forse non ti sei preparato bene.

Il credente è chiamato a essere luce e sale, e a comportarsi come una nuova creatura, ma si cade così facilmente. La nostra battaglia è reale, e abbiamo un nemico cattivo e potente.

Nel passo di Efesini ci sono tre imperativi, ovvero tre comandi, che Dio vuole che mettiamo in pratica.

  • Il primo comando è “fortificatevi nel Signore e nella forza della sua potenza”, perché voi non avete le forze per combattere questa terribile battaglia.
  • Il secondo è “rivestitevi della completa armatura di Dio”, perché l’avversario che dobbiamo affrontare è potente.
  • Il terzo comando è “prendete la completa armatura di Dio”, perché ogni sua parte è fondamentale.

Il primo ordine ci mette davanti alla nostra incapacità di combattere la dura battaglia con le nostre forze. Dio ci dà le forze, ma le riceviamo dal Signore Gesù.

FORTIFICARSI NELLA FORZA DELLA SUA POTENZA 

All’inizio della sua lettera, Paolo pregava per i credenti di Efeso con queste parole:

“Perciò anch’io, avendo udito parlare della vostra fede nel Signore Gesù e del vostro amore per tutti i santi, non smetto mai di rendere grazie per voi, ricordandovi nelle mie preghiere, affinché il Dio del nostro Signore Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione perché possiate conoscerlo pienamente; egli illumini gli occhi del vostro cuore, affinché sappiate a quale speranza vi ha chiamati, qual è la ricchezza della gloria della sua eredità che vi riserva tra i santi, e qual è verso di noi che crediamo l’immensità della sua potenza. Questa potente efficacia della sua forza egli l’ha mostrata in Cristo, quando lo risuscitò dai morti e lo fece sedere alla propria destra nei luoghi celesti, al di sopra di ogni principato, autorità, potenza, signoria e di ogni altro nome che si nomina non solo in questo mondo, ma anche in quello futuro. Ogni cosa egli ha posta sotto i suoi piedi e lo ha dato per capo supremo alla chiesa, che è il corpo di lui, il compimento di colui che porta a compimento ogni cosa in tutti” (Efesini 1:15-23).

Abbiamo bisogno di capire la grandezza della potenza di Dio in Cristo Gesù. È fondamentale fidarsi di lui, e trovare in lui la forza per affrontare questa guerra. 

La forza di Cristo è unica: oggi lui è seduto alla destra del Padre da dove regna sovrano su tutto, operando in modo perfetto nella vita di ogni credente.

Nella sua seconda preghiera in questa lettera Paolo dice: “…affinché egli vi dia, secondo le ricchezze della sua gloria, di essere potentemente fortificati, mediante lo Spirito suo, nell’uomo interiore.” Questa forza viene dal conoscere intimamente e profondamente l’estensione dell’amore di Cristo per i suoi figli. 

Ogni credente che si affida alla signoria di Cristo e alla sua potenza deve sapere che Dio opererà al di là di qualsiasi aspettativa. Paolo scrive: “Or a colui che può, mediante la potenza che opera in noi, fare infinitamente di più di quel che domandiamo o pensiamo, a lui sia la gloria nella chiesa e in Cristo Gesù, per tutte le età, nei secoli dei secoli. Amen” (Efesini 3:20,21).

Nessun credente deve essere spaventato davanti alla battaglia, davanti alle circostanze che deve affrontare, perché Cristo opera con potenza in lui.

Ma noi dobbiamo fortificarci in Gesù, non dimenticando che lui è il nostro Signore! Ci fortifichiamo in lui man mano che riconosciamo la sua signoria, e lo seguiamo con umiltà, dipendenza e obbedienza. Non sottovalutiamo il primo comando, perché il secondo comando ci presenta il nemico che dobbiamo affrontare.

UN AVVERSARIO POTENTE 

Il nostro nemico, Satana, è potente. Affrontarlo senza prepararci è da stolti. È un nemico astuto, sempre in agguato.

Pensare al diavolo come a un personaggio rosso con la coda, le corna e il forcone rischia di ridurre il nostro nemico a una caricatura da fumetto anziché mostrare il potentissimo nemico che è. 

Il suo dominio è grande, basta ricordare la nostra relazione con lui prima di essere credenti: “Dio ha vivificato anche voi, voi che eravate morti nelle vostre colpe e nei vostri peccati, ai quali un tempo vi abbandonaste seguendo l’andazzo di questo mondo, seguendo il principe della potenza dell’aria, di quello spirito che opera oggi negli uomini ribelli. Nel numero dei quali anche noi tutti vivevamo un tempo, secondo i desideri della nostra carne, ubbidendo alle voglie della carne e dei nostri pensieri; ed eravamo per natura figli d’ira, come gli altri” (Efesini 2:1-3).

Noi eravamo suoi seguaci, egli ci incoraggiava e spronava a vivere come tutti gli altri che lo seguono, guidati dalle voglie e dalle concupiscenze.

La sua arma principale è la menzogna. Gesù lo ha descritto così: “Egli è stato omicida fin dal principio e non si è attenuto alla verità, perché non c’è verità in lui. Quando dice il falso, parla di quel che è suo, perché è bugiardo e padre della menzogna” (Giovanni 8:44).

Le bugie sataniche minano la nostra fiducia nella Parola di Dio, nelle sue promesse, nei suoi comandamenti. 

Il diavolo, i demoni e ogni persona che è sotto il suo dominio (tutte le persone che non sono credenti) sono attivi ogni momento per frenare la nostra crescita spirituale, incitandoci a peccare e portandoci a sottovalutare l’importanza della santificazione. Sono impegnati ad allontanarci dalla nostra vita di chiesa, distruggendo l’unità fra i credenti, e sono fissati nel rovinare la nostra testimonianza e nel tenere in schiavitù i non credenti.

Infatti, Pietro ci ricorda: “Siate sobri, vegliate; il vostro avversario, il diavolo, va attorno come un leone ruggente cercando chi possa divorare. Resistetegli stando fermi nella fede, sapendo che le medesime sofferenze affliggono i vostri fratelli sparsi per il mondo” (1 Pietro 1:5:8,9).

Anche Paolo mette i credenti in guardia contro le insidie di Satana, e ci avverte che non dobbiamo soccombere alle arti seduttrici dell’errore (Efesini 4:14).

Satana sa esattamente come farci cadere, conosce i nostri punti deboli. Convince alcuni che lui non esiste, altri invece li attira a sé apertamente.

In Italia il mondo dell’occulto è molto forte, un “giro di affari” di circa sei miliardi di Euro all’anno. Ci sono circa 100.000 maghi e streghe, con circa 40.000 satanisti solo nella zona di Torino. I tarocchi, le fatture, la magia bianca e nera, il malocchio, l’oroscopo, le tavole Ouija, i porta fortuna, i chiromanti e l’astrologia sono segni di quanto sia pervasivo l’occulto intorno a noi.

La Scrittura ci comanda di rivestirci dell’armatura di Dio per rimanere in piedi, e non per sconfiggere Satana da soli, dato che è il compito di Cristo. Dobbiamo piuttosto rimanere in piedi, fermi, resistendo e perseverando. Se non sei preparato, di certo non rimarrai in piedi.

Nei prossimi numeri parleremo ancora di questa guerra e di come ci dobbiamo preparare per affrontarla, di quali strategie Satana usa per attaccarci e quali sono i mezzi che Dio ci ha dato per uscirne vittoriosi.

Davide Standridge

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La VOCE luglio 2022

Cercasi tesoro

La maggior parte degli americani abitano nei quartieri residenziali, in case unifamiliari con giardino privato e garage. Ogni tanto, specialmente durante il week-end, si leggono cartelli con la scritta “garage sale” o “yard sale”. Sono i mercatini privati dell’usato, molto popolari negli Stati Uniti.

Chiunque, per un motivo o per l’altro, voglia disfarsi di quello che non serve più, può organizzare un garage sale mettendo gli oggetti in vendita in bella vista sul prato o nel garage che apre al pubblico.

Questi mercatini privati sono molto popolari, e certa gente ha l’abitudine di alzarsi presto il sabato per andare alla ricerca dell’affare. Per questo il famoso detto “One man’s trash is another man’s treasure” (la spazzatura di uno è il tesoro di un altro) è molto azzeccato. Questo ricorda un fatto recentemente accaduto...

La scoperta

Ecco il fatto a cui mi riferivo nella pagina precedente, così com’è riportato dal quotidiano La Stampa. 

Vincenzo Di Mauro, un trentatrenne titolare dell’officina torinese “Il ricambio”, ha trovato la bellezza di quasi centomila euro in buoni fruttiferi postali, abbandonati nell’isola ecologica di via Como a Settimo Torinese. La straordinaria scoperta è stata fatta domenica mattina, e il tesoro è stato consegnato ai carabinieri.
I buoni fruttiferi erano in una cartellina nascosta in un mobile che una certa signora di 68 anni, proprietaria di quel vecchio comò, aveva abbandonato vicino ai bidoni della spazzatura. Il mobile aveva fatto gola a Vincenzo e a suo zio Vito, e avevano intenzione di restaurarlo, ma non avrebbero mai immaginato che al suo interno fosse custodito un vero e proprio tesoro. 

Fin qui la cronaca.

C’è una morale in tutto questo: viviamo in un mondo dove certe cose sono considerate inutili o addirittura spazzatura, quando in realtà sono dei tesori.

Quando si parla di soldi, si presume che tutti ne conosciamo il valore, ma non ci viene sempre facile riconoscere quanto valgano le persone e le cose, concrete o astratte che siano. 

Il valore che diamo a qualcosa dipende dal bisogno che ne abbiamo, ma questo potrebbe anche cambiare nel tempo. Per esempio, si può dare poco valore a un farmaco fino a quando non ne avremo effettivamente bisogno.

Pensiamo alla chemioterapia con tutti i suoi effetti collaterali: perdita dei capelli, anemia, stanchezza, nausea e vomito, diarrea, infezioni e formazione di lividi o piccole emorragie, talvolta anche problemi cognitivi. Nessuno si sognerebbe di iniziare un ciclo di chemioterapia se non fosse sicuro di averne assolutamente bisogno o senza la certezza che i benefici sorpassano gli effetti negativi.

Un Gesù che non serve

Durante la vita terrena di Gesù l’Impero romano aveva occupato Israele, e gli Ebrei, oppressi e tassati pesantemente, cercavano un liberatore nazionale, un re che li guidasse in un’insurrezione, liberandoli dagli invasori. 

Gesù, però, non sembrava corrispondere al tipo di personaggio che i capi del popolo avevano in mente. Era un Galileo di umili origini, figlio di un falegname. È vero che discendeva dal lignaggio del re Davide, ma era un dettaglio che forse gli uomini al potere ignoravano di proposito. Più che altro vedevano in lui un rivale.

Ma tutti erano rimasti meravigliati dai suoi miracoli, come per esempio guarire la gente da ogni malattia, moltiplicare il cibo per sfamare migliaia di persone usando pochi pani e alcuni pesci. 

In fin dei conti si sarebbero potuti accontentare di lui; avrebbe risolto il problema dei loro bisogni quotidiani. Ma Gesù non era venuto per organizzare una insurrezione né tanto meno per provvedere a tutte le necessità del popolo.

A quelli che gli correvano dietro dopo il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci, Gesù disse chiaramente: “In verità, in verità vi dico che voi mi cercate, non perché avete visto dei segni miracolosi, ma perché avete mangiato dei pani e siete stati saziati. Adoperatevi non per il cibo che perisce, ma per il cibo che dura in vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà; poiché su di lui il Padre, cioè Dio, ha apposto il proprio sigillo” (Giovanni 6:26,27).

Ovunque andava, il Signore faceva tanti miracoli e la sua fama si spandeva sempre di più, ma il suo obiettivo non era curare il corpo, bensì la condizione spirituale delle persone. Ai capi religiosi, che si sentivano a posto davanti a Dio, rimproverava l’ipocrisia, motivo per cui continuavano a respingere lui e il suo messaggio. “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Io non sono venuto a chiamare dei giusti, ma dei peccatori” (Marco 2:17) affermava Gesù.

Gli Ebrei non avevano capito chi fosse Gesù realmente, e non sentivano il bisogno di lui. Non era il “tesoro” che cercavano, perché non si consideravano malati. Al contrario, erano fieri di appartenere all’etnia privilegiata, di professare la religione giusta e di apparire giusti agli occhi del popolo. Quindi, se Gesù non era disposto a soddisfare i loro bisogni materiali, allora a che altro poteva servire?

Non ho mai fatto male a nessuno!

Dio aveva mandato Giovanni Battista a preparare la gente per l’arrivo di Gesù. Il suo compito era quello di predicare e di convincere tutti che erano dei peccatori. Aveva un messaggio duro da proclamare alle folle che andavano da lui per essere battezzate: “Razza di vipere, chi vi ha insegnato a sfuggire l’ira futura? Fate dunque dei frutti degni del ravvedimento, e non cominciate a dire in voi stessi: «Noi abbiamo Abraamo per padre!» Perché vi dico che Dio può da queste pietre far sorgere dei figli ad Abraamo. Ormai la scure è posta alla radice degli alberi: ogni albero dunque che non fa buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco” (Luca 3:7-9).

Di certo non usava le tecniche persuasive degli influencer per conquistarsi il pubblico.

Similmente, Gesù non era venuto nel mondo per mettere a proprio agio le persone o per diventare l’amicone di tutti. Non si proponeva come colui che ti rende la vita perfetta, migliorando le condizioni economiche, matrimonio e relazioni. Era venuto per risolvere il problema principale dell’uomo: la condanna a trascorrere l’eternità all’inferno a causa del peccato, una condanna che pende sulla testa di ogni essere umano. 

La soluzione garantita c’era, ma avrebbe richiesto il sacrificio più grande: dare la sua vita. È questo ciò che ha portato Gesù a morire sulla croce! Lui ha aperto la via del cielo a chiunque crede in lui.

Eppure, oggi, come duemila anni fa, non è questo il Gesù che il mondo cerca. 

Le persone continuano a ignorare la gravità e le conseguenze del loro peccato. La religione “nazionale” stessa ha contribuito a sminuire il peccato nelle menti e nelle coscienze delle persone. Sembra che quasi tutti i peccati siano considerati solo degli sbagli veniali, e che le eventuali conseguenze si potranno risolvere patteggiando con Dio. Pensano di poter compensare le loro mancanze con delle buone opere, e contano sulla comprensione di Dio. I nostri sbagli non sono mica tanto gravi, e poi Dio lo sa che siamo fondamentalmente buoni. Lo slogan che mette a posto la coscienza è “Non ho mai fatto male a nessuno!”

È ora di farsi una domanda

È naturale che chi non conosce Dio ragioni così, ma quando i credenti non fanno più una chiara distinzione tra il bene e il male, allora dobbiamo preoccuparci.

Oggi la tendenza dei predicatori non è sicuramente quella di emulare Giovanni Battista. Nessuno infatti direbbe mai: “Razza di vipere, chi vi ha insegnato a sfuggire l’ira futura?” Sarebbe controproducente stizzire la gente con espressioni troppo severe e dure. Bisogna conquistare le persone, accattivarsele e non alienarle.

Stranamente, però, anche le intenzioni di Giovanni Battista erano quelle di avvicinare le persone a Gesù. È possibile che fosse un Gesù diverso da quello che vogliamo presentare noi oggi?

Secondo te, di quale tipo di Gesù hanno bisogno i tuoi amici e parenti non credenti? Un amicone che fa felici tutti o uno che ci mostra la nostra vera miseria spirituale per poterci salvare? 

Serve un Gesù che risolve i problemi sulla terra o uno che risolve il destino eterno che ci siamo meritati offendendo Dio con il nostro abominevole peccato? Pensiamo bene a quale dei due vogliamo avvicinare le persone.

È veramente necessario farlo?

L’apostolo Paolo ha detto ai credenti di Efeso: “Non partecipate alle opere infruttuose delle tenebre; piuttosto denunciatele; perché è vergognoso perfino il parlare delle cose che costoro fanno di nascosto. Ma tutte le cose, quando sono denunciate dalla luce, diventano manifeste; poiché tutto ciò che è manifesto, è luce. Per questo è detto: «Risvegliati, o tu che dormi, e risorgi dai morti, e Cristo ti inonderà di luce»” (5:11-14).

Guardiamoci intorno: ormai la società non solo accetta il peccato, ma addirittura approva ed elogia le persone che lo commettono (Romani 1:32).

Noi di certo non lo approviamo. Ma non è che stiamo diventando sempre più muti e meno pronti a reagire a ciò che è definito peccato nella Bibbia?

Ciò che era scandalo alcuni anni fa, oggi è normale. Si convive, si fanno figli senza il vincolo del matrimonio, si tradisce il partner e nessuno inarca le sopracciglia. 

La società è influenzata da uomini e donne malvagi che vogliono forzare tutti ad accettare come naturale e giusto quello che non lo è, particolarmente nella sfera sessuale. Ma Paolo avverte i credenti: “Come si addice ai santi, né fornicazione, né alcuna impurità, né avarizia, sia neppure nominata tra di voi” (Efesini 5:3).

I tempi sono cambiati, ma lo standard di santità e di purezza che Dio esige è sempre lo stesso.

Paolo scrive agli Efesini ancora: “Non siate dunque loro compagni; perché in passato eravate tenebre, ma ora siete luce nel Signore. Comportatevi come figli di luce – poiché il frutto della luce consiste in tutto ciò che è bontà, giustizia e verità – esaminando che cosa sia gradito al Signore” (5:7-10). 

I figli di Dio devono essere luce. Ma cosa vuol dire praticamente? 

Una responsabilità che fa paura

Temo che ci siano cristiani per i quali è sufficiente vivere una vita morale, riempita ogni tanto da esclamazioni tipo “Se Dio vuole!” Nessun credente e nessuna chiesa si accontenti di questo!

Sicuramente un cristiano si comporta in modo diverso dal resto del mondo, separandosi da ogni sorta di male, ed esamina continuamente la propria vita alla luce delle Scritture per vivere in modo che onori Dio.

Ma Paolo ha scritto: “Non partecipate alle opere infruttuose delle tenebre; piuttosto denunciatele.”

 “Non partecipate”, “non siate loro compagni” sono dei comandi chiari e, in generale, i credenti li mettono in pratica per essere luce. Infatti, che tipo di credibilità può avere un credente se non si comporta come si addice a un figlio di Dio? Ma è la fine della frase di Paolo che ci lascia perplessi e ci spaventa, perché potremmo restare emarginati e subire l’opposizione degli altri.

Sia come sia, è un imperativo inequivocabile: “Denunciatele!”

Denunciare significa dire, rivelare, smascherare, parlare ad alta voce, mettere in evidenza, e questo fa arrabbiare o provare vergogna al “denunciato”. 

Ecco che l’essere luce diventa un fatto serio. Il comando in pratica è di non far finta di niente, non partecipare infatti è un’azione passiva, mentre il denunciare è certamente attiva.

Forse ti domandi perché denunciare ed esporsi in questo modo. Ci sono tre motivi validi per farlo. Ma prima di esaminarli, ricordiamoci che questo compito, la denuncia, non va fatto con arroganza o senso di superiorità. 

Nella prima parte della sua lettera Paolo aveva già ricordato ai suoi lettori credenti che ognuno di loro, inclusi noi che leggiamo oggi, in precedenza viveva nel peccato cercando di soddisfare i propri desideri, seguendo il diavolo e le persone intorno a lui, esattamente come oggi fanno tutti (Efesini 2:1-3). 

Ecco perché bisogna fare attenzione a non essere arroganti e senza umiltà o misericordia! 

Il primo motivo per denunciare il peccato è perché è vergognoso: “è vergognoso perfino il parlare delle cose che costoro fanno di nascosto” (Efesini 5:12).

L’uomo che giustifica il proprio peccato ha perso di vista la sua gravità. 

“Siccome non si sono curati di conoscere Dio, Dio li ha abbandonati in balìa della loro mente perversa sì che facessero ciò che è sconveniente; ricolmi di ogni ingiustizia, malvagità, cupidigia, malizia; pieni d’invidia, di omicidio, di contesa, di frode, di malignità; calunniatori, maldicenti, abominevoli a Dio, insolenti, superbi, vanagloriosi, ingegnosi nel male, ribelli ai genitori, insensati, sleali, senza affetti naturali, spietati. Essi, pur conoscendo che secondo i decreti di Dio quelli che fanno tali cose sono degni di morte, non soltanto le fanno, ma anche approvano chi le commette” (Romani 1:28-32).

L’uomo vive in ribellione a Dio, commette peccati, li giustifica e li approva. Agli occhi del Signore ciò è vergognoso, e l’uomo deve saperlo e sottomettersi a Lui. Se non lo diciamo chiaramente l’uomo non capirà la gravità del suo peccato, e non si renderà conto del suo bisogno del Salvatore, il Gesù che è rivelato nella Bibbia.

Farlo è diventato difficile perché l’umanità sta perdendo il comune senso del pudore, non sapendo più distinguere tra il giusto e l’errore. Le persone soffocano la propria coscienza ostentando azioni e comportamenti vergognosi, e attaccano chi denuncia il peccato, affibbiandogli l’etichetta di bigotto, ignorante e incapace di amare, come se fosse quest’ultimo a doversi vergognare.

Il secondo motivo per denunciare il peccato all’altro è perché il colpevole deve essere smascherato. “Ma tutte le cose, quando sono denunciate dalla luce, diventano manifeste; poiché tutto ciò che è manifesto, è luce” (Efesini 5:13,14).

Quello che dobbiamo fare non è solo parlare in modo generico del peccato, ma è importante collegare la persona alla sua colpa e specificarla.

La denuncia deve impedire all’altra persona di dire:

• Non ho mai fatto male a nessuno
• Sono una brava persona
• Quello che faccio non è mica peccato
• Alla fine, Dio deve salvare tutti
• Nessuno va all’inferno

Infatti, Dio è stato molto categorico facendo scrivere da Paolo: “Ora le opere della carne sono manifeste, e sono: fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria, stregoneria, inimicizie, discordia, gelosia, ire, contese, divisioni, sètte, invidie, ubriachezze, orge e altre simili cose; circa le quali, come vi ho già detto, vi preavviso: chi fa tali cose non erediterà il regno di Dio” (Galati 5:19-21).

Le parole di Paolo ai Romani “Tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio” e “Il salario del peccato è la morte” (3:23; 6:23a) hanno senso e possono colpire al cuore solo dopo una denuncia personale e chiara.

Hanno veramente bisogno del tuo Gesù?

Con queste dichiarazioni dirette faremo senza dubbio arrabbiare alcune persone. Infatti a Giovanni Battista è costata la vita parlare così.

Forse temiamo che farlo ci precluderà la possibilità di fare amicizia con le persone a cui vogliamo parlare. Allora ecco: 

il terzo motivo da ricordare: la denuncia è la premessa alla salvezza: “Risvegliati, o tu che dormi, e risorgi dai morti, e Cristo ti inonderà di luce” (Efesini 5:14).

È il presupposto per un invito altrettanto chiaro e personale alla salvezza.

Molti avevano seguito Gesù per i motivi sbagliati. Altri si erano illusi, immaginando che lui fosse diverso da quello che realmente era. Lo avevano seguito per un po’ di tempo, sembravano essere sinceri. Ma Gesù li aveva smascherati:

“«Tra di voi ci sono alcuni che non credono.» Gesù sapeva infatti fin dal principio chi erano quelli che non credevano, e chi era colui che lo avrebbe tradito. E diceva: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è dato dal Padre»Da allora molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con lui. Perciò Gesù disse ai dodici: «Non volete andarvene anche voi?» Simon Pietro gli rispose: «Signore, da chi andremmo noi? Tu hai parole di vita eterna; e noi abbiamo creduto e abbiamo conosciuto che tu sei il Santo di Dio»” (Giovanni 6:64-68).

I veri discepoli non cercavano Gesù perché fosse il loro nuovo leader politico, per risolvere i loro problemi quotidiani o per essere guariti fisicamente. Lo cercavano perché aveva parole di vita eterna.

Denunciare all’altro il suo peccato, è un modo biblico per essere la vera luce ed è un segno d’amore. Non possiamo proporre a una persona in piena salute di fare la chemioterapia. Ed è ugualmente inutile invitare a credere in un Gesù che salva dalla condanna eterna chi non si riconosce un peccatore, perché costui non crede di meritare alcuna condanna.

Non sia mai che le persone a cui parliamo vedano il Salvatore come inutile come gli oggetti dei garage sales, o peggio ancora diventino, per causa nostra, seguaci del Gesù sbagliato!

Gesù non diventerà mai il tesoro inestimabile di chi non si confronta con il proprio peccato e capisce di meritare la condanna, e che non si riconcilia con Dio.

—Davide Standridge

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La VOCE giugno 2022

E che sarà mai?!

A Roma, il proprietario di un appartamento è stato portato all’ospedale per gravi ustioni sul corpo. “Mi sono preso il caffè, ho acceso una sigaretta ed è esploso tutto” ha spiegato a quelli dell’ambulanza. Secondo gli investigatori, a provocare l’incidente che ha fatto collassare la palazzina, ferendo l’uomo e altre due persone, è stata appunto l’accensione di una sigaretta e la perdita di gas all’ultimo piano dello stabile.

Non è la prima volta che la cronaca riporta notizie di incendi innescati da un gesto banale come addormentarsi con la sigaretta accesa, buttare un mozzicone nel bosco senza spegnerlo o lasciare una candela accesa troppo vicina alle tende.

Anche una piccola fiammella può attivare una forza distruttiva senza pari! 

La Bibbia avverte: “Osservate: un piccolo fuoco può incendiare una grande foresta!” (Giacomo 3:5). Se solo le persone facessero più attenzione! 

L’avvertimento di Giacomo, si sa, non riguarda gli incendi, e nonostante si avvicini la stagione più arida col rischio più alto per foreste intere, non è di quello che vogliamo parlare. Il tema riguarda piuttosto l’uso della lingua, perché le nostre parole possono fare danni irreparabili.

Quello che preoccupava l’apostolo Giacomo non era soltanto il danno che possono procurare le parole dette male, ma anche il fatto che provengono da una fonte che invece dovrebbe essere incapace di pronunciarle. Lui ammonisce: “Dalla medesima bocca escono benedizioni e maledizioni. Fratelli miei, non dev’essere così. La sorgente getta forse dalla medesima apertura il dolce e l’amaro? Può forse, fratelli miei, un fico produrre olive, o una vite fichi? Neppure una sorgente salata può dare acqua dolce” (Giacomo 3:10-12).

Onestamente, siamo tutti colpevoli su questo punto. Di solito parliamo di getto, senza pensarci.

Siamo anche talmente indulgenti verso noi stessi che scusiamo il nostro modo di parlare come un difetto del nostro carattere. Casomai sono gli altri che devono imparare a essere meno permalosi. E se ci capita di dire cose sbagliate è perché reagiamo di pancia alle provocazioni degli altri. 

Così nella nostra mente giustifichiamo i sassi acuminati che ci escono dalla bocca: non è mica un peccato come rubare, l’adulterio o l’omicidio. Tanto più che i pugni li teniamo comunque nascosti in tasca. Non stiamo affatto esagerando quindi, in fondo sono solo parole...

Che sorpresa, però, scoprire nella Parola di Dio che certe cose non devono essere mai dette da un credente.

Il punto di Giacomo è che se un seguace di Cristo proferisce parole malvagie, deve sapere che lo sta facendo contro la volontà di Dio, e agisce anche al contrario di come dovrebbe, dato che ora ha una nuova natura in Cristo. Il credente, infatti è una nuova creatura, costituita da Dio per portare frutti buoni. Le cattiverie, le frecciate e le parole amare sono in realtà frutti marci e puzzolenti del suo “vecchio uomo”, quindi della sua vecchia natura.

Il nostro problema, però, è che forse non ne siamo del tutto convinti. Così, con la stessa lingua proferiamo parole di guerra e di pace, di vendetta e di conciliazione, di lamento e di gratitudine, di rabbia e di intesa, di disprezzo e di incoraggiamento, di odio e di amore. Anche se tutto questo ci sembra normale, addirittura inevitabile, per Dio non lo è affatto. 

Ora, però, davanti alla chiara Parola di Dio, non possiamo più sottovalutare le nostre parole ma dobbiamo guardarle come Dio le vede. 

Paolo avvisa i credenti di Efeso: “Come si addice ai santi, né fornicazione, né alcuna impurità, né avarizia, sia neppure nominata tra di voi; né oscenità, né parole sciocche o volgari, che sono cose sconvenienti; ma piuttosto abbondi il ringraziamento. Perché, sappiatelo bene, nessun fornicatore o impuro o avaro (che è un idolatra) ha eredità nel regno di Cristo e di Dio. Nessuno vi seduca con vani ragionamenti; infatti, è per queste cose che l’ira di Dio viene sugli uomini ribelli” (Efesini 5:3-6).

In questi versetti Paolo parla di due tipi di peccati, ma nel nostro articolo ci soffermeremo solo sull’uso della lingua.

Va da sé che la nostra società non solo minimizza il peccato in generale, ma lo giustifica, e a volte ne parla come se fosse normale. Anzi, a volte lo esalta. Più ci avviciniamo al ritorno di Cristo più il senso morale delle persone degenera. Ma Dio non cambia e il suo senso morale è sempre lo stesso, e ogni credente deve pensarla come Lui. 

Infatti, Paolo nella stessa lettera agli Efesini dice così: “Questo, dunque, io dico e attesto nel Signore: non comportatevi più come si comportano i pagani nella vanità dei loro pensieri, con l’intelligenza ottenebrata, estranei alla vita di Dio, a motivo dell’ignoranza che è in loro, a motivo dell’indurimento del loro cuore. Essi, avendo perduto ogni sentimento, si sono abbandonati alla dissolutezza, fino a commettere ogni specie di impurità con avidità insaziabile” (Efesini 4:17-19). 

La denuncia è chiara: i non credenti, senza intelligenza spirituale ed estranei a tutto ciò che è spirituale, si abbandonano sempre di più a ogni sorta d’impurità senza freni, perché non conoscono Dio e lo disonorano. Al contrario invece, Dio comanda a ogni suo figlio di comportarsi nel modo degno del suo nome. Anche se una volta si comportava male come tutti gli altri, oggi deve fare l’opposto. È un ordine chiaro ed esplicito, non è né un consiglio né un’opzione!

Questo cambiamento si deve vedere anche nell’uso della lingua del credente. 

In teoria siamo tutti d’accordo su questo, ma in pratica spesso consideriamo i peccati della nostra lingua come un vizio secondario, solo una cattiva abitudine che fatichiamo a controllare. Ed è proprio questo il nostro problema: se non ne comprendiamo la gravità, siamo sconfitti in partenza e non saremo mai motivati a voler cambiare.

Se lo ritenessimo davvero un peccato grave, faremmo senz’altro come dice Giacomo: “Avvicinatevi a Dio, ed egli si avvicinerà a voi. Pulite le vostre mani, o peccatori; e purificate i vostri cuori, o doppi d’animo! Siate afflitti, fate cordoglio e piangete! Sia il vostro riso convertito in lutto, e la vostra allegria in tristezza! Umiliatevi davanti al Signore, ed egli v’innalzerà” (Giacomo 4:8-10).

Dire cose che dispiacciono a Dio dovrebbe provocare in noi una tale tristezza e un turbamento così profondo da spingerci a non volerlo ripetere mai più.

Questa è la “tristezza secondo Dio che produce un ravvedimento che porta alla salvezza” del quale non c’è mai da pentirsi (vedi 2 Corinzi 7:8-11). 

Troppo spesso succede, invece, che siamo rattristati più per le conseguenze del nostro peccato che per il fatto di aver offeso Dio. Si, perché quando pecchiamo offendiamo Lui per primo. Se ci rendessimo conto che abbiamo prima di tutto recato disonore a Dio, la nostra sufficienza sparirebbe in un attimo. 

Quali sono, allora, le parole che offendono Dio? 

Paolo ha citato qualche esempio in Efesini 5:4 e sono oscenità, parole sciocche e volgari.

Il presupposto è che i credenti non pronuncino mai determinate parole. Ma il significato di questi tre vocaboli elencati da Paolo è più esteso di quello che si pensa.

Nella lingua originale con “oscenità” si intendono parole sporche, brutte, vergognose, che danno scandalo, ma anche parole normali che producono quel tipo di effetto. 

Sono “oscenità” i pettegolezzi, che non sono necessariamente sempre falsi, ma sono detti per fare del male, per rovinare la reputazione di qualcuno, indiscrezioni raccontate a persone che non hanno il bisogno di saperle. I pettegolezzi non hanno mai uno scopo sano. 

“Le parole del maldicente sono come ghiottonerie, penetrano fino nell’intimo delle viscere” avverte l’autore del libro dei Proverbi in 26:22. 

È triste ammetterlo, ma a volte riusciamo a mascherare i pettegolezzi come motivi per cui pregare.

Della stessa categoria delle parole sporche e vergognose fanno parte anche le calunnie. Calunniare è asserire cose su qualcuno che non sappiamo essere vere o false. Il modo più comune di calunniare è giudicare i motivi per cui le persone hanno fatto o detto una certa cosa. 

Quanto è facile cadere in questo peccato! Pensiamo di poter vedere dentro le menti e nei cuori degli altri. Noi, che non conosciamo a fondo neanche le motivazioni del nostro cuore insanabilmente maligno! Eppure, pretendiamo di saper giudicare con oggettività quelle altrui. 

In questa lista di Paolo di parole oscene sono comprese anche le lamentele. 

Hai mai riflettuto sul fatto che quando ci lamentiamo di qualcosa, stiamo in realtà parlando in modo sconveniente di Dio? Lui che è sovrano su tutte le cose, incluse le circostanze che non ci vanno bene, è possibile che si sia distratto? È possibile che all’Onnipotente sia sfuggito qualcosa della nostra vita? È ovvio che no.

Bisogna renderci conto che le nostre parole sono più gravi di quello che fino a ora siamo stati disposti ad ammettere. 

Ma la lista di Paolo non è finita ancora. Lui dice che dobbiamo evitare anche le parole sciocche, quelle che fanno parte del parlare senza intelligenza, parole inutili, stolte e vuote. 

Noi uomini ci cadiamo spesso, specialmente quando vogliamo avere per forza ragione durante una discussione e scivoliamo nel litigio. La nostra bocca diventa un fiume in piena, che raccoglie qualsiasi idea e la butta fuori di getto. E così, sperando di sopraffare il nostro interlocutore con le nostre opinioni, cominciamo battaglie che producono divisioni e dolori, spesso sproporzionate e sicuramente ingiustificabili pensando alla vera causa del dissidio.

L’ultima sulla lista di Paolo è la parola volgare. 

Si tratta di parole sconvenienti, le parolacce, ma il significato può includere anche il concetto del sarcasmo. Il sarcasmo è definito come “una forma di ironia amara e pungente, volta a schernire o umiliare qualcuno o qualcosa. Può essere sottolineato anche attraverso particolari intonazioni della voce, enfatizzando così alcune parole o parti dell’affermazione.” 

La parola deriva dal greco antico, da sarkazein – mordersi le labbra per la rabbia – che a sua volta è una derivazione di sarx, carne. Sarcasmo letteralmente può essere reso con “tagliare un pezzo di carne da qualcuno”. È quindi sempre sconveniente, e non produce mai risultati che piacciono a Dio.

Tutti questi tipi di parole sono sconvenienti, dice Paolo. Sono inutili. Non vanno d’accordo con la nostra vita di cristiani, perché siamo imitatori di Dio. Non rappresentano né Cristo né Dio. Non sono amorevoli e di conseguenza contravvengono alla nostra responsabilità di amare Dio prima di tutto, e poi di amare il nostro prossimo come noi stessi.

Il versetto ci disarma da ogni giustificazione sull’usare male la nostra lingua. Quella parola puzzolente che pensavamo fosse arguta o buffa quando l’abbiamo detta, dovrebbe produrre invece cordoglio e tristezza, perché abbiamo offeso il nostro Dio.

La fucina nascosta

Dobbiamo però considerare un altro aspetto importante: il motivo per cui diciamo le cose, che sta dietro a tutto quello che esce dalla nostra bocca. 

La Bibbia parla della fabbrica dove si creano le parole: “L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore tira fuori il bene, e l’uomo malvagio dal malvagio tesoro del suo cuore tira fuori il male; perché dall’abbondanza del cuore parla la sua bocca” (Luca 6:45). La fabbrica delle nostre parole è il nostro cuore. 

Il problema è molto più grande e profondo di quello che vogliamo ammettere. Abbiamo un cuore malvagio e duro, un terreno fertile per pensieri malvagi che si traducono in parole.

Di conseguenza non si tratta solo di parole innocue, ma di espressioni di un cuore malato, che non è stato trasformato dalla Parola di Dio.

Gesù ha sempre sottolineato che le parole sono molto più importanti di quanto generalmente si pensi.

“Voi avete udito che fu detto agli antichi: «Non uccidere: chiunque avrà ucciso sarà sottoposto al tribunale»; ma io vi dico: chiunque si adira contro suo fratello sarà sottoposto al tribunale; e chi avrà detto a suo fratello: «Raca» sarà sottoposto al sinedrio; e chi gli avrà detto: «Pazzo!» sarà condannato alla geenna del fuoco. Se dunque tu stai per offrire la tua offerta sull’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia lì la tua offerta davanti all’altare, e va’ prima a riconciliarti con tuo fratello; poi vieni a offrire la tua offerta” (Matteo 5:21-24).

Le cattive parole (anche quelle dette per scherzo) nascono da radici malvagie. Chiamare qualcuno pazzo ha radici che sorgono dal nostro disdegno, odio o risentimento per quella persona. Quelle, poi, dette contro un fratello distruggono la nostra relazione di comunione con Dio. Il Signore non ha nessun piacere nelle nostre offerte, nelle nostre eloquenti preghiere fino a che non abbiamo messo a posto le parole sconvenienti che abbiamo detto.

Gesù ha anche affermato che “ciò che esce dalla bocca viene dal cuore, ed è quello che contamina l’uomo. Poiché dal cuore vengono pensieri malvagi, omicidi, adultèri, fornicazioni, furti, false testimonianze, diffamazioni. Queste sono le cose che contaminano l’uomo; ma il mangiare con le mani non lavate non contamina l’uomo” (Matteo 15:18-20).

Le nostre parole ci contaminano, ci fanno diventare sporchi. 

È implicito che dobbiamo confessarle e chiedere perdono a Dio e a coloro ai quali le abbiamo rivolte.

Duemila anni fa gli uomini facevano il nostro stesso errore, cioè quello di dare più importanza alle azioni esteriori che alle proprie parole. Ma l’avvertimento di Dio è chiaro: “O fate l’albero buono e buono pure il suo frutto, o fate l’albero cattivo e cattivo pure il suo frutto; perché dal frutto si conosce l’albero. Razza di vipere, come potete dir cose buone, essendo malvagi? Poiché dall’abbondanza del cuore la bocca parla. L’uomo buono dal suo buon tesoro trae cose buone, e l’uomo malvagio dal suo malvagio tesoro trae cose malvagie. Io vi dico che di ogni parola oziosa che avranno detta, gli uomini renderanno conto nel giorno del giudizio; poiché in base alle tue parole sarai giustificato, e in base alle tue parole sarai condannato” (Gesù in Matteo 12:33-37).

È questa l’ipocrisia che l’apostolo Giacomo smaschera e denuncia parlando del cattivo uso della nostra lingua: “Con essa benediciamo il Signore e Padre; e con essa malediciamo gli uomini che sono fatti a somiglianza di Dio. Dalla medesima bocca escono benedizioni e maledizioni. Fratelli miei, non dev’essere così. La sorgente getta forse dalla medesima apertura il dolce e l’amaro? Può forse, fratelli miei, un fico produrre olive, o una vite fichi? Neppure una sorgente salata può dare acqua dolce” (Giacomo 3:9-12).

Siamo un controsenso vivente:
> Crediamo in un Dio sovrano, ma ci lamentiamo delle circostanze.
> Crediamo in un Dio che perdona, ma noi non perdoniamo.
> Crediamo in un Dio creatore, ma malediciamo le sue creature.
> Crediamo in un Dio che provvede, ma siamo ansiosi del futuro.
> Crediamo in un Dio che ci conosce, ma rifiutiamo la sua guida.
> Crediamo che Dio può tutto, ma non può cambiare le persone.

Se ci sono attriti nei nostri rapporti con gli altri, ricordiamoci che, se continuiamo a essere superficiali nella nostra vita spirituale permettendo alla nostra lingua di esprimersi in modo incontrollato, creeremo ancora più pasticci.

Ricordiamoci anche che la gratitudine è il grande antidoto a un cuore che produce pensieri e parole malvagie, come scrive Paolo agli Efesini.

Un cuore grato produce parole buone.

Viviamo in un mondo dove abbondano l’ingratitudine e la ribellione verso Dio. Sono atteggiamenti che saturano ogni strato della società e si riscontrano nell’arte, nella politica, nell’educazione, nel governo. C’è il rischio che i credenti e la chiesa vengano sedotti da questi ragionamenti. Paolo, avverte: “Nessuno vi seduca con vani ragionamenti; infatti, è per queste cose che l’ira di Dio viene sugli uomini ribelli” (v. 6).

Non c’è dubbio che una persona grata a Dio non può contemporaneamente essere ribelle a Lui.

Le parole digitate

E c’è da dire ancora un’altra cosa sull’uso delle parole. Ormai non comunichiamo solo a voce, ma anche sui social, che da un lato offrono una preziosa possibilità di raggiungere persone che altrimenti non raggiungeremmo mai. Dall’altro, però, si prestano troppo facilmente a lasciare dichiarazioni e commenti assolutamente non in linea con la santità che si addice ai seguaci di Cristo.

Chi si definisce tale non deve lasciarsi andare a espressioni sconvenienti nemmeno sui social. Non facciamoci ingannare dal falso senso di libertà o dell’anonimato come se non dovremmo rendere conto al Signore di ogni parola scritta su internet. 

Nessun figlio di Dio deve proferire né scrivere parole sconvenienti che offendono Lui, le sue creature o la sua sovranità. Smettiamola di giustificare e accettare le nostre parole malvagie, perché provocano solo la sua giusta ira.

Quanti incendi abbiamo acceso nella nostra avventata superficialità!

Per evitare di ripetere lo stesso errore prendiamo sul serio l’ammonimento di Dio: “Nessuna cattiva parola esca dalla vostra bocca; ma se ne avete qualcuna buona, che edifichi secondo il bisogno, ditela, affinché conferisca grazia a chi l’ascolta. Non rattristate lo Spirito Santo di Dio con il quale siete stati suggellati per il giorno della redenzione. Via da voi ogni amarezza, ogni cruccio e ira e clamore e parola offensiva con ogni sorta di cattiveria! Siate invece benevoli e misericordiosi gli uni verso gli altri, perdonandovi a vicenda come anche Dio vi ha perdonati in Cristo” (Efesini 4:29-32).

Le nostre parole devono aiutare, edificare, promuovere la vita spirituale, evangelizzare i non credenti, spingere i fratelli verso la santificazione. 

Per essere così, devono essere sature della verità della Parola di Dio. “Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia” (2 Timoteo 3:16).

Le nostre parole devono essere appropriate, “secondo il bisogno,” cioè non solo buone e utili ma anche dette al momento giusto.

Le nostre parole devono portare grazia. Chi ci ascolta deve poter riconoscere la misericordia di Dio in quello che diciamo.

Prima di parlare facciamo pulizia nei nostri cuori.

Non sminuiamo le nostre parole né i motivi che ci spingono a dirle. Il Signore, di certo, non lo fa!

—Davide Standridge

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La VOCE maggio 2022

Oggi, come mai prima, la guerra è davanti ai nostri occhi. I mass media la portano nelle nostre case con una crudezza e con un realismo scioccante. Ci si spezza il cuore nel vedere uomini, donne e bambini che muoiono senza avere colpa, se non quella di essere nati in una certa nazione.

Il Nuovo Testamento aveva predetto che il mondo sarebbe stato colpito da guerre, terremoti, carestie e catastrofi sempre più gravi. Se da un lato questo è per il credente un segno del glorioso ritorno di Cristo, dall’altro è chiaro che le guerre e i terremoti producono molto dolore per tutti gli esseri umani.

Il Signore Gesù ci ha comandato di essere pronti per il suo ritorno. Un aspetto importantissimo di questa prontezza nel mondo in cui regna il male è essere dei testimoni della grazia di Dio, del suo perdono, della sua salvezza e del suo giudizio .

Lui vuole anche che siamo il “sale della terra”, in pratica che la nostra vita serva ad arginare ogni sorta di male che si manifesta intorno a noi.

In questo numero della VOCE ristampiamo un articolo pubblicato nel 1971 che è ancora molto attuale per noi mentre seguiamo gli ultimi sviluppi degli eventi mondiali. 

Davide Standridge

I doveri del credente in uno Stato moderno

Gli scrittori del Nuovo Testamento indicarono quali fossero gli obblighi dei cristiani verso le autorità costituite del loro tempo, cioè sotto una dittatura. Ma i principi da essi dettati sono ugualmente validi anche per i cittadini di una moderna democrazia. 

Quali sono dunque, le nostre responsabilità oggi? 

1. Il rispetto 

Nella sua lettera ai credenti di Roma Paolo ha scritto: “Rendete a ciascuno quel che gli è dovuto: … l’onore a chi l’onore” (Romani 13:7). E Pietro ha scritto: “Onorate il re” (1 Pietro 2:17). Rispettare il governo e i suoi rappresentanti significa prenderli sul serio – di solito più sul serio di quanto essi stessi non si prendano – come ministri di Dio (Romani 13:1) che devono rendere conto a Lui della responsabilità solenne che Egli ha data loro, e che perciò li riveste di grande dignità. 

Il rispetto spesso significa trattare con stima uomini che in loro stessi non sono rispettabili, per via della loro carica, senza per questo diventare servili e ipocriti. 

Questo rispetto non impedirà l’uso di qualsiasi mezzo legale e diritto che i cittadini abbiano per opporsi al governo, come Paolo che non mostrò disprezzo verso le autorità di Filippi, ma piuttosto dimostrò di rispettarle veramente, insistendo che facessero osservare i suoi diritti e perciò usassero l’autorità che era stata loro conferita (Atti 16:35 e segg.). 

E quando i capi e i loro agenti si comportano indegnamente e commettono ingiustizie, il rispetto comporterà, da parte di chi ne abbia il diritto, il rimprovero. 

Un esempio di questo è il rimprovero fatto da Giovanni Battista a Erode (Marco 6:18; Luca 3:19) sul quale Calvino commenta: “Da questo passo comprendiamo di quale coraggio fermo debbano essere armati i servi di Dio quando hanno a che fare con re e principi; poiché in quasi ogni corte prevalgono l’ipocrisia e l’adulazione. E siccome le orecchie dei principi sono state abituate a sentire sempre discorsi lusinghieri, esse non riescono a tollerare una voce che riprenda con severità uno qualsiasi dei loro vizi […] Giovanni così, col suo esempio, ha fornito un modello chiarissimo per ogni predicatore timorato di Dio, affinché non chiuda un occhio davanti ai peccati dei principi, in modo da ingraziarsene il favore, per quanto vantaggioso ciò possa sembrare.” 

2. L’ubbidienza, a meno che non comporti la disubbidienza a Dio 

È importantissimo comprendere che la parola upostàsesthai, usata da Paolo, che di solito significa ubbidire, in alcuni pochi casi, non lo significa affatto. 

In Tito 3:1 le parole “che siano sottomessi ai magistrati” sono seguite da “siano ubbidienti” (peitharchein). 

Il credente in Cristo ha l’obbligo di ubbidire al governo di cui è cittadino, ai suoi vari funzionari, e alle leggi finché queste non interferiscano con dei precisi ordini di Dio, come appare chiaro ad esempio dai passi di Atti 4:19 e 5:29 in cui gli apostoli e Pietro dissero chiaramente di dovere ubbidire a Dio anziché agli uomini. 

3. Il pagamento delle tasse 

Il testo base in cui è trattato il soggetto del tributo a Cesare è, ovviamente, Marco 12:13-17. 

In Romani 13:6 e segg. si legge: “È anche per questa ragione che voi pagate le imposte, perché essi, che sono costantemente dediti a questa funzione, sono ministri di Dio.” Il credente ha il dovere di pagare “l’imposta a chi è dovuta l’imposta, la tassa a chi la tassa; il timore a chi il timore, l’onore a chi l’onore.” Infatti, egli beneficia di certi privilegi che lo Stato gli offre, della sua protezione e di certe agevolazioni. Perciò le sue tasse non sono altro che un contraccambio per ciò che riceve. 

Bisogna pagare le tasse, perché nessuno Stato può funzionare senza finanze. Rifiutare di pagare le tasse equivale, in pratica, a dire “no” allo Stato in quanto tale. 

4. La preghiera per coloro che sono in autorità 

Ecco che cosa insegnava Paolo a Timoteo: “Esorto dunque, prima di ogni altra cosa, che si facciano suppliche, preghiere, intercessioni, ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che sono costituiti in autorità, affinché possiamo condurre una vita tranquilla e quieta in tutta pietà e dignità. Questo è buono e gradito davanti a Dio, nostro Salvatore, il quale vuole che tutti gli uomini siano salvati e vengano alla conoscenza della verità” (1 Timoteo 2:1-4).  

Questa preghiera ardente, perseverante e fatta con fede è una parte essenziale del debito che ogni credente ha verso lo Stato, sia esso indifferente dal punto di vista religioso o antireligioso, giusto o ingiusto. 

5. La testimonianza per Cristo 

Una parte essenziale dei doveri di un cristiano verso lo Stato di cui è cittadino è quella di essere un buon testimone di Cristo, sia nella vita privata che in quella collettiva della chiesa. 

Spesso questa testimonianza comporterà sofferenza. A volte la morte. Cristo ha detto: “Badate a voi stessi! Vi consegneranno ai tribunali, sarete battuti nelle sinagoghe, sarete fatti comparire davanti a governatori e re, per causa mia, affinché ciò serva loro di testimonianza” (Marco 13:19). 

Questo è veramente il servizio essenziale che il credente deve allo Stato e ai suoi rappresentanti. Per mezzo di esso, egli testimonia di tre cose: la vera dignità dell’autorità conferita loro da Cristo, i limiti della loro autorità e le promesse alle quali sottostanno. 

Nei paragrafi precedenti sono stati elencati i cinque elementi che compongono la sottomissione del cristiano allo Stato e che sono chiaramente elencati nel Nuovo Testamento. Ma gli scrittori del Nuovo Testamento vivevano sotto una dittatura, durante la quale il cittadino non aveva alcuna possibilità di condividere le responsabilità del governo. Perciò è necessario trasferire ciò che essi hanno scritto nel nostro contesto moderno se vogliamo cercare di applicare le Scritture alla nostra esperienza senza torcerle. 

È chiaro da quanto detto sopra, che il cristiano che vive in una dittatura può solo cercare di mantenere lo Stato a un certo livello di giustizia. Il credente che vive sotto una democrazia può fare molto di più e ha l’obbligo di collaborare perché lo Stato sia giusto e sia mantenuto tale. Questa è una parte essenziale del suo dovere di essere soggetto alle autorità in carica. Se si rifiuta di farlo si rende colpevole di ribellione contro i principi dettati da Dio. 

Ecco, perciò, altri quattro obblighi che il credente sincero deve comprendere vivendo in uno Stato democratico.   

6. Una partecipazione seria e responsabile alle votazioni 

Il diritto di voto deve essere esercitato spinti dal timore di Cristo e dall’amore per il prossimo. Non votare significa rinunciare alla possibilità di mantenere uno Stato giusto o di migliorare uno Stato che possa essere governato meglio. Tuttavia, si potrebbero presentare delle circostanze in cui il credente dovrebbe astenersi dal voto. 

7. Uno sforzo attento e continuo di tenersi informato sulla politica e sugli avvenimenti del giorno 

Non si può votare in maniera coerente e consapevole senza una base di conoscenza adeguata. Naturalmente secondo il suo grado di cultura, ogni cittadino potrà informarsi più o meno. A volte alcuni si sentiranno addirittura costretti a seguire più canali d’informazioni aggiornandosi sui vari argomenti per mezzo di libri, di rapporti governativi ecc. 

8. Critica del governo, delle sue leggi e delle sue decisioni alla luce del vangelo e della legge di Dio 

Si è visto che, perfino sotto una dittatura, il cittadino non deve ubbidire ciecamente, ma deve usare discernimento. In uno Stato democratico questa possibilità è accresciuta e facilitata poiché è uno dei diritti precisi del cittadino. Perciò il credente dovrà continuamente valutare le azioni del governo alla luce della Parola di Dio. Per fare ciò, naturalmente avrà bisogno di una buona conoscenza della Bibbia e dei principi spirituali contenuti nelle Scritture. 

9. Per questo cercherà sempre di approvare e sostenere le decisioni giuste e umane del governo e si opporrà a quelle che non lo sono 

Per questo il credente farà bene a servirsi di ogni mezzo legale messo a sua disposizione dallo Stato per appoggiare certe decisioni o opporsi a esse. 

Si devono poi ricordare a questo punto due altri possibili elementi della sottomissione dovuta dal cristiano allo Stato, elementi molto discussi e fortemente controversi. Essi non possono essere esauriti in un breve paragrafo, perciò mi dovrò limitare a esprimere la mia personale opinione, comprendendo che ognuno deve seguire la propria coscienza senza però contravvenire ai chiari mandati biblici. 

10. Partecipare a azioni militari, in certe circostanze e entro certi limiti, in ubbidienza alle decisioni del governo 

Il Nuovo Testamento non fornisce in nessun punto una risposta precisa alla domanda che tormenta oggi tanti credenti: “Il vero credente deve rifiutare di partecipare a azioni militari?” 

Questo non deve sorprendere, perché i giudei del primo secolo non avevano alcun obbligo militare nell’Impero romano e perché, sebbene a volte le autorità dovessero ricorrere alla coscrizione obbligatoria, di solito avevano adeguate scorte di volontari per formare i loro eserciti. Tocca a noi, perciò, il compito di scoprire le risposte implicite date dal Nuovo Testamento, e questo è notoriamente molto difficile. 

Mi sembra – per quello che ora posso capire – che il fatto che il Nuovo Testamento descriva lo Stato come un’istituzione divina implichi anche l’ubbidienza nel servizio militare. Un “no” categorico mi sembra implicare anche categoricamente un “no” all’istituzione del governo. 

In Romani 13:4 Paolo dice chiaramente che l’uso della forza è una parte delle funzioni del governo. D’altra parte, nessun passo del Nuovo Testamento indica che si debba considerare la guerra come una normale attività dello Stato, e non vi è nessuna base biblica per accettare indiscriminatamente l’ordine di combattere e uccidere solo perché il governo ha preso la decisione di dichiarare una guerra. 

Il credente deve rifiutare di partecipare a azioni militari quando è convinto di essere usato per una causa ingiusta, o quando la sua coscienza glielo vieta.

11. Essere pronto, in certe circostanze, a partecipare a una ribellione armata per sopprimere un governo che sia intollerabilmente ingiusto 

Anche su questo punto il Nuovo Testamento non dice nulla di preciso. E neppure l’atteggiamento del nostro Signore riguardo agli zeloti, né Romani 13:2 risolvono la questione. 

L’opposizione del Signore agli zeloti non esclude la ribellione in qualsiasi possibile circostanza. 

È abbastanza facile comprendere perché gli zeloti non furono approvati: prima di tutto il governo romano non era così insopportabilmente ingiusto e, in secondo luogo, essi volevano stabilire il regno di Dio sulla terra. In terzo luogo, era facile prevedere che la rivolta sarebbe stata senza speranza di riuscita. 

Alla luce di Romani 13:2 dovremmo chiederci: “Sarebbe possibile che un governo diventi così ingiusto e così cattivo da non poter essere più considerato come un’autorità? Sarebbe giustificabile l’uso della forza per reprimere un tale governo?” 

Personalmente, e sottolineo la parola personalmente, non riesco a disapprovare l’azione di quei credenti tedeschi nel 1944 che attentarono alla vita di Hitler. Mi pare che un credente non prenda sul serio il suo governo e che venga meno ai suoi doveri di sottomissione presentati nel Nuovo Testamento, se non è pronto anche a usare la forza come estremo rimedio a un male estremo. 

Allora, che cosa insegna il Nuovo Testamento sull’atteggiamento che il credente deve avere nel cercare di adempiere alle sue responsabilità di cittadino? 

Mi pare che si debbano dire essenzialmente tre cose: 

  • l) Il credente deve cercare di adempiere i suoi doveri con serietà e impegno in quanto doveri impostigli direttamente da Dio. Essi sono una parte del suo obbligo di amare Dio e il suo prossimo e perciò non sono facoltativi, ma categorici. 
  • 2) Egli deve anche cercare di adempiere i suoi doveri di cittadino con sobrietà e realismo. 

Per questo dovrà tenere conto di ciò che il Nuovo Testamento insegna. Infatti dovrà sempre tenere presente che lo Stato è passeggero e temporaneo. Perciò non dovrà attribuire a esso un valore maggiore di quello che ha. 

Dovrà ricordare anche che la chiesa non potrà mai stabilire il regno di Dio sulla terra con i suoi sforzi morali e neanche con quelli spirituali. 

Non dovrà mai dimenticare neppure la realtà tragica del peccato che investe ogni uomo e che spinge ognuno ad approfittarsi e a sfruttare il suo simile. Il credente, perciò, dovrà sempre ricordare che governanti, funzionari, impiegati, amministratori sono peccatori in qualsiasi nazione si trovino. Perciò sarà pronto a riconoscere e a valutare ogni abuso e cercherà di vedere la realtà dietro agli slogan altisonanti. Egli poi farà attenzione a non sostenere mai un partito che, andando al potere, finirebbe con l’opprimere e impedire l’espressione dei propri diritti a un segmento della popolazione.

Conoscendo il Nuovo Testamento e ciò che esso predice, il credente sarà conscio delle limitazioni di ogni sforzo politico umano. Perciò potrà rallegrarsi anche quando scopi limitati saranno stati raggiunti. Spesso, al cristiano, rimarrà solo la scelta fra il minore di due mali. Ma a volte è molto importante che il minore di essi si avveri anziché il maggiore. 

Con lo stesso realismo, il credente saprà che non potrà mai vedere stabilirsi sulla terra una società perfetta, ma contribuirà affinché almeno una società limitatamente giusta venga stabilita nel suo paese. 

Infine, con lo stesso realismo, comprenderà che ogni governo ha lo scopo di proteggere una sua popolazione composta di uomini, donne e bambini per i quali 

Cristo è morto. Sentirà la responsabilità di interessarsi di coloro che sono oppressi in altri paesi e di coloro che soffrono nel suo. Terrà sempre conto che la vita umana è sacra e, in tempo di guerra, non dimenticherà che anche le vite dei nemici hanno grande valore. 

  • 3) Infine, il credente dovrà adempiere ai suoi doveri di cittadino con fiducia e speranza. 

Sapendo che Dio ha stabilito e istituito le autorità, saprà anche che esse sono controllate, in ultima analisi, da Dio. Esse perciò, volenti o nolenti, consciamente o inconsciamente, direttamente o indirettamente saranno usate da Dio per adempiere i suoi piani. Il credente terrà sempre presente l’esempio biblico di Pilato, il quale pure essendo pagano e indifferente alla volontà di Dio, con la sua decisione collaborò allo svolgimento del piano di Dio per la redenzione dell’umanità. 

Il credente comprenderà poi che, passando dal piano religioso a quello politico, non cambia Signore. Cristo è tanto Signore della chiesa quanto del mondo sebbene la sua signoria si manifesti in maniera diversa in queste due sfere. Perciò servendo Dio sia nell’una che nell’altra, sentirà tutto il peso della sua responsabilità di testimone di Cristo. 

Infine il vero credente saprà che il fine verso il quale si muove la storia è la venuta del Signore Gesù Cristo, il quale un giorno stabilirà in maniera decisiva, assoluta e senza compromessi il Regno di Dio e il suo ordine. In questo avvenimento egli vede non solo i limiti dei governi umani, ma anche le promesse che li riguardano. 

Infatti verrà il momento in cui “la voce di una gran folla e come il fragore di grandi acque e come il rombo di forti tuoni” dirà: “«Alleluia! Perché il Signore, Dio, l’Onnipotente, ha stabilito il suo regno… Le nazioni cammineranno alla sua luce e i re della terra vi porteranno la loro gloria” (Apocalisse 19:6, 21:24).

—C.B.C.

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